“Se fossi Ministro metterei attorno al tavolo i medici obiettori di coscienza e i non obiettori per ascoltare le loro posizioni e trovare una soluzione. Non potendolo fare ho voluto scrivere un libro sull’aborto e sentire la viva voce di questi professionisti contattandoli personalmente. Sono fermamente convinta che su questo tema non possiamo permetterci polemiche politiche e scontri ideologici. E non possiamo permettercelo perché così facendo rischieremmo di oscurare il successo della legge 194, ossia il drastico calo degli aborti. Si apra quindi un tavolo di confronto, perché solo attraverso la condivisione e il dialogo si possono trovare soluzioni”.
È andata dritta al punto con la passione che la contraddistingue da sempre l’ex ministro della Solidarietà Sociale e della Salute
Livia Turco e ora presidente della Fondazione Nilde Iotti, che ha presentato ieri alla Camera a Palazzo San Macuto il suo libro “
Per non tornare al buio. Dialoghi sull’aborto” scritto insieme a
Chiara Micali, giornalista con alle spalle anni di esperienza all’Unicef e poi all’Agenas, recentemente uscito nelle librerie italiane.
Un viaggio narrativo a metà tra saggio e inchiesta giornalistica. Esplora infatti da un lato il doppio fenomeno del calo degli aborti e delle nascite (in Italia, per la prima volta, gli aborti sono scesi sotto quota 90 mila, nel 1982 erano quasi 235 mila) e dall’altro entra nel vivo del dibattito di grandissima attualità, ossia l’obiezione di coscienza dei medici e degli altri operatori sanitari. E lo fa con una formula inedita: la viva voce di 8 medici obiettori di coscienza e 11 non obiettori, intervistati dalle autrici.
“Non è facile parlare di aborto – ha raccontato Turco – perché su questo tema c’è uno stigma che ancora perdura e perché in questo momento le priorità politiche sono altre”. Uno stigma che Livia Turco ha toccato con mano. Non è stato facile infatti trovare un editore disponibile a pubblicare il libro. “Mi sono sentita dire o fai un libro scandalo o non ci interessa. Eppure – ha sottolineato – questo è un tema che tocca le donne e i medici, ma soprattutto tocca il vero grande problema del nostro Paese: gli italiani non fanno figli e ormai le nascite sono stabilmente sotto le 500 mila annue. Viviamo in una società ostile alla maternità, divenuta solo una voce di costo per le aziende, per le famiglie, per il welfare. Serve quindi una cultura delle maternità. Dobbiamo costruire una società materna e accogliente nei confronti dei figli. Incentivare i consultori familiari, erano un’eccellenza e lo sono ancora”.
Turco snocciola quindi le criticità del sistema a partire dal “sommerso”, la macchia dell’aborto clandestino che a quasi 40 anni dalla legge 194 non è stata cancellata. I medici intervistati raccontano, infatti, di dover curare gli effetti collaterali di aborti avvenuti e ammettono di non sapere “dove sono andate quelle donne alle quali non abbiamo prescritto interventi abortivi”.
Ma dal dialogo sono emerse anche delle indicazioni: intervenire sulle lacune formative, incentivare la RU486 che “costituisce per i medici un impatto meno forte dell’intervento chirurgico che può attenuare lo stigma”, mettere in atto “un’azione forte” verso le donne immigrate.
"Il messaggio che rivolgo agli obiettori è quindi, impariamo a valutare le leggi in base ai risultati ottenuti – ha quindi aggiunto Turco – la legge 194 ha infatti funzionato determinando un drastico calo degli aborti. Soprattutto è stato sconfessato il tema propugnato dagli oppositori della legge, ossia che l’aborto sarebbe stato banalizzato dalle donne deresponsabilizzandole. È avvenuto l’esatto opposto: il senso di responsabilità delle donne è cresciuto”.
La questione sul tappeto ora è come garantire il diritto delle donne all’aborto sancito dalla legge 194. “Il libro ha un’impostazione dialogica che chiama in causa i medici facendo parlare sia gli obiettori che i non obiettori, rispettando le ragioni di entrambe, e questo è importante – ha sottolineato
Claudia Mancina, Docente all’Università La Sapienza di Roma intervenuta alla presentazione del libro – prendere in considerazione ragioni anche diverse dalle proprie significa creare una situazione di convivenza sicuramente più percorribile rispetto a un conflitto frontale con il quale ormai ci scontriamo quotidianamente. Ma il tema ora è assicurare il diritto sancito dalla legge 194. Un problema che chiama in causa le istituzioni”.
Elsa Viora, Presidente nazionale dell’Aogoi, richiamando quanto scritto dall’autrice, ricorda come la parola aborto sia ancora “difficile da pronunciare”. “Livia Turco ha avuto il coraggio di riportare agli onori della cronaca un tema ‘scomodo’, come lei stessa lo ha definito – ha affermato – un tema importante non solo per i ginecologi ma per tutte le figure professionali che vengono chiamate in causa quando si parla di aborto. Effettuare le Ivg è sicuramente duro per i medici, così come è duro per le donne che anche a distanza di anni raccontano con ritrosia la loro esperienza abortiva. Un pudore che rimane intatto nel tempo testimoniando come questo sia un argomento che si ha paura ad affrontare”. Ma il tema va messo sul tappeto, ha aggiunto la Presidente dell’Aogoi: “La possibilità di acquistare senza prescrizione medica la contraccezione d’emergenza è stato sicuramente un grande successo per le donne evitando pellegrinaggi inutili nei consultori e negli ospedali per averla – ha aggiunto – ma abbiamo ancora difficoltà a trovare chi aiuta le donne ad abortire. Un problema che si acutizza ancora di più per le Ivg dopo il 90° giorno e che porta le donne ad emigrare fuori dalle regioni di appartenenza”.
Infine la testimonianza di
Chiara Micali che ha puntato i riflettori su un passato che molti hanno forse cancellato. Pagine scomode che non devono essere dimenticate, anzi che dovrebbero essere portate all’attenzione dei giovani: “Ho vissuto l’epoca ante legge 194 – ha sottolineano – il periodo dell’aborto clandestino, delle mammane e anche dei ‘cucchiai d’oro’, i medici che praticavano clandestinamente gli aborti facendoseli pagare profumatamente salvo poi diventare nel tempo obiettori di coscienza. I giovani non conoscono a sufficienza questa legge ed anche quello che ha portato. Far parlare i medici ha significato anche mettere in luce uno scarto generazionale. Il 70% degli obiettori anziani chiama in causa motivi ideologici, per i giovani invece alla base della loro obiezione c’è una questione di convenienza. Praticare Ivg significa non fare carriera, essere ghettizzati, sindrome di Burnout. Problemi avvertiti anche dai non obiettori. Criticità che vanno risolte a partire dall’assenza dell’educazione sessuale nelle scuole. Spero che questo libro aiuti a trovare una soluzione”.
Ester Maragò