I consumatori italiani potrebbero risparmiare acquistando farmaci provenienti da altri Stati europei ma non lo sanno. Il fenomeno dell’importazione parallela di farmaci nel nostro Paese occupa una quota minima del mercato, inferiore all’1%. Una percentuale irrisoria, se paragonata ad altri Stati come la Danimarca (16,5%) e la Svezia (15,5%) dove questo tipo di commercio è una realtà consolidata da decenni ed in costante crescita. La nostra legislazione infatti non incoraggia questa pratica che invece avrebbe effetti positivi sia per le casse dello Stato che per i pazienti che potrebbero risparmiare dal 5 al 20% rispetto al prezzo al pubblico del medicinale di riferimento e disporre di prodotti di qualità e controllati. Cosa sono i farmaci importati? Non sono né copie né generici, dal punto di vista farmacologico hanno la stessa efficacia degli originali. Sono già autorizzati nel Paese di origine e l’importatore provvede unicamente a renderli idonei alla commercializzazione nello Stato di destinazione, rietichettandoli o riconfezionandoli in modo da garantirne l’uniformità per lingua e contenuti. Non bisogna dimenticare che un’ulteriore garanzia è rappresentata dal controllo da parte dell’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco). Ogni anno in Europa vengono distribuiti 140 milioni di confezioni di prodotti importati, pari al 7 % del mercato continentale dei farmaci (circa 10 miliardi di euro). In Italia le aziende impegnate in questo tipo di commercio sono rappresentate dall’A.I.P. (Associazione titolari di autorizzazioni all’Importazione Parallela di medicinali dall’Europa). L’A.I.P è a sua volta rappresentata in ambito europeo dall’EAEPC (European Association of Euro-Pharmaceutical Companies Mission Statement), che nasce con il preciso scopo di promuovere il mercato dell’importazione parallela in Europa al fine di contenere la spesa farmaceutica, facendo risparmiare cittadino e Stato. Una recente indagine di mercato, promossa da Medi-Pragma e dall’A.I.P., ha voluto sondare il parere dei farmacisti e dei consumatori. Più del 60% dei 100 professionisti intervistati ha affermato che una delle informazioni più importanti da fornire al consumatore sarebbe proprio quella relativa al minor costo e alla pari efficacia e qualità del prodotto importato rispetto a quello tradizionale. Circa il 25% si è dichiarato pronto a dispensare un farmaco proveniente dall’estero (in prevalenza nella forma riconfezionata). Nel 40% delle farmacie coinvolte nella ricerca sono disponibili prodotti di importazione, ma nel 20% dei casi la loro commercializzazione è stata interrotta a causa della difficile accettazione da parte dei consumatori. Il 56% ritiene però che la fiducia aumenterebbe se il foglietto illustrativo contenesse un paragrafo sull’importazione parallela con le norme, i controlli e i vantaggi per i consumatori. Per 61% degli intervistati questi prodotti avranno maggiore diffusione in futuro. La necessità di ricevere informazioni adeguate emerge anche nell’opinione dei consumatori. Per un terzo dei 200 pazienti intervistati l’acquisto è infatti subordinato a rassicurazioni da parte del farmacista sulla garanzia di pari efficacia e sull’uguaglianza del principio attivo. Complessivamente solo l’8% dei consumatori non comprerebbe un prodotto riconfezionato proveniente dall’estero. Anche per i pazienti (64,5%) maggiori spiegazioni contenute nel foglietto illustrativo contribuirebbero ad aumentare la fiducia.
4 luglio 2011
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