L’assunto su cui i membri del consiglio direttivo di
Fondazione Allineare Sanità e Salute costruiscono la loro proposta riformatrice del SSN (in otto punti) è il seguente:
“
Se si vuole che i diversi attori che compongono un Sistema sanitario pubblico perseguano i suoi obiettivi fondamentali è necessario l’allineamento del sistema premiante (interessi) degli attori con gli obiettivi del Sistema sanitario” così declinati dagli autori:
- ottimizzazione della produzione di salute (efficacia netta, detratti gli effetti avversi degli interventi), liberazione dal dolore e rassicurazione, per i singoli e la comunità dei cittadini,
- soddisfazione dei cittadini/assistiti rispetto al Sistema Sanitario e ai servizi fruiti,
- equilibrio economico/sostenibilità del sistema sanitario da parte della Società e di tutti i suoi membri, compresi quelli più socio-economicamente svantaggiati”.
L’idea è dunque quella che il miglioramento del sistema è possibile solo se la massimizzazione delle utilità del medico (inteso in senso lato, fino a comprendere almeno i tre gradini centrali della piramide di Maslow ivi compresi incentivi/disincentivi finanziari, incentivi di carriera, accademici, potere, fama, prestigio) è in funzione di quelli specifici obiettivi di salute (sopra indicati) che il decisore politico deve inserire nella sua agenda di programmazione e indirizzo sanitario.
Il campo istituzionale viene dunque rappresentato in modo sostanzialmente duale attraverso l’identificazione di due players: i professionisti della salute in senso lato (che allo stato attuale perseguono interessi non compatibili con gli interessi generali) e gli architetti di sistema (non abbastanza consapevoli della necessità imprescindibile di rompere il dis-alineamento esistente tra i due soggetti che compongono il campo istituzionale).
Ritengo che tale visione, almeno nelle modalità in cui viene rappresentata o trova spazio nel lavoro, sia una semplificazione eccessiva del campo istituzionale. Nel campo sanitario infatti non solo agiscono attori diversi (lo Stato, le regioni, i corpi intermedi, il complesso sanitario industriale privato, i professionisti, i cittadini) che mettono in atto strategie razionali, anche attraverso la costruzione di alleanze di scopo, per assumere una posizione di stakeholder nella divisione sociale del lavoro, ma esistono elementi strutturali immateriali (normativi, regolativi e soprattutto cognitivi culturali) che sottendono la trama in cui si muovono gli attori istituzionali e che ne determinano i comportamenti.
Il modello di servizio sanitario che alla fine trova implementazione è il risultato della convergenza dei tre pilastri costitutivi del campo sanitario (leggi, norme e credenze) e il cambiamento si impone quando si determina una condizione di dis-alineamento che va ben oltre la mancata convergenza degli obiettivi dei due attori identificati dagli autori.
Donald M. Berwick in un editoriale dell’ultimo numero della rivista JAMA identifica come principale causa del poliedrico conflitto che pervade attualmente il campo istituzionale americano la collisione delle due passate ere della medicina con le attuali credenze (terza era) con esse incompatibili. L’autore sostiene poi che la terza era della medicina (quella attuale) si costituisce su credenze e valori che rifiutano sia il
protezionismo della prima era (in cui erano i medici ad essere i giudici esclusivi della qualità del loro lavoro) e sia il
riduzionismo della seconda era (in cui sono gli amministratori a decidere su valutazione dei professionisti, misurazione, incentivi e modalità di pagamento degli erogatori, etc.) e conclude che la logica istituzionale della terza era è la
morale (etos). Per Berwick il conflitto attuale non porta vantaggio né ai professionisti né alla comunità e tanto meno ai pazienti e che senza una nuova etica nessuno risulterà vincitore.
Le ere della medicina dunque non nascono dalla volontà del singolo attore ma sono il risultato di un complesso gioco in cui si intrecciano interessi materiali dei diversi protagonisti, logiche istituzionali da cui discendono leggi , norme e ragionamenti e da credenze e valori (sicuramente preminenti sulle altre) che emergono dal corpo vitale della società.
Il cambiamento in sanità, pertanto, non è un semplice atto volontaristico in cui gli architetti del sistema mettono in atto, in forza della loro razionalità olimpica, una strategia convergente con gli interessi dei professionisti, ma nasce dalla affermazione di un nuovo paradigma cognitivo culturale che si impone sul precedente ( quello attuale) basato su logiche di mercato e consumismo sanitario.
Ricordo che la legge di istituzione del SSN (833/78) fu possibile solo grazie alle grandi lotte operaie per la salute in fabbrica e alla nascita di una nuova epistemologia della malattia basata sulla soggettività operaia e sul gruppo omogeneo come elemento valutativo del malessere che la medicina ufficiale pretendeva di non prendere in considerazione perché ostile agli interessi della produzione.
Lo stesso dicasi con le successive riforme di stampo neo-liberiste degli anni ’90 dove il paradigma della aziendalizzazione e della superiorità gestionale del privato si impose attraverso una sapiente regia da parte dei tanti che, utilizzando strumentalmente il fallimento del modello partecipativo previsto dalla 833, spinsero per l’introduzione del mercato in sanità. Il risultato di quelle politiche è ora sotto gli occhi di tutti: il disavanzo è cresciuto a dismisura; la corruzione ha continuato a essere parte integrante del sistema non essendo stato fatto nulla perché il “familismo amorale” restasse fuori dalla gestione delle nuove aziende e la qualità del sistema estremamente diversificata nel gradiente nord-sud.
Serve un cambiamento basato su un nuovo sistema valoriale, su una egemonia culturale e su una epistemologia sociale che partendo dall’assunto che le malattie, ivi comprese quelle croniche, trovano origine fin dalla vita fetale e nella primissima infanzia in virtù degli ormai certi meccanismi epigenetici di modifica dell’espressione genica (indotta da pullulanti, diossina, fumo altri ossidanti) diventi il patrimonio dei diversi corpi sociali che compongono la società: i cittadini, i professionisti, i politici, gli organi di rappresentanza generale.
E dunque la misura di appropriatezza primaria è quella sulla corretta allocazione delle risorse: e se ai fini della produzione di salute il SSN può contribuire nella misura del 20% (come sostenuto dalla OMS), la prima battaglia culturale è lottare perché la promozione della salute e la prevenzione primaria trovi spazio in un agenda politica che ne è totalmente priva.
La rivoluzione culturale di cui abbiamo bisogno per riformare il nostro e gli altri servizi sanitari consiste nel prendere definitivamente commiato dall’idea che la medicina curativa possa contribuire in maniera esclusiva alla promozione della salute e facendo diventare tale assunzione una nuova credenza utilizzabile per modificare la realtà come direbbero i pragmatisti americani.
Senza di questo c’è il rischio che le misure di razionalizzazione, ivi compreso il risibile DM Ministeriale, siano soltanto una increspatura sulla superficie del mare, essendo altre e ben nascoste le forze che in profondità spostano flussi e correnti.
Roberto Polillo