In Italia continua ad aumentare la speranza di vita: siamo al primo posto in Europa per gli uomini (80,3 anni) e al terzo per le donne (85,2). Nel complesso, rispetto alla media dei 28 paesi europei (80,6 anni), nel nostro paese la vita media attesa della popolazione è più lunga di almeno 1 anno e mezzo, attestandosi al secondo posto della graduatoria (82,9 anni) dopo la Spagna. E’ quanto emerge dal III Rapporto dell’Istat ‘
Bes 2015: il benessere equo e sostenibile in Italia’. In calo la mortalità infantile, come anche quella legata ai tumori maligni per i maschi. In flessione la quota di fumatori e di consumatori di alcol a rischio, ma diminuisce anche il benessere psicologico confermando
i dati della precedente edizione del rapporto. Permangono
nette le differenze geografiche nella salute fisica e psicologica, sempre a vantaggio del Centro-Nord, e nei fattori di rischio legati agli stili di vita.
La speranza di vita alla nascita registra ogni anno in Italia un lieve ma costante incremento, passando da un valore di 80,7 anni nel 2004 a 82,2 nel 2013.2 Non migliora, invece, la qualità della sopravvivenza, che torna ai livelli del 2011. La speranza di vita
in buona salute alla nascita si attesta a 58,2 anni e quella senza limitazioni funzionali a 65 anni si stima pari a 9,2 anni. Sebbene tra il 2008 e il 2013 le persone di 65 anni abbiano guadagnato mediamente oltre mezzo anno di vita, solo metà del tempo guadagnato è vissuto senza limitazioni funzionali.
Il valore del tasso di
mortalità infantile in Italia è da anni stabilmente tra i più bassi d’Europa e continua a diminuire (tra il 2011 e il 2012 da 31 a 30 decessi ogni 10.000 nati vivi) principalmente per effetto della riduzione tra i cittadini stranieri, che però mantengono livelli lievemente superiori rispetto agli italiani. Dal 2006 al 2012 si osserva infatti una riduzione del tasso di mortalità infantile per 10.000 nati vivi residenti da 32,3 a 28,1 per i cittadini italiani e da 49,9 a 41,3 per i bambini che hanno entrambi i genitori di cittadinanza straniera. Il tasso di mortalità per accidenti di trasporto tra i giovani, responsabile di quasi la metà dei decessi nella fascia d’età 15-34, ha ripreso a diminuire, attestandosi, nel 2012, a 0,8 decessi per 10.000 residenti.
Il
progressivo invecchiamento della popolazione ha tra le sue conseguenze l’aumento della diffusione delle demenze e delle malattie mentali. Dopo avere assistito ad un rallentamento della crescita nel 2010 e 2011, il dato del 2012 marca una chiara tendenza all’aumento della mortalità per queste cause (27,3 decessi per questa causa per 10.000 abitanti). Il 56% di coloro che muoiono per demenze o malattie del sistema nervoso ha un’età superiore a 85 anni.
Nel 2014
continua a contrarsi la quota di fumatori tra le persone di 14 anni e più, che cala al 20%. In flessione anche la percentuale di persone di 14 anni e più che eccedono rispetto alle raccomandazioni sul consumo di
alcol. La percentuale di
sedentari, invece, dopo l’aumento registrato nel 2013, torna ai livelli dei due anni precedenti, senza modificare il trend di lungo periodo, in lenta e minima riduzione (dal 41,2% nel 2005 al 39,7% nel 2014). La cifra di persone in eccesso di peso rimane sostanzialmente stabile nel lungo periodo, con il 44,6% delle persone di 18 anni e più obeso o in sovrappeso.
Complessivamente emerge come gli uomini siano maggiormente penalizzati, seppure le differenze di genere siano in molti casi in diminuzione. Continuano ad assottigliarsi nel tempo le differenze nella speranza di vita: in 10 anni gli uomini hanno guadagnato in media più di 2 anni mentre le donne 1,4 anni, anche se restano più longeve (4,7 anni in più rispetto agli uomini). Una maggiore longevità ha però come contropartita un maggior numero di anni vissuti con limitazioni nelle attività da parte delle donne. Nel 2013, una donna di 65 anni può contare di vivere in media ancora 22 anni, ma di questi solo 9 saranno vissuti senza limitazioni; un suo coetaneo invece vivrà in media 18,5 anni, 9,5 anni dei quali senza alcuna limitazione nelle attività. Le donne, inoltre, evidenziano un peggiore benessere psicologico e, dopo i 50 anni, un peggiore stato di salute fisica.
Stili di vita poco salutari continuano ad essere più diffusi tra gli uomini, ad eccezione della
sedentarietà che prevale tra le donne. Sono sempre molto evidenti le differenze di genere nell’abitudine al fumo, con il 24,8% di fumatori tra gli uomini e il 15,5% tra le donne di 14 anni e più, anche se i divari tendono a ridursi a causa di una più rapida diminuzione dell’abitudine al fumo tra gli uomini, particolarmente significativa tra i giovani maschi di 20-24 anni. Per l’eccesso di peso permangono ampie differenze di genere a svantaggio degli uomini, con il 54,1% di uomini obesi o in sovrappeso, contro il 35,5% delle donne.
Se le differenze di genere tendono a diminuire, le disuguaglianze territoriali nelle condizioni di salute si acuiscono. Nel Mezzogiorno la durata della vita media continua ad essere più breve, con una differenza di almeno un anno rispetto al Nord e poco inferiore rispetto al Centro. La forbice diventa più ampia quando si considera il numero medio di anni vissuti in buona salute. Nel 2013 nel Nord si osserva un valore della speranza di vita in buona salute di circa 5 anni superiore rispetto a quello del Mezzogiorno. Un nuovo nato nel 2013 al Nord, può contare di vivere almeno 61,3 anni di vita in buona salute se maschio e 58,8 se femmina, mentre nel Mezzogiorno gli anni si riducono rispettivamente a 56,3 per i maschi e a 54,6 per le femmine.
Nel Mezzogiorno anche la speranza di vita senza limitazioni nelle attività a 65 anni è più breve di quasi 3 anni rispetto a quella del Nord (7,5 anni a fronte di 10,3 anni). Le donne del Meridione appaiono le più penalizzate, a 65 anni possono aspettarsi di vivere appena 7,0 anni senza incorrere in limitazioni nelle attività a fronte dei 10,4 anni delle loro coetanee del Nord. Anche per gli uomini si registrano analoghe differenze territoriali, sebbene più contenute.
Il peggioramento del benessere psicologico, più evidente nel Mezzogiorno, ha determinato differenze territoriali non rilevate fino al 2005 per tale indicatore. Nel 2013 è la regione Marche quella che continua a registrare i punteggi medi più bassi dell’indice di stato psicologico, immediatamente preceduta dalle regioni meridionali: Campania, Calabria e Puglia.
Il Nord si caratterizza, tuttavia, per maggiori quote di consumo di alcol considerato a rischio, con oltre un quarto di consumatori a rischio tra gli uomini di 14 anni ed oltre, mentre sono circa un quinto nel Mezzogiorno. In particolare il maggior rischio si riscontra tra gli uomini residenti in Trentino Alto Adige, Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia e Veneto. Si registra tuttavia un segnale positivo di forte diminuzione nel comportamento a rischio tra i minorenni nel Nord, con una percentuale che scende dal 52,4% del 2007 al 32% del 2014.
Le più alte quote di sedentari si osservano in Sicilia (con oltre il 60%), seguita da Puglia e Campania, mentre percentuali più basse si registrano nelle province di Trento e di Bolzano (sotto il 20%). Le regioni con la percentuale più alta di persone di 18 anni e più in eccesso di peso sono la Campania, Molise, Calabria e Puglia, con valori superiori al 50% (superiori al 60% tra gli uomini). Trento, Valle d’Aosta e Piemonte rilevano la situazione più favorevole, con percentuali di individui in eccesso di peso inferiori al 40%.