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QS Edizioni - martedì 26 novembre 2024

Studi e Analisi

Obesità. E' emergenza globale: sovrappeso 2,1 miliardi di persone in tutto il mondo. Ma la metà è concentrata in soli dieci Paesi

di Maria Rita Montebelli
immagine 29 maggio - Record di obesi in Usa, Cina e India. Poi Russia, Brasile, Messico, Egitto, Germania, Pakistan e Indonesia. I nuovi dati dal Global Burden of Disease Study e dagli esperti riunti a Sofia per il Congresso Europeo sull’Obesità. Il fenomeno resta allarmante in tutti Paesi occidentali ma si è stabilizzato. Nei Paesi in via di sviluppo la situazione è invece fuori controllo.
Quello che è sotto gli occhi di tutti, da oggi è anche un numero. L’aumento vertiginoso dei tassi di sovrappeso e obesità è un fenomeno che interessa il mondo intero e ha riguardato sia gli adulti (+ 28%), che i bambini (+47%) negli ultimi 33 anni. In questo periodo i numeri dell’obesità sono letteralmente esplosi, passando dagli 857 milioni del 1980, ai 2,1 miliardi del 2013, secondo una nuova analisi del Global Burden of Disease Study 2013, pubblicata su Lancet, che ha preso in esame i dati relativi a 188 nazioni, tra il 1980 e il 2013.
 
Metà degli obesi di tutto il mondo vive in appena 10 Paesi: USA (13%), Cina e India (15%), Russia, Brasile, Messico, Egitto, Germania, Pakistan e Indonesia. Le donne più ‘rotonde’ del mondo vivono in Egitto, Arabia Saudita, Oman, Honduras e Bahrein, mentre gli uomini più obesi si trovano in Nuova Zelanda, Bahrein, Arabia Saudita e USA. A considerare solo le nazioni più sviluppate, l’incremento maggiore dei tassi di obesità si registra negli USA, dove ad essere obeso è un terzo circa della popolazione, in Australia (sono obesi il 28% dei maschi e l 30% delle femmine) e in Gran Bretagna, con un quarto della popolazione obesa.
 
“Sovrappeso e obesità – afferma il Professor Hermann Toplak, Presidente eletto della European Association for the Study of Obesity – sono diventati, vista la loro prevalenza, il problema di salute più importante del 21° secolo. La modernizzazione e tecnologie hanno ridotto a tutti i livelli l’attività fisica. Ed è noto che le persone che smettono di fare esercizio fisico, perdono il controllo dell’assunzione del cibo, mentre chi resta attivo, tende a mangiare in maniera adeguata in relazione alle sue necessità energetiche. E il problema dell’obesità non ha risparmiato le nazioni in via di sviluppo, dove la disponibilità di cibo – in particolare sotto forma di fast food - è aumentata a partire dalla fine degli anni ’70. Questi elementi hanno contribuito a far sì che molti ragazzi (e naturalmente anche molti adulti) non mettono più su massa magra e hanno perso la cultura dell’alimentazione ‘tradizionale’, rimpiazzata da un’incontrollata assunzione di calorie, attraverso spuntini e cultura del mangiare, spalmata lungo tutto il giorno”.  
 
Il boom nella prevalenza dell’obesità si è avuto tra il 1992 e il 2002 ed ha interessato soprattutto la fascia tra i 20 e i 40 anni. Preoccupanti anche le percentuali di sovrappeso-obesità registrati tra i ragazzi dei Paesi industrializzati: nei maschi si è passati dal 17% del 1980 al 24% del 2013 e nelle ragazze dal 16 al 23% nello stesso periodo. Nel 2013 il tasso di obesità tra le ragazze ha raggiunto il 23% in Kuwait e il 30% a Samoa, in Micronesia e Kiribati. In Europa si va dal 14% di ragazzi obesi in Israele e dal 13% di Malta, al 4% di Olanda e Svezia. Le ragazzine più obese vivono invece in Lussemburgo (13%) e Israele (11%), quelle più in forma in Olanda, Norvegia e Svezia. Fortunatamente, almeno per quanto riguarda le nazioni industrializzate, i tassi di incidenza dell’obesità tra gli adulti hanno cominciato a mostrare un rallentamento di crescita negli ultimi 8 anni. Una ‘magra’ consolazione, visto che in molti Paesi in via di sviluppo l’obesità ha ormai superato la soglia del 40%.
 
Numeri questi che rendono insomma poco realistico il target delle Nazioni Unite di arrestare la crescita dei tassi di obesità entro il 2025; e dunque, particolarmente urgente diventa la possibilità di intervenire con programmi e strategie ad hoc, in particolare nei Paesi a basso e medio reddito. “Per evitare conseguenze insostenibili – afferma il professor Klim McPherson dell’Università di Oxford – dobbiamo riportare il BMI (indice di massa corporea) a quello che era trent’anni fa”. Ma per ridurre il BMI ai livelli del 1980 in Gran Bretagna, sarebbe necessario tagliare dell’8% l’introito calorico, un fatto che costerebbe all’industria alimentare una perdita di circa 8,7 miliardi di sterline l’anno. Un boccone molto grosso da mandare giù.
 
Maria Rita Montebelli
29 maggio 2014
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