Abbiamo detto che i limiti culturali della riforma del ‘78 sono parecchi anche se essi non appannano la portata politica di quella riforma che resta in ogni caso una grande discontinuità.
Ma c’è un punto da qualche parte che se fosse stato a suo tempo riformato a dovere avrebbe evitato la super mutua e quindi invarianza e insostenibilità? Secondo me si. Conoscere questo punto per un progetto di riforma diventa essenziale, nel senso che è da lì che bisognerebbe ripartire per riformare oggi il nostro sistema. Questo punto è l’incontro tra l’art. 32 della Costituzione e la riforma del ‘78 ma anche con la “riforma della riforma” del ‘92 e con la terza riforma del ‘99.Questo punto è una pesante invarianza culturale della quale non siamo riusciti a liberarci.
Alcuni brevi cenni storici: di riforma sanitaria o meglio di “
progetto di riforma dell’ordinamento sanitario italiano” si inizia a parlarne nel 1945 in un documento elaborato dalla “
Consulta veneta di sanità” operante in seno al “
Comitato di liberazione nazionale del Veneto”. Esso prevedeva il decentramento dei servizi, la creazione del ministero della Sanità, e si muoveva su due assi strategici: il superamento del sistema mutualistico la creazione di un sistema nazionale finanziato con la fiscalità generale. Nel 1947 nasce la Costituzione italiana e quindi l’art. 32:
“
La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”
La riforma del ‘78 interviene circa 30 anni dopo e fondamentalmente allarga l’ambito degli aventi diritto alla tutela della salute oltre gli indigenti, quindi generalizza il diritto alla salute a tutti i cittadini, interpretando il diritto individuale alla salute come universale. Ma nel fare questo la riforma non riforma quello che avrebbe dovuto riformare sia per superare il sistema mutualistico che per compensare i costi dell’estensione universalistica e garantire così una maggiore sostenibilità del sistema.
Ciò che non riforma è l’idea stessa di diritto che resta confinato in quanto diritto naturale nella vecchia cultura giusnaturalistica della protezione sociale. Il non aver riformato l’idea di diritto ha impedito di riformare l’idea di tutela che su quel diritto si fondava riconfermando per questa ragione una tutela di stampo mutualistico. Allargare il diritto senza ripensarlo, cioè senza ricontestualizzarlo all’interno dei mutamenti socio-economici ma anche culturali dell’epoca, ha creato le condizioni negative sulla base delle quali nel tempo la questione insostenibilità diventerà la palla al piede del sistema.
Allargare il diritto senza ripensarlo in pratica ci ha precluso, da una parte di riformare la domanda e dall’altra di riformare di conseguenza l’offerta. La tutela come idea strategica così è rimasta ferma ad una concezione prettamente curativa e riparatrice. Il passaggio riformatore vero, quello da una politica di
mutual health policy ad una politica di
healthy pubblic policy non è ancora avvenuto.
Oggi tutti sono scandalizzati perché la prevenzione è la cenerentola della sanità ma costoro ancora non si sono resi conto che il sistema universale non funziona di fatto come un produttore di salute. Per cui è inutile negarlo: l’idea mutualistica di tutela, pur con tre riforme, sino ad ora è stata solo marginalmente modificata. Oggi in molti indicano nella prevenzione delle malattie la via di uscita dalla trappola della sostenibilità ma nessuno di costoro pensa che per farlo si debba reinterpretare il taglio giusnaturalistico sia dell’art. 32 che della riforma del ‘78, del ‘92 e del ‘99.
Tutti costoro senza rendersene conto continuano a concepire una idea di diritto quale tutela giusnaturalistica. La salute non è un diritto naturale da proteggere ma è un diritto di cittadinanza cioè un diritto politico da costruire, che per essere costruito ha bisogno di tutelare certamente gli individui e la collettività dai rischi di malattia ma soprattutto di costruire le condizioni contestuali grazie alle quali si impedisca nel limite del ragionevole l’insorgenza delle malattie. Oggi vi sono dei contro riformatori come Confindustria, Confcommercio, la Fimmg e molti altri che ritengono che l’art. 32 si debba interpretare alla lettera cioè che le cure gratuite si debbano assicurare solo agli indigenti e propongono, non di correggere i limiti giusnaturalistici della riforma del ‘78 come il buon senso suggerirebbe, ma di fare i fondi integrativi, cioè di ritornare al mutualismo perché per loro il diritto è semplicemente una utilità da vendere e da comprare.
Cosa avremmo dovuto riformare nel ‘78, nel ‘92 e nel ‘99, a proposito di art. 32?
Cinque le questioni centrali:
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l’idea di salute non è solo assenza di malattia o un benessere generico (Oms) o ,come si dice ora, integrità psico fisica, ma è uno scopo, un risultato, un esito, quindi una condizione individuale e collettiva, che si raggiunge solo attraverso un programma. La salute non è la difesa di una verginità biologica ma è soprattutto la costruzione dei suoi determinanti in contesti precisi. Quindi la salute non è solo difesa da agenti nocivi cioè tutela dell’integrità psico-fisica dell’individuo come si continua a dire stancamente, ma è il programma che la costruisce come scopo cioè è l’esito dell’azione coordinata di certi determinanti tra loro legati da rapporti di coreferenzialità. La salute è un valore di uso in ragione del quale si attua un programma che lo afferma in quanto tale;
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l’idea di tutela, non è solo protezione, oggi il cittadino non è un incapace da tutelare come se fosse un minore, ma a certe condizioni è capace di difendersi usando tutto quanto medicina e prevenzione compresa, gli mettono a disposizione. Oggi è il cittadino che si prende cura di se stesso diventando in questo modo il primo soggetto costruttore di salute;
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l’idea di diritto alla salute è un diritto di cittadinanza quindi un diritto politico e come tale nasce prima di tutto dall’uso della cittadinanza, facendo leva sulla comunità, facendo della comunità il terreno preferito della sussidiarietà;
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l’idea di interesse collettivo, che nell’art. 32 si riferisce ad una vecchia concezione igienista (rammento che ai tempi dell’art. 32 la salute era delegata al ministero dell’Interno) oggi è una delle chiavi di volta delle politiche di sostenibilità per cui è diventata un interesse generale e come tale non è circoscrivibile più nell’ambito della sanità. La salute come interesse generale è sanitario e sovra-sanitario;
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l’idea di “repubblica” oggi va oltre le istituzioni sanitarie che si occupano della prevenzione cioè riguarda l’intero apparato istituzionale dello Stato quasi a voler sottolineare che la salute è un bene primario che in quanto tale va costruito in modi diversi ad ogni livello e che per questo necessita di una meta organizzazione. Questa è la coreferenzialità cioè le istituzioni utili assumono la salute come un comune referente condividendo un programma comune. Nello stesso tempo “repubblica” si riferisce ad uno stato democratico rispetto al quale il popolo resta sovrano e la cui sovranità viene esercitata anche come il principale soggetto di salute. Salute e democrazia sono la stessa cosa.
Se queste cinque idee fossero state riformate o ricontestualizzate traendone tutte le conseguenze organizzative e culturali, operative e pragmatiche, oggi il nostro sistema sanitario non sarebbe una super mutua al contrario sarebbe un moderno sistema
health oriented.
Se le cose sono queste che si fa? Ritorniamo alle mutue assicurative come propongono i contro riformatori? O al contrario smutualizziamo il sistema lasciandolo universale rendendolo sostenibile costruendo salute ?
Ivan Cavicchi
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