Se diminuisce il consumo di vino, tuttora la bevanda alcolica più frequentata, aumenta quello di birra. La percentuale di consumatori fra i giovani (tra i 13 e i 24 anni) è inferiore alla media nazionale: il 70%, contro l’80. Cresce però fra i giovani il fenomeno dell’abuso di alcool: è a rischio il 23% dei giovani consumatori. Guida: il 17% della popolazione ha guidato pensando di aver bevuto un po’ troppo.
L’indagine realizzata dall’istituto Doxa e commissionata dall’Osservatorio Permanente sui Giovani e l’Alcool sui comportamenti, le opinioni, e gli atteggiamenti degli italiani adulti e dei giovani in merito ai consumi di bevande alcoliche è la sesta campionaria effettuata a cinque anni di distanza dalla precedente del 2005, è basata su un campione assai vasto e superiore di tre volte al numero consuetamente usato per le rilevazioni nazionali di uso corrente: a 2.026 cittadini è stato somministrato un questionario con apposite interviste individuali e personali, non telefoniche ma a domicilio, registrate con tutte le cautele del caso a difesa sia dell’intervistato che della autenticità delle risposte. Una particolare attenzione è stata dedicata alla fascia di età considerata giovanile dalla ricerca: dai 13 ai 24 anni.
Cosa si beve
Il vino risulta tuttora la bevanda alcolica di gran lunga più consumata degli italiani: nei tre mesi antecedenti all’intervista, il 63% degli intervistati aveva bevuto vino, il 56% birra, il 34% aperitivi, digestivi e altre bevande a media gradazione, il 23% superalcolici.
Quando e dove si beve
Chi beve frequentemente, lo fa soprattutto durante i pasti. Prevalgono i consumi a casa, ai pasti, per il vino (l’84% della popolazione che beve lo fa in questa circostanza) mentre per la birra prevale, con il 51,4%, il consumo sociale al bar/pub/birrerie. In Italia, dunque, l’abitudine al consumo di tipo alimentare è ancora dominante. “Si tratta – ha dichiarato il Vice Presidente dell’Osservatorio Permanente sui Giovani e l’Alcool, Michele Contel – di un dato che tutto sommato si conosce poco: la maggioranza degli italiani beve lontano dai modelli drammatizzati dello sballo del sabato sera e non si iscrive d’ufficio nel numero degli irresponsabili che abusano prima di mettersi al volante. il migliore degli anticorpi contro l’abuso è proprio in famiglia. Ciò non significa chiudere gli occhi di fronte a fasce di abuso giovanile e adulto che preoccupano l’opinione pubblica; si tratta di comportamenti che eludono ogni riferimento al piacere e al gusto delle bevande alcoliche, espressivi casomai di disagi interiori e collettivi che confinano pericolosamente con l’autodistruzione. L’Italia – ha concluso Contel – rimane però in una situazione decisamente migliore rispetto ai Paesi del Nord Europa sui fenomeni di abuso, proprio in forza di questa tradizione culturale, anche se essa subisce una progressiva erosione a causa della globalizzazione dei comportamenti giovanili”.
Donne
Il 30% della popolazione femminile non consuma alcool. Il 53%, invece, consuma alcolici “regolarmente” (almeno una volta alla settimana). Le donne rappresentano il 52% della popolazione e il 41% dei consumatori regolari. Negli ultimi 17 anni, cresce sia la percentuale di consumatrici sia la frequenza di consumo.
I giovani
Il profilo del consumo giovanile si presenta come fortemente ridotto nella fase preadolescenziale (13-15 anni) per poi crescere progressivamente negli anni successivi. In sintesi si può affermare che i ragazzi raggiungono gradualmente i livelli medi di consumo della popolazione a partire dai 16 anni per poi stabilizzarsi verso i 19 anni. A quest’età i giovani non bevitori sono comunque sempre il 30 %. Solo dopo i 20 anni i giovani consumatori accedono a consumi regolari nell’ordine del 67%.
I giovani e il “Binge Drinking”
Fra i giovani hanno un peso importante i consumatori occasionali e i non consumatori di alcolici, ma anche i consumatori con esperienze ripetute di comportamenti a rischio. Il 23% dei giovani consumatori (ragazzi tra i 13 e i 24 anni) sono a rischio, e il fenomeno è in aumento. Il 29% dei (35% dei maschi e 22% delle femmine) ricordano di essersi ubriacati almeno una volta nella vita: e quasi il 15% anche negli ultimi 3 mesi (3% in età 13-15 anni, 13% tra 16 e 19 anni, e 21% tra 21 e 24 anni). Il 14,6% dei sedicenni ha dichiarato di aver fatto l’esperienza del Binge drinking (almeno cinque bicchieri in due ore fuori dai pasti).In questa fascia il binge tocca il 20,4% dei maschi e 8,6% delle femmine. Il Binge drinking in crescita tocca una porzione non trascurabile della popolazione giovanile, l’ubriachezza invece non aumenta ma neppure diminuisce.
L’età dell’inizio
Agli intervistati è stato chiesto di ricordare l’età della prima esperienza, cioè del primo assaggio per i diversi tipi di bevande alcoliche. In media hanno indicato un’età fra i 14 e i 15 anni per birra e vino, e di 16 anni per le altre bevande alcoliche.
“Pur senza allarmismi isterici – commenta il Presidente del Laboratorio Scientifico dell’Osservatorio, Enrico Tempesta - i dati sui giovani evidenziano un progressivo aumento dell’abuso sistematico, con i relativi rischi: a 13 anni il sistema nervoso centrale non è ancora completamente sviluppato, una esposizione prolungata e regolare all’alcool può portare ad un ritardo della maturazione e dello sviluppo delle funzioni cognitive, a non dire di molti altri danni sociali”.
“È però inteso – prosegue Tempesta – che non si può pretendere di tutelare i ragazzi con irrealistici divieti di accesso alle bevande alcoliche: l’esempio positivo conta più del divieto; urge caso mai una saggezza educativa che preveda l’avvicinamento agli alcolici sotto la supervisione degli adulti e in connessione con l’educazione al gusto e alla proposta di stili alimentari che educhino al consumo responsabile anche in relazione al principio “o bevi o guidi”.
“Resta aperta la domanda – continuano Contel e Tempesta - di cosa fare per difendere un modello antropologico di educazione al consumo che l’Italia, Paese mediterraneo per eccellenza, ha saputo maturare nel tempo, creando meccanismi sociali di autoregolazione che hanno saputo assicurare al nostro Paese forme di protezione dalla deriva patologica comune nelle culture asciutte del Nord Europa”.
La complessità del rapporto con l’alcool non si lascia ridurre a problema di tipo esclusivamente medico-epidemiologico. L’uso e l’abuso sono da studiare prima di tutto in una prospettiva antropologica e sociale. È il rapporto equilibrato fra piacere e rischio ad essere in crisi, e non solo in Italia ma in tutto il mondo sviluppato: e non solo nel campo del consumo di alcool. Per quest’ultimo, anzi, il nostro Paese sembra ancora possedere degli anticorpi che si tratta di conservare, difendere in un contesto sociale in tumultuosa trasformazione: questo è il problema.