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QS Edizioni - venerdì 22 novembre 2024

Studi e Analisi

Concorrenza. La relazione dell'Antitrust al Parlamento. Pitruzzella: “Mercato farmaceutico oggetto di grande attenzione”

immagine 18 giugno - Dal caso Avastin/Lucentis a quello Aspen sui farmaci antitumorali. Dai servizi di assistenza nei casi di danni da “malasanità” alle criticità legate ai tetti di spesa e volumi di attività per le strutture della Sardegna e Calabria. Per finire le restrizioni alla pubblicità imposte dalla Fnomceo ai camici bianchi. Queste le criticità emerse dalla relazione annuale presentata oggi a Montecitorio dal presidente Pitruzzella. LA RELAZIONE
"Il mercato farmaceutico è stato, nell’ultimo periodo, oggetto di grande attenzione da parte dell’Autorità. Nel caso Roche/Novartis, l’Antitrust è intervenuta a sanzionare l’intesa orizzontale per la ripartizione del mercato posta in essere da due colossi dell’industria farmaceutica, finalizzata a limitare la diffusione del molto meno caro farmaco Avastin a vantaggio del più costoso Lucentis, venduto dalla Novartis. L’Autorità ha inoltre avviato un’istruttoria nei confronti delle società Aspen Pharma Trading Limited e Aspen Italia Srl (appartenenti al gruppo sudafricano Aspen), per verificare l’ipotesi di un abuso di posizione dominante nel mercato dei farmaci antitumorali compresi nella fascia A. Sempre nell’ottica di verificare il corretto svolgimento di dinamiche competitive nei mercati dei farmaci, è stata recentemente avviata un’indagine conoscitiva sui vaccini per uso umano". Queste sono solo alcune delle segnalazioni contenute nella Relazione annuale al Parlamento, presentata oggi a Montecitorio alla presenza del Capo dello Stato Sergio Mattarella, del presidente del Senato Pietro Grasso e della presidente della Camera Laura Boldrini, dal presidente dell’Antitrust Giovanni Pitruzzella.
 
L'attenzione dell'Authority non si è concentrata solo sulla farmaceutica. Tra le altre segnalazioni dell'Agcm di interesse sanitario viene ricordato l'ingiustificato diniego da parte dell'Asl di Taranto per l'affidamento ad una parafarmacia del servizio Cup gratuito, e ancora le criticità di natura concorrenziale emerse nella distribuzione tra le diverse strutture sanitarie private della Sardegna dei tetti di spesa e dei relativi volumi di attività, e il contestato criterio della spesa storica per l'affidamento dei tetti di spesa e volumi di attività per la rete delle strutture private accreditate della Calabria. Per finire, le restrizioni deontologiche applicate dalla Fnomceo in tema di ricorso alla pubblicità da parte dei singoli professionisti e delle reti di studi odontoiatrici.
 
Ma è più in generale che in ogni caso l'Antitrust sottolinea ancora una volta che in Italia "i lacci e laccioli denunciati dall’Autorità quindici anni fa ancora frenano la ripresa dell’economia italiana, bloccano lo sviluppo delle capacità individuali, limitano le opportunità di crescita delle imprese". "Le regole esistenti - continua la relazione - continuano ad essere in tanti ambiti obsolete e ingiustificate. Soprattutto nell’ambito dei servizi, le regole sulla nascita e sulla crescita delle imprese sono ancora troppo restrittive, chiudendo al mercato e alla concorrenza spazi troppo ampi della nostra economia". "Si pensi ai servizi pubblici locali e al ruolo predominante in esso svolto dalle società municipalizzate - dice Pitruzzella -. Ma analoghe considerazioni possono essere svolte anche per i pubblici esercizi, la grande distribuzione, i servizi alla persona, la sanità, i servizi turistici, le energie rinnovabili, le telecomunicazioni, i servizi finanziari, le farmacie, tutti settori in cui regolazioni ingiustificatamente restrittive, spesso introdotte a livello locale, frenano l’accesso al mercato, distorcono le scelte imprenditoriali e tendono a mantenere, a svantaggio dei consumatori e dell’intera economia nazionale, una struttura produttiva obsoleta e caratterizzata da scarse innovazioni, da prezzi elevati e da una bassa crescita".

Queste comunque le criticità specifiche riguardanti la sanità riportate nella relazione.

Caso Avastin-Lucentis
Nel marzo 2014, l’Autorità ha concluso un procedimento istruttorio accertando l’esistenza di un’intesa restrittiva della concorrenza, in violazione dell’articolo 101 del TFUE, tra F. Hoffman-La Roche Ltd. (Roche), Novartis AG (Novartis), Novartis Farma Spa e Roche Spa, volta a ottenere una “differenziazione” artificiosa dei farmaci Avastin e Lucentis. Il procedimento era stato iniziato nel febbraio 2013, in seguito ad alcune denunce pervenute dall’Associazione Italiana Unità Dedicate Autonome Private di Day Surgery e della Società Oftalmologica Italiana, per presunti comportamenti anticoncorrenziali relativamente alla commercializzazione in Italia dei farmaci Avastin e Lucentis. L’Autorità ha ritenuto che il mercato rilevante, dal punto di vista merceologico, fosse quello dei farmaci per la cura di patologie della vista dovute a disordini vascolari oculari. Quanto alla dimensione geografica dei mercati, l’Autorità ha ritenuto che questa dovesse corrispondere al territorio italiano. Nel corso del procedimento, l’Autorità ha accertato che le capogruppo Roche e Novartis, anche attraverso le rispettive filiali italiane, avevano concertato sin dal 2011 una differenziazione artificiosa dei farmaci Avastin e Lucentis, condizionando così le scelte di medici e determinando notevoli aggravi di costi a carico dei servizi sanitari. Avastin è un prodotto sviluppato da Genentech (il cui capitale, dal 2009, è interamente detenuto da Roche) e registrato esclusivamente per usi antitumorali, ma dalla metà della prima decade del 2000 è stato impiegato off label in tutto il mondo anche per la cura di patologie vascolari oculari; Lucentis è un farmaco basato su una molecola derivata da quella di Avastin, ed è stato appositamente registrato per le patologie della vista. Genentech ha ceduto a Novartis, tramite un accordo commerciale stipulato nel giugno 2003, i diritti di commercializzazione esclusiva di Lucentis al di fuori degli USA. Tra i due farmaci, rispetto alle applicazioni oftalmiche, sussiste una differenza significativa: per quanto riguarda l’Italia, una dose di Avastin destinata a iniezione intraoculare ha un costo pari al massimo a circa 80 euro, mentre un’applicazione di Lucentis costa ora circa 900 euro. L’Autorità, durante l’istruttoria, ha rilevato che Roche e Novartis, per evitare che le più economiche applicazioni oftalmiche di Avastin ostacolassero lo sviluppo commerciale di Lucentis, avevano condiviso un piano di artificiosa “differenziazione” di Avastin e Lucentis. Tale 65 differenziazione era stata compiuta attraverso un’intesa orizzontale realizzatasi tramite una pluralità di condotte concertate. Le imprese avevano in particolare enfatizzato i profili di sicurezza relativi all’uso intravitreale di Avastin, producendo e diffondendo informazioni volte a condizionare le scelte dei medici, cui competono le decisioni terapeutiche e la scelta dei relativi farmaci. Tali comportamenti avevano riguardato anche le reazioni da tenere nei confronti di una pluralità di soggetti quali organi di stampa, interlocutori di settore, fino ad arrivare allo stesso legislatore nel momento in cui era stata tentata l’introduzione di una normativa volta a sostenere gli usi oftalmici di Avastin. L’Autorità ha accertato che tale intesa aveva consentito la massimizzazione dei profitti di tutte le imprese coinvolte, in ragione dei rapporti commerciali intercorrenti tra i gruppi Roche e Novartis. Roche aveva infatti realizzato importanti profitti attraverso le royalties e le fees corrisposte da Novartis a Genentech per le vendite di Lucentis; Novartis, oltre a guadagnare dall’incremento delle vendite di Lucentis (nel 2012, in Italia, pari a 60 milioni e risultate in forte crescita ulteriore nel 2013), partecipava agli utili di Roche, in ragione di una sua rilevante quota di partecipazione. L’Autorità, nonostante l’intesa avesse un chiaro oggetto anticoncorrenziale, ha proceduto anche all’accertamento della sussistenza dei suoi effetti. In particolare, è emerso che, sostituendo un farmaco (Avastin) con l’altro (Lucentis), l’intesa aveva prodotto una profonda alterazione dei meccanismi della domanda, limitando la libertà di scelta dei consumatori attraverso il condizionamento del giudizio e della scelta terapeutica dei medici. Questo aveva portato anche a rilevanti difficoltà nell’organizzazione dei servizi sanitari da parte delle Regioni, a fronte della necessità di riprogrammare le risorse finanziarie da destinare all’acquisto del farmaco più costoso, con una limitazione nell’accesso alle cure per pazienti affetti da gravi patologie. L’Autorità ha stimato che la sostituzione totale di Avastin con Lucentis aveva comportato, per il SSN, nel solo 2012, un aumento nei costi pari a 44,8 milioni di euro. Tali stime, proiettate per gli anni 2013 e 2014, hanno mostrato un potenziale aggravio economico per il SSN pari a circa 540 milioni di euro nel 2013 e 615 milioni di euro nel 2014. Sulla base degli elementi acquisiti nel corso dell’istruttoria, l’Autorità ha ritenuto che il comportamento dei gruppi Roche e Novartis, consistente nel coordinamento delle rispettive condotte commerciali, costituisse un’intesa restrittiva della concorrenza avente a oggetto un’illecita ripartizione del mercato. L’Autorità ha riconosciuto tale condotta come molto grave, in quanto si inseriva in un ambito, quello farmaceutico, di per sé caratterizzato da una profonda asimmetria informativa tra produttori e consumatori. Inoltre, i prodotti interessati avevano per lungo tempo goduto 66 di un assoluto vantaggio competitivo, in assenza di pressioni concorrenziali esogene che potessero bilanciare in qualche modo l’ampio potere di mercato delle imprese coinvolte. I gruppi Roche e Novartis, infatti, con riferimento al mercato rilevante, detenevano congiuntamente quote superiori al 90% sia in termini di valore che di destinatari delle cure. Non è stata invece ritenuta responsabile dell’illecito Genentech, dato il suo indiretto coinvolgimento. In ragione della gravità e della durata dell’infrazione, l’Autorità ha comminato al gruppo Novartis una sanzione pari a 92 milioni di euro e al gruppo Roche una sanzione pari a 90,5 milioni di euro

Asl di Taranto e diniego all'affidamento del servizio Cup gratuito a parafarmacia
Nel giugno 2014, l’Autorità ha inviato alcune considerazioni, ai sensi dell’articolo 22 della l. 287/1990, all’Azienda Sanitaria Locale di Taranto (ASL 140 Taranto), relativamente al provvedimento n. 0078139 del 29 ottobre 2013 con il quale negava l’affidamento del servizio CUP gratuito a una parafarmacia che ne aveva fatto richiesta, essendo tale servizio già stato affidato alle farmacie, sulla base di una convenzione tra la suddetta ASL e Federfarma Taranto, nonché già accessibile dal Portale Regionale della Salute e da apposito numero verde. In via preliminare, l’Autorità ha rilevato come le linee di indirizzo della Regione Puglia, assunte in recepimento delle linee guida nazionali sul Sistema CUP, avevano definito lo standard regionale di organizzazione e funzionamento dei sistemi e servizi di prenotazione e accesso ai servizi sanitari, richiedendo che venissero offerti al cittadino una molteplicità di canali di accesso alla prenotazione. L’Autorità ha poi riconosciuto che la possibilità di offrire il servizio CUP alla propria clientela fosse uno strumento idoneo ad ampliare la gamma dei servizi offerti da parte di un determinato esercizio e, conseguentemente, ad attrarre maggiore clientela presso il proprio punto vendita. In tale ottica, l’Autorità ha sottolineato come la decisione di accordare la facoltà di offrire il servizio CUP alle sole farmacie non potesse trovare giustificazione nell’avvenuta attivazione di alcune opzioni (Portale Regionale della Salute, Numero Verde) per la realizzazione del servizio CUP, nella misura in cui le Linee guida regionale affermavano il principio secondo cui l’azienda sanitaria doveva offrire quante più opzioni possibili fra i diversi strumenti prospettati. Per tali motivi, l’Autorità ha rilevato che la decisione di accordare tale facoltà unicamente alle farmacie rappresentava un comportamento idoneo a conferire a quest’ultime un ingiustificato vantaggio concorrenziale nei confronti, in particolare, delle parafarmacie, con le quali si trovano in un rapporto di concorrenza diretta nella distribuzione di determinate categorie di prodotti. L’Autorità ha altresì evidenziato come tale condotta fosse idonea a produrre ricadute negative sui consumatori, i quali venivano privati di un potenziale ulteriore canale di accesso al servizio CUP. In ragione di ciò, l’Autorità ha auspicato una revisione del provvedimento oggetto della segnalazione coerente con le osservazioni formulate.

Sardegna. Distribuzione del tetto di spesa per il triennio 2013-2015 tra le strutture sanitarie private
Nell’agosto 2014, l’Autorità ha inviato un parere alla ASL Cagliari n. 8 ai sensi dell’articolo 21 della l. 287/1990, in merito al contenuto della delibera n. 795 del 19 giugno 2014 integrativa della precedente delibera n. 1354 del 31 luglio 2013 riguardante il tetto di spesa per il triennio 2013/2015 per l’erogazione delle relative spese tra strutture sanitarie private. In 141 particolare, l’Autorità ha individuato delle criticità di natura concorrenziale nei criteri adottati per la distribuzione tra le diverse strutture dei tetti di spesa e relativi volumi di attività, nella misura in cui eliminavano qualsiasi incentivo a competere tra le strutture accreditate e convenzionate con il S.S.N, in violazione dell’articolo 106 del TFUE nonché della delibera della Giunta Regionale Sardegna n. 51/19 del 28 dicembre 2012. In particolare, l’Autorità ha ritenuto che il criterio basato sulla spesa storica di ciascuna struttura, attribuendo a ciascuna struttura privata accreditata sostanzialmente lo stesso budget dell’esercizio precedente, cristallizzava di fatto le posizioni degli operatori preesistenti sul mercato e non consentiva un adeguato sviluppo delle strutture maggiormente efficienti. L’Autorità ha evidenziato, infatti, come quest’ultime non si trovassero nelle condizioni di poter far valere, ai fini della copertura della spesa, i migliori risultati raggiunti sia in termini di contenimento dei costi che di soddisfacimento della domanda. In aggiunta, l’allocazione del budget sulla base della spesa storica ostacolava l’accesso sul mercato anche di nuovi soggetti imprenditoriali, che a parità di capacità tecnico professionale venivano, in tal modo, inevitabilmente pregiudicati. Inoltre, l’Autorità ha sottolineato come anche i giudici amministrativi avessero rilevato criticità connesse al criterio della spesa storica, affermando, in diverse pronunce, che il criterio della spesa storica, oltre a non garantire la razionalizzazione delle erogazioni delle prestazioni sanitarie sulla base dei bisogni relativi a livello distrettuale, non risultava il più adeguato a rispondere alle esigenze dell’utenza e a consentire nello stesso tempo lo sviluppo con pari opportunità di nuovi e adeguati operatori. Infine, l’Autorità ha rilevato come tale criterio apparisse in contrasto con la delibera della Giunta Regionale n. 51/19 del 28 dicembre 2012 nella quale, in ottemperanza ai principi di concorrenza espressi dall’Autorità, veniva affermato che nella determinazione dei volumi di attività da acquisire dai singoli operatori doveva essere considerato non solo il fatturato storico, ma anche la capacità erogativa delle singole strutture e i nuovi fabbisogni indicati nei rispettivi piani aziendali. Per questi motivi, l’Autorità ha auspicato la rimozione, da parte dell’ASL n. 8 di Cagliari, degli aspetti restrittivi della concorrenza contenuti nella delibera oggetto della segnalazione.

Calabria. Strutture sanitarie private accreditate e criterio della spesa storica
Nel dicembre 2014, l’Autorità ha espresso il proprio parere ai sensi dell’articolo 21 bis della l. 287/1990 relativamente al contenuto del Decreto del Commissario ad acta (per l’attuazione del piano di rientro dai disavanzi del SSR Calabrese, secondo i Programmi operativi di cui all’articolo 2, comma 88, della legge 30 dicembre 2009, n. 191) n. 68 del 20 ottobre 2014, recante la “Determinazione dei tetti di spesa per le prestazioni di assistenza specialistica da privato. Anno 2014”. Con tale provvedimento sono stati individuati i tetti di spesa sia a livello aggregato per ciascuna ASL provinciale della Calabria (di seguito anche ASP) che per ciascuna struttura convenzionata all’interno di ciascuna ASP sulla base del criterio della “spesa storica”, ossia considerando quale parametro di riferimento “i dati relativi alla produzione dell’anno 2013”. Al riguardo, l’Autorità ha osservato che l’utilizzo del criterio della spesa storica, già oggetto di numerosi interventi segnalatori dell’Autorità, integra una violazione dei principi a tutela della concorrenza nella misura in cui elimina qualsiasi incentivo a competere tra le strutture accreditate e convenzionate con il SNN e attribuisce a imprese già titolari di diritti speciali - per il solo fatto di essere accreditate e convenzionate con l’SNN - un indebito vantaggio concorrenziale, in violazione dell’articolo 106 del TFUE31. L’utilizzo di tale criterio, infatti, determinando l’attribuzione dello stesso budget relativo all’esercizio precedente a ciascuna struttura privata accreditata, cristallizza le posizioni degli operatori preesistenti sul mercato e non consente un adeguato sviluppo delle strutture maggiormente efficienti. Queste, infatti, non si trovano nella condizione di poter far valere, ai fini della copertura della spesa, i migliori risultati raggiunti sia in termini di contenimento dei costi che di soddisfacimento della domanda. Inoltre, l’allocazione del budget sulla base della spesa storica ostacola l’accesso sul mercato anche di nuovi soggetti imprenditoriali, che a parità di capacità tecnico professionale vengono, in tal modo, inevitabilmente pregiudicati. In conclusione, l’Autorità ha ritenuto che il criterio utilizzato per ripartire il tetto di spesa tra le strutture sanitarie convenzionate con il Servizio Sanitario Nazionale, contenuto nel Decreto del Commissario ad acta n. 68 del 20 ottobre 2014, integri una specifica violazione dei principi concorrenziali nella misura in cui elimina qualsiasi incentivo a competere e attribuisce a imprese già titolari di diritti speciali un indebito vantaggio concorrenziale in violazione dell’articolo 106 del TFUE. Al 31 dicembre 2014 era ancora in corso il termine per la risposta dell’Amministrazione.

Servizi di assistenza nei casi di danni da “malasanità”
Nel mese di agosto 2014 è stata portata a termine l’istruttoria nei confronti di Obiettivo Risarcimento Srl, società che offre un’attività di assistenza a consumatori che ritengano di aver subito danni da “malasanità”. Sono state oggetto di valutazione: i) clausole relative all’individuazione del corrispettivo in caso di esito positivo dell’attività svolta dal professionista, redatte in modo non chiaro e comprensibile; ii) clausole in tema di revoca del mandato e di violazione dell’esclusiva volte a imporre penali di importo eccessivamente oneroso, limitando i diritti e le azioni del consumatore nell’ipotesi di inadempimento del professionista; iii) clausole volte a individuare un foro competente diverso da quello di residenza o di domicilio elettivo del consumatore. Nel corso del procedimento è stata svolta la consultazione prevista dall’articolo 37 bis, comma 1, del Codice del Consumo, tramite la pubblicazione di un comunicato nell’apposita sezione del sito internet istituzionale dell’Autorità, alla quale hanno risposto alcune delle associazioni di consumatori più rappresentative a livello nazionale. A conclusione del procedimento, l’Autorità ha accertato la vessatorietà delle clausole presenti nel modulo contrattuale utilizzato dal professionista, valutando contestualmente anche le nuove clausole predisposte dallo stesso professionista per far venire meno i profili di vessatorietà rilevati. Si evidenzia, infine, che, nei confronti di due operatori attivi nel medesimo settore (Periplo Familiare e Sportello Legale Sanità), e relativamente a profili di vessatorietà di minore gravità presenti in clausole di contratti per la fornitura di servizi di assistenza in casi di “malpratica sanitaria”, l’Autorità ha svolto altrettanti interventi di moral suasion.

Restrizioni deontologiche da parte della Fnomceo
Nel settembre 2014, l’Autorità ha concluso un procedimento istruttorio accertando l’esistenza di un’intesa restrittiva della concorrenza, in violazione dell’articolo 101 del TFUE, posta in essere dalla Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (FNOMCO), volta a limitare ingiustificatamente il ricorso alla pubblicità da parte dei singoli professionisti e delle reti di studi odontoiatrici. Il procedimento era stato avviato dall’Autorità a seguito, oltre che di una propria indagine conoscitiva (IC34), di numerose segnalazioni pervenute da parte di singoli professionisti, da società che gestiscono studi odontoiatrici e dalla società Groupon Spa, che lamentavano di essere stati convocati in audizione o assoggettati a sanzioni disciplinari da parte di singoli Ordini professionali in esecuzione delle disposizioni del Codice deontologico e delle Linee guida. L’Autorità ha ritenuto che il mercato rilevante sul quale valutare le condotte nel procedimento in esame fosse quello della prestazione di servizi professionali medici e odontoiatrici. Quanto alla dimensione geografica del mercato, l’Autorità ha ritenuto che esso corrispondesse al territorio italiano. Nel corso del procedimento l’Autorità ha accertato che il Codice di deontologia medica 2006 e le Linee Guida, deliberati entrambi da FNOMCO, prevedevano disposizioni idonee a restringere in misura sensibile la concorrenza, mediante l’imposizione di ingiustificati divieti o vincoli all’utilizzo dello strumento pubblicitario. In particolare, il Codice deontologico prevedeva un divieto assoluto alla pubblicità promozionale e comparativa, nel contesto del richiamo al principio del decoro professionale. L’Autorità ha evidenziato come il parametro del “decoro professionale”, quale clausola generale cui doveva conformarsi la pubblicità in materia sanitaria, in assenza di criteri idonei a individuarne chiaramente l’esatto contenuto prescrittivo, lo rendeva suscettibile di interpretazioni e applicazioni ingiustificatamente restrittive. In aggiunta, l’Autorità ha rilevato come le Linee Guida legittimavano la diffusione dei messaggi pubblicitari contenenti le tariffe dei servizi offerti solo se, al contempo, pubblicizzavano altri elementi. Infine, l’Autorità ha evidenziato come il Codice deontologico e le Linee Guida prescrivevano che i professionisti dovessero richiedere verifiche agli Ordini circa la conformità alle norme deontologiche dei messaggi pubblicitari che intendevano diffondere, considerando illecito disciplinare la mancata osservanza di tali disposizioni. In tal modo, si era sviluppata una prassi di controllo preventivo, generalizzato e sistematico, dei messaggi pubblicitari da parte degli Ordini, idonea a ostacolare l’attività promozionale degli iscritti. Secondo l’Autorità, i divieti e i limiti alla diffusione di messaggi pubblicitari contenuti nelle disposizioni di cui sopra, non risultavano 69 proporzionati al perseguimento di finalità di interesse generale legate alle peculiarità della professione medica, quali la tutela dei destinatari di tali messaggi. L’Autorità ha considerato che l’intesa in esame fosse idonea a falsare sensibilmente il gioco della concorrenza, in quanto sia il Codice deontologico che le Linee Guida dettavano norme a cui si dovevano adeguare le condotte di tutti gli iscritti agli Albi presenti sull’intero territorio nazionale. L’Autorità ha inoltre considerato la condotta come grave, nella misura in cui era volta a limitare i comportamenti economici di professionisti indipendenti mediante la previsione di norme deontologiche, assistite da specifici meccanismi sanzionatori, fortemente disincentivanti il ricorso all’attività promozionale da parte degli iscritti. Inoltre, l’Autorità ha evidenziato come già nel corso dell’indagine conoscitiva IC34 avesse svolto un’intensa attività di advocacy nei confronti della Federazione. In ragione della gravità e della durata dell’infrazione, l’Autorità ha comminato alla FNOMCEO una sanzione amministrativa pecuniaria pari a 831.816 euro. 
18 giugno 2015
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