Ho trovato di grande interesse le tesi di Tiziana Frittelli (DG del policlinico Tor Vergata di Roma)riferite da
Quotidiano Sanità nei giorni scorsi a proposito di un convegno dal titolo “spending review e sanità”. Diversamente dal senso comune dei suoi colleghi questa dg ci propone di orientare la gestione con la “scelta etica” o almeno ci prova.
In genere i dg che conosco pensano che:
• il management debba obbedire ad una razionalità economica nella quale si suppone che implicitamente esista un’etica cioè che razionalità e etica siano in sostanza la stessa cosa;
• in ogni caso nei confronti del management l’etica non ha una autonomia di giudizio tale da decidere le scelte del management;
• se per l’efficienza si deve sacrificare un po di equità.. cioè se per l’economia si deve sacrificare un po di etica ,non c’è nulla di scandaloso perché l’economia viene prima di qualsiasi cosa.
Con tali tesi sono in disaccordo. La nostra dg fa un altro discorso, certamente non privo di aporie come vedremo, ma indubbiamente interessante:
• per rendere il sistema veramente sostenibile bisogna attuare “scelte etiche” per proteggere ad un tempo i malati, liberare risorse e permettere innovazione
• le scelte in sanità non si possono fare seguendo solo criteri economicistici, per cui la stella polare per il management è l’etica.
Con queste tesi sono d’accordo ma vorrei che un dubbio mi fosse chiarito: in fin dei conti la nostra dg ci propone un cambio di “codice” nel senso che quelli che in genere sono considerati dei problemi economici per lei diventano dei problemi etici. Quindi tutto quanto è vecchio e non serve più, è obsoleto senza evidenza o inappropriato o sprecato, cioè tutto quanto è diseconomico diventa problema etico. Non solo, ma per la nostra dg sono problemi etici anche le grandi questioni sanitarie: l’integrazione con il territorio, la gestione dei beni e servizi, il turn over ecc. Chiedo: è sufficiente chiamare le cose con un nome diverso per gestirle in modo diverso? Quali discontinuità gestionali si rendono ecessarie assumendo l’ideale largo della scelta etica in luogo di quello molto più angusto della scelta economica?
Le principali differenze tra scelta etica e scelta economica sono di due tipi:
• epistemologiche cioè “come” produrre con le scelte un qualche grado di cambiamento quindi la profondità del cambiamento necessario che le scelte implicano;
• pragmatiche nel senso della “cassetta degli attrezzi” che le scelte hanno a disposizione cioè del volume di possibilità necessario per produrre un qualche grado di cambiamento.
Il grado di cambiamento teorico è compreso tra la razionalizzazione cioè un cambiamento marginale che ottimizza i modelli disponibili e la riforma cioè un cambiamento profondo anche dei modelli disponibili.
Se la sanità ha un limite le domande principali a cui la scelta etica tenta di rispondere sono:
• di “quale” sanità abbiamo bisogno per dare a ciascun malato ciò di cui ha bisogno?
• “come” deve essere la sanità perché continui a fare fino in fondo il suo mestiere?
In genere la scelta etica reagisce al limite economico cambiando il sistema sanitario perché ha più possibilità epistemologiche su cui agire e una cassetta degli attrezzi molto grande. L’epistemologia è quella della compossibilità: come è possibile fare in modo che etica e economia non siano in contraddizione e possano coesistere.
Se la sanità ha un limite la domanda principale se non l’unica a cui la scelta economica tenta di rispondere è “quanto”. Quindi quanti costi posso risparmiare? Quanti operatori posso non occupare? Quanti posti letto devo tagliare? Quanti disservizi devo razionalizzare? Ecc.
In genere la scelta economica gestisce il limite limitando i modelli disponibili perché ha meno possibilità epistemologiche e la cassetta degli attrezzi che usa in genere è quella della razionalizzazione, della selettività degli interventi, della parziale privatizzazione del sistema, del contingentamento, dei blocchi ecc. L’epistemologia è quella della compatibilità: l’etica deve adattarsi all’economia per affermare dei limiti.
La grande differenza quindi è che:
• la scelta etica si muove nella logica “dell’alterità” è quindi sempre trasformativa: la sanità deve diventare altro da quello che è perché quello che è non è compossibile con i limiti economici;
• la scelta economica si muove nella logica della negazione cioè la sanità resta quello che è ma per essere compatibile con i limiti economici deve diventare meno di quello che è e quindi è sempre sottrattiva .
La scelta etica cambia in “altro” il mondo che c’è, quella economica “toglie qualcosa” al mondo che c’è. La prima implica un pensiero riformatore per la seconda basta amministrare a risparmio quello che si ha.
Nella logica della compossibilità etica ed economia grazie ai cambiamenti che si mettono in campo non sono in conflitto e la scelta economica è dentro quella etica cioè è resa compossibile.
Nella logica della compatibilità etica ed economia non sono in conflitto in quanto tali ma solo in ragione dell’invarianza strutturale dei modelli disponibili e la scelta economica prevale su quella etica. Cioè sono i modelli che non cambiano ad essere concausa insieme al limite del conflitto e quindi a limitare di più e non di meno il limite che si ha.
Nella compossibilità c’è anche la razionalizzazione delle diseconomie, cioè la razionalizzazione è una delle sue strategie di cambiamento, nella compatibilità la razionalizzazione è l’unica strategia in campo.
Quindi affascinato dal discorso della nostra dg il dubbio che mi è venuto riguarda il rischio che si corre quando si dichiara di voler regolare la gestione con la scelta etica ma si agisce come se fosse una classica scelta economica. In particolare due sono le affermazioni della nostra dg, che se non chiarite, rischiano di contraddire qualsiasi discorso sulla scelta etica. Cosa vuol dire che “non possiamo più dare tutto a tutti”, e che per proteggere i “deboli”.. (ma forse voleva dire “indigenti”) bisogna “chiedere a chi può permetterselo di fare un passo indietro”?(QS 6 novembre)
Se le “scelte etiche” servono a giustificare politiche di restrizione dell’universalismo dubito che quelle scelte siano veramente tali. Esse al massimo sono discutibili scelte economiche vestite di eticismo in linea con i classici pregiudizi compatibilisti che da anni girano in sanità: siccome i soldi sono pochi allora non si può dare tutto a tutti.
Questo modo di ragionare, caro al pensiero neoliberista, paga lo scotto di un grande limite culturale: si ragiona come se si considerasse l’universalismo una diseconomia cioè qualcosa di incompatibile con i limiti economici, fino a trattarlo a sua volta come uno spreco:
• siccome l’universalismo non ce lo possiamo permettere esso è uno spreco;
• l’universalismo quale spreco più che una diseconomia è una vera e propria anti economia.
Quindi:
• siccome c’è un limite economico l’etica è uno spreco;
• se l’etica è uno spreco allora essa è anti economica;
• per cui non possiamo permettercela.
E se lo spreco fosse nel sistema, nei suoi modelli regressivi, nelle sue prassi inflattive, perché prendersela con l’universalismo? Non è meglio dire che nei confronti dei limiti economici non possiamo permetterci sprechi, modelli obsoleti, e prassi diseconomiche, comportamenti professionali antieconomici e lasciare in pace l’etica?
Perché non fare un altro ragionamento:
• siccome c’è un limite economico bisogna fare una scelta etica
• l’etica è un bene comune
• per difendere questo bene comune siamo obbligati a fare dei cambiamenti cioè a combattere gli sprechi, a superare le prassi professionali antieconomiche, a ripensare i modelli vecchi di sanità e vecchie organizzazioni ecc.
In conclusione io credo che la nostra dg sia sulla strada giusta e che per questo debba essere incoraggiata ma anche che sia necessario chiarire meglio i percorsi epistemologici che le scelte etiche implicano. La sua idea di definire un progetto per la certificazione etica dell’ospedale è molto interessante e merita tutta la nostra attenzione.
Ivan Cavicchi