È notizia di ieri che
l’Emilia Romagna ha inserito l’agopuntura tra le prestazioni coperte dal servizio sanitario pubblico. Ha inoltre istituito un Osservatorio per monitorarne le attività. Un paio di anni fa fu l’ospedale di Pitigliano, in Toscana, ad aprire strutturalmente per primo in Italia a discipline mediche “non convenzionali” (MNC).
Notoriamente la questione delle MNC è controversa dal punto di vista medico (curano o no) e da quello economico (la coperta corta delle risorse di sanità pubblica).
Interessante, va detto, che apripista siano la terra di Balanzone e dell’Università più antica del mondo (“Bolognesi gran dottori”) e oggi tra le regioni più rigorose nel definire i propri prontuari e linee guida basandosi su stringenti prove di efficacia ed evidenze certe e conclamate (EBM, ecc.), come ben sanno industrie farmaceutiche e di biomedicali. E la Maremma, storicamente terra dura forgiatrice di scettici, di confine e di confino (“Siena mi fe’, disfecemi Maremma”, dice struggente a Dante Pia de’ Tolomei, lì esiliata a morte dal marito fedifrago, potente boss della Casta del 1200).
Certo è che in Italia il ricorso a cure non convenzionali si sta facendo sempre più diffuso.Gli italiani spendono per le MNC circa un miliardo l’anno. Certamente pesa in buona misura la sfiducia nella sanità “ufficiale”, percepita a torto o a ragione sempre meno affidabile.
Il pericolo è il solito Dulcamara in agguato, forte dell’asimmetria informativa propria del rapporto tra medicina e cittadino. La tragedia intollerabile è l’approfittare di chi è disperato e comprensibilmente disposto ad aggrapparsi a qualunque speranza. Da qui l’importanza cruciale di regole per l’”accesso al mercato” di ogni prestazione sanitaria e di autorità pubbliche forti che le facciano applicare e ne controllino il pieno rispetto.
Delle MNC la comunità scientifica dubita da sempre con scetticismo per la mancanza di prove di efficacia. D’altro canto, se il dubbio è l’inizio della conoscenza, non va escluso che, come spesso avvenuto nei secoli, domani ci spiegheremo quanto oggi viene praticato solo empiricamente. La conoscenza è figlia dell’esperienza, motteggia Leonardo. La storia del progresso scientifico è, in fondo, piena di misteri parcheggiati per anni in quel limbo nebbioso dove convivono indistinti ciarlatani e menti geniali capaci di vedere molto prima di altri. Così un bel giorno si dirime il vero dal falso.
Magari i problemi dell’umanità saranno risolti da vecchie questioni un tempo derise, divenute invece finalmente chiare: che so, la trasmissione dell’energia di Tesla, la fusione fredda di Fleishmann e Ponds, il metodo Di Bella o i sassolini di Wanna Marchi. Allora scopriremo che la mentuccia oltre che insaporire la coda alla vaccinara, purché ayurvedica, cura qualche grave malattia. O che gli aghi meritano più nobile funzione che rammendare vecchi calzini bucati.
Insomma, siamo nani sulle spalle dei giganti, seduti sulle conoscenze dei nostri “padri” per migliorarle. La scienza parte dal dubbio. Che si trasforma in osservazione, ipotesi, teoria, dimostrazione. La razionalità di Cartesio che abbraccia il metodo di Galileo. Tolomeo che s’inchina alla rivoluzione di Keplero (due geni, Galileo e Keplero, spernacchiati in vita e rivalutati solo postumi).
Nuove conoscenze che, però, qui il fulcro centrale ed essenziale di tutta la questione, a loro volta devono guadagnarsi e meritarsi la propria dignità scientifica e terapeutica, con sperimentazioni, prove, test, studi, metodologicamente corretti e riproducibili, attestando con rigore la propria sicurezza, efficacia e qualità. Questa ne è l’inderogabile “conditio sine qua non” per la salute individuale e collettiva e per spendere appropriatamente le risorse comuni.
Sbagliano quei pur tanti sostenitori delle MNC che ritengono superfluo quest’approccio sperimentale, perché “tanto queste discipline sono ormai usate da decenni da milioni e milioni di persone in tutto il mondo”. È vero, cifre impressionanti. Ma, confesso, proprio non mi piace la tesi della ragione basata sul consenso popolare. Rimanda al successo di Barabba e alle adunate oceaniche di triste memoria. O, più prosaicamente all’aforisma del vecchio scettico: “mangiate escrementi, miliardi di mosche non possono sbagliarsi!”.
Fabrizio Gianfrate
Economista sanitario