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QS Edizioni - domenica 24 novembre 2024

Studi e Analisi

Stamina & Co. Balduzzi (Csm): "Dietro la tensione tra scienza e diritto c'è anche il dubbio sull'indipendenza delle nostre istituzioni scientifiche. Ma i magistrati devono imparare a valutare meglio la ricerca"

di Giovanni Rodriquez
immagine 19 novembre - Intervista all'ex ministro della Salute, ora membro laico del Csm, a conclusione del Convegno promosso dal Ceims. "Se non vi è certezza dell'autonomia e della piena indipendenza di queste autorità, come posso vincolare un magistrato ad attenersi ai loro pronunciamenti?". "Ma del resto anche i magistrati devono imparare a valutare e interpretare la ricerca scientifica"
Anche quest’anno Alessandria ha ospitato, dal 14 al 15 novembre, il Convegno nazionale di diritto sanitario promosso dal Centro d’eccellenza interdipartimentale per il management sanitario (Ceims) dell’Università del Piemonte Orientale, del quale è direttore scientifico Renato Balduzzi. Giunto alla XII edizione, il convegno quest'anno ha intercettato alcune tra le questioni di maggiore attualità nel dibattito scientifico e pubblico in materia di diritto alla salute. Nel corso della due giorni di lavori sono stati analizzati tre casi al centro di controversie regolatorie e giudiziarie: il terremoto che ha colpito L'Aquila, l'amianto dell'Eternit e la vicenda Stamina. Abbiamo analizzato quanto emerso dal convegno in quest'intervista con Renato Balduzzi, professore ordinario di diritto costituzionale nell'università Cattolica di Milano, ex ministro della Salute, deputato eletto all’ultima legislatura con Scelta Civica e da settembre neo membro laico del Consiglio superiore della Magistratura.
 
Professor Balduzzi, cos'è emerso da questa due giorni di lavori su diritto e scienza?
Innanzitutto, durante il primo giorno, abbiamo affrontato tre casi emblematici che hanno portato ad una 'tensione' tra la scienza ed il diritto. Particolare attenzione è stata dedicata a come le Istituzioni, gli scienziati e i media abbiano affrontato queste vicende. Il punto d'unione di questi casi, tra loro molto diversi, può riassumersi nella questione del bilanciamento tra diritto alla salute e scientificità delle valutazioni. E' stato chiarito che questo bilanciamento spetta al legislatore. Tuttavia nel corso degli interventi, in particolare riguardo alla vicenda Stamina, è stata sottolineata da tutti la differenza tra quanto stabilito nel decreto-legge e quanto deciso da alcuni magistrati. È poi vero che durante il passaggio al Senato, nel corso della conversione in legge, togliendo la norma base si è indebolita la struttura del decreto, ciononostante alcuni magistrati sembrano aver fatto a meno del lavoro prodotto dal legislatore. Ci si è quindi chiesti, se il bilanciamento non è operato dal legislatore, chi lo deve fare? Il punto fermo è che il giudice è soggetto soltanto alla legge e il suo compito deve essere quello di verificare se il bilanciamento operato dal legislatore sia proporzionale.
 
Sulla vicenda Stamina hanno suscitato scalpore le decisioni di alcuni magistrati del lavoro che hanno di fatto ribaltato quanto stabilito dalle autorità scientifiche. Nel corso della discussione è stato affrontato anche questo aspetto?
Certamente. Quanto al pronunciamento da parte dell'autorità scientifica, va spiegato il perché di alcune decisioni da parte dei magistrati che, capisco, possano aver suscitato scalpore. Al magistrato viene fatta una richiesta che parte, come in questo caso, da situazioni tragiche. Per poter dare una risposta a queste problematiche di carattere scientifico il magistrato si affida a dei consulenti. Quando ci si chiede come mai un magistrato non si adegua ai pronunciamenti di un'autorità scientifica nazionale, come ad esempio l’Istituto superiore di sanità, si deve tener conto di un problema di fondo: se non vi è certezza dell'autonomia e della piena indipendenza di queste autorità, come posso vincolare un magistrato ad attenersi ai loro pronunciamenti?
 
Esiste quindi un problema di indipendenza di questi organismi?
A differenza dei grandi organismi internazionali, quali l'Oms o l’Efsa, gli organismi scientifici dei singoli Stati membri e in particolare i loro vertici non sono caratterizzati dallo stesso livello di autonomia. Di conseguenza, se non vi è garanzia sul fatto che le posizioni espresse da questi Enti siano davvero indipendenti, come possiamo obbligare un magistrato a vincolarsi a queste posizioni? La stessa scienza, del resto, è caratterizzata molto spesso da una sua pluralità. Dobbiamo tutti lavorare per incrementare il livello di autonomia e indipendenza delle Istituzioni scientifiche.
 
Ci sono state anche altre proposte concrete?
Sì. Ad esempio si è parlato di come migliorare la formazione dei magistrati. Su questo punto mi sono impegnato in prima persona. Il Consiglio superiore della magistratura ha il compito di dettare le linee guida per la formazione dei magistrati, ed in questo senso io vorrei porre una particolare attenzione, non alla formazione scientifica in senso stretto dei magistrati, bensì a fornire un bagaglio culturale che permetta loro di saper valutare e interpretare la ricerca scientifica. Devono, cioè, essere preparati a saper ben utilizzare i risultati della ricerca scientifica.
 
Un modo per avvicinare questi due 'mondi'.
Nel corso del convegno abbiamo scoperto un fattore che spesso accomuna tanto lo scienziato quanto il magistrato: la solitudine. Dalla constatazione di questa solitudine è nata un'interessante discussione sulla comunicazione. E' stato evidenziato, infatti, come la solitudine del magistrato non debba essere riempita da una relazione strumentale con i mezzi di comunicazione. C'è stata spesso una forte divaricazione tra un dato accadimento e come i media abbiano poi rappresentato questo accadimento. Quando c'è un rischio, esiste anzitutto un problema di valutazione del medesimo, poi di gestione dello stesso e infine di comunicazione di questo rischio.
 
E' stata proposta una formazione ad hoc anche sulla comunicazione?
No, piuttosto direi che è stata consigliata una certa attenzione nella comunicazione, una maggiore cultura della comunicazione del rischio, sia da parte degli scienziati, sia soprattutto da parte delle istituzioni e dei loro rappresentanti. Facciamo l'esempio concreto delle recenti alluvioni. Ecco, si è parlato spesso a cuor leggero di 'catastrofe'. Certe parole creano allarme. Insomma, non stiamo parlando di una manifestazione sportiva, dove l’uso dell’iperbole non provoca di solito inconvenienti, ma di problemi gravi che toccano direttamente la vita quotidiana di tutti. Si deve porre una maggiore attenzione alle parole che si scelgono, nella piena consapevolezza che queste possono generare determinate reazioni nelle persone.
 
Giovanni Rodriquez
19 novembre 2014
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