Si torna a parlare di Corte di Giustizia Europea e di farmacie: lo fanno
Fabio Pammolli e Nicola Salerno, gli esperti del Cerm, che questa volta sottopongono a esame il contenuto di un’Ordinanza della Corte del Lussemburgo, emanata nel mese di ottobre 2010 e resa nota nelle ultime settimane. Un’Ordinanza che – ricordano gli autori – fa diretto riferimento alla sentenza emanata il 1° giugno 2010, con la quale la Corte si era pronunciata in merito alla pianta organica della provincia spagnola delle Asturie. In quella sentenza, i cui contenuti sono stati riaffermati nell’Ordinanza in questione, la Corte giudicò la pianta organica adottata dalle Asturie “non in contrasto con il Trattato delle Comunità Europee”. Sottolineò però che quella valutazione aveva valore “in linea di principio”, “nella misura in cui la pianta organica fosse strumentale al perseguimento della salute pubblica”.
La tesi sostenuta dagli esperti del Cerm è sostanzialmente questa: la Corte di Giustizia Europea può esprimere il proprio giudizio esclusivamente sulla rispondenza delle norme nazionali a quelle del Trattato Ce, costitutivo della Comunità Europea. Non è quindi possibile – sempre secondo gli autori – ricorrere a queste pronunce come “puntello” dell’attuale normativa che regola l’apertura delle farmacie sul territorio.
In sostanza, all’attenzione della Corte è stata portata una questione di diritto che non entra nella sostanza delle cose. E, di conseguenza, i magistrati comunitari non si sono espressi sulla “validità” della normativa dei singoli Stati, ma solo sulla sua congruità con le norme sulle quali si basa l’Unione Europea: inutile perciò dare una lettura “corporativa” di queste sentenze, che non offrono alcuna sponda a chi sostenga la validità del sistema delle piante organiche. “Si può dare per assodato che quel che il legislatore nazionale ha scelto illo tempore corrisponda nunc et semper alla soluzione migliore?”, si legge nel testo del Cerm. Che propone invece una soluzione improntata ai criteri di apertura dei mercati sostenuti sia dall’Antitrust italiana, sia dalla Commissione europea.
Secondo i due esperti, occorrerebbe “ripensare la normativa nazionale sulle farmacie, rimettendola tutta in discussione”. Sia perché un’apertura liberista potrebbe in ogni caso “ridimensionare”…“le difficoltà di copertura adeguata e omogenea del territorio”, sia perché l’ingresso di “migliori risorse umane e capitali privati” nel sistema potrebbe servire da volano alla farmacia dei servizi, “sfida importante, che i professionisti dovrebbero accogliere con entusiasmo, per valorizzare appieno il loro capitale umano, soprattutto quello dei giovani, e rinnovare ruolo e figura del farmacista”.