I dati personali in grado di rivelare lo stato di salute delle persone sono di particolare delicatezza, per questo definiti “dati sensibili”, e non possono essere diffusi. E per questo il Codice sulla protezione dei dati personali attribuisce a questi dati una tutela rafforzata e stabilisce le regole per il loro trattamento in ambito sanitario.
Per ricordare diritti e doveri dei pazienti e del personale sanitario in materia di riservatezza dei dati sanitari, il Garante della Privacy ha realizzato una guida sintetica che affronta tutte le principali questioni e circostanze: dal consenso informato al ritiro di esami clinici da parte di persone diverse dal paziente, dall’utilizzo di telecamere nelle strutture sanitarie alla chiamata del paziente nelle sale di attesa. Ma l’intento non è solo quello di tutelare il diritto alla privacy del pazienti. È anche quello di agevolare le attività degli operatori del settore e di garantire la loro stessa sicurezza. Come nel caso in cui “risulti indispensabile per il tipo di intervento o terapia che si deve eseguire” conoscere l’eventuale stato di sieropositività del paziente. Ma il dato, specifica il Garante, “deve essere raccolto direttamente dal medico, non dal personale amministrativo e sempre con il consenso del paziente”.
La guida, spiega una nota del Garante, “raccoglie le risposte alle domande più frequenti che vengono poste all’attenzione dell’Autorità da pazienti e personale sanitario”. Quanto alle sale d’attesa, ad esempio, la guida specifica che nelle grandi strutture sanitarie è meglio usare un codice alfanumerico. Al contrario, i medici di base, gli studi medici privati e i medici specialisti che hanno un rapporto personalizzato con i loro assistiti, possono chiamarli per nome. Il paziente, ricorda poi il vademecum, “ha diritto di accedere a tutti i dati personali che lo riguardano”, comprese “le fotografie scattate prima e dopo gli interventi chirurgici e chiederne copia, così come può ottenere il video dell’operazione”.
E per chi non lo sapesse, il datore di lavoro non è legittimato a sapere a causa di quale diagnosi un suo dipendente è assente per malattia. Il certificato deve contenere esclusivamente la prognosi con la sola indicazione dell’inizio e della durata dell’infermità.