Aumenta la necessità di servizi assistenziali rivolti agli anziani e, in particolare, ai non autosufficienti, ma non aumentano i servizi. La pur lieve espansione osservata negli anni precedenti si è infatti fermata, ma in certi casi l’assistenza è addirittura diminuita. La quota di anziani che hanno potuto contare sull’Assistenza domiciliare integrata (Adi), ad esempio, è rimasta invariata al 4,1% tra il 2010 e il 2011 al 4,1%, mentre quella degli anziani che hanno usufruito del Servizio di Assistenza Domiciliare (Sad) è scesa dall’1,7% dei potenziali utenti ultrasessantacinquenni nel 2008 all’1,4% nel 2010 (-0,3%). Il tasso di fruizione delle indennità di accompagnamento nel 2010 è stato del 12,5%, con una contrazione dello 0,4% rispetto al 12,9% dell’anno precedente. Anche il dato sugli non autosufficienti nelle Residenze assistite è in leggera diminuzione: circa il -0,5% tra il 2009 ed il 2010.
A rilevarlo è il Network Non Autosufficienza nel IV Rapporto sull'
Assistenza agli anziani non autosufficienti in Italia tra crisi e ripartenza che sarà presentato in occasione del Forum sulla non autosufficienza che si apre oggi a Bologna e i cui lavori andranno avanti fino a domani. Due giornate per discutere un tema scottante, perché è evidente che l’evoluzione della struttura demografica del Paese (+139.000 over75enni solo tra il 2010 e il 2011) e la riduzione della mortalità porterà a crescere anche la domanda di assistenza alle non autosufficiente. Che, se non troverà risposta, si tradurrà in ripercussioni pesanti per gli anziani con disabilità, le loro famiglie e per gli operatori nel settore. Per questo, secondo il Forum per la non autosufficienza, diventa “sempre più urgente una riforma complessiva del settore dell’assistenza Long-Term Care”. E le proposte su come riformarlo arriveranno proprio dalle giornate bolognesi.
Il bisogno di assistenza
Secondo le stime Istat, nel 2011 gli ultrasessantacinquenni in Italia erano circa 12 milioni e 301 mila, mentre gli ultrasettantacinquenni superavano i 6 milioni e 147 mila unità. L’invecchiamento della generazione del baby boom (i nati negli anni Cinquanta) ed il basso livello di nascite nel Paese contribuiranno ad accrescere ulteriormente il peso relativo degli over 65 sulla popolazione complessiva, che e già passata dal 19% nel 2003 ad oltre il 20% nel 2011. Un trend che “continuerà ancora a lungo”, secondo gli esperti che hanno redatto il Rapporto, che sottolineano come “la situazione ad oggi osservata non sia altro in realtà che quella di ‘metà percorso’”. La regione che per prima toccherà il livello massimale di popolazione anziana sembra essere la Liguria tra 40 anni (nel 2053), con una percentuale di over 75 pari a circa il 22,5%. L’anno successivo sarà la volta di Friuli-Venezia Giulia, Valle d’Aosta e Piemonte, mentre le regioni del Sud Italia continueranno a sperimentare incrementi del gruppo di popolazione over 75 per lungo tempo, non raggiungendo il massimale neppure nel 2065.
Secondo gli esperti vale la pena ricordare che fragilità, cronicità e disabilità (come pure la stessa non autosufficienza) “non sono concetti sovrapponibili e mai come oggi esistono strumenti e politiche per favorire
e promuovere una vita longeva attiva ed in buona salute”. Tuttavia “è evidente come nelle coorti più anziane aumentino la prevalenza e l’incidenza delle principali patologie età-correlate”. Non a caso con l’avanzare dell’età cresce la proporzione di coloro che dichiarano di avere una malattia o un problema di salute cronici, superando la metà dei cittadini di età compresa tra i 75 e gli 84 anni e sfiorando il 64% tra gli over 85.
La stessa situazione si verifica per quanto riguarda le limitazioni percepite nello svolgimento delle attività quotidiane. Nel 2009 oltre il 73% degli italiani non riferiva alcuna limitazione, tuttavia il quadro cambiava se la domanda veniva rivolta ai più anziani: la proporzione di persone over 65 con limitazioni si attestava intorno al 40% e, soprattutto per i grandi anziani, tali limitazioni venivano percepite come gravi (per il 39% degli over 85).
L’assistenza domiciliare in Italia
Risulta molto eterogenea sul territorio nazionale: secondo gli ultimi dati Istat citati nel Rapporto, i servizi di Assistenza domiciliare integrata (Adi) per anziani nel periodo tra il 2005 e il 2011 sono cresciuti in Emilia-Romagna (+5,2%), Umbria (+3,1%), Abruzzo (+2,9%), Provincia Autonoma (P.A.) di Trento (+2,8%) e Sardegna (+2,7%). Nella maggior marte delle altre regioni d’Italia si sono registrati incrementi più lievi della copertura del servizio, mentre in Friuli-Venezia Giulia e Molise la copertura del servizio, in termini di quota di utenza servita, è diminuita sensibilmente (rispettivamente del -2% e -2,6%).
Ma, sottolinea il Rapporto, va evidenziata “la stabilizzazione del livello di copertura a livello nazionale tra il 2010 e il 2011, contrariamente ai trend di continua crescita a cui abbiamo assistito negli scorsi anni. In ben quindici regioni italiane si sono registrate variazioni annuali praticamente irrilevanti (tra il -0,5 e il +0,5%), mentre solo Friuli-Venezia Giulia ed Emilia-Romagna hanno visto diminuire sostanzialmente il tasso di copertura dell’ADI per anziani: la prima, come effetto di un trend pluriennale di progressiva limitazione del servizio; la seconda, come probabile reazione alla percentuale troppo elevata di utenti raggiunta negli scorsi anni (ben il 10,6%, la regione più ‘generosa’ in Italia)”.
In termini di ore annuali di assistenza fornita, 6 rientrano in un range tra 16 e 26 ore annuali, vicine alla media nazionale di 20 ore: “E’ evidente che si tratta, in ogni caso, di un’intensità del servizio molto bassa se confrontata con altri Paesi europei”, sottolinea il Rapporto. Le Ore diventano molto più basse in Veneto (10 ore) e in Friuli-Venezia Giulia (4). Nel Mezzogiorno la tendenza e invece quella di offrire servizi di più lunga durata (come in Molise, Basilicata, Puglia e Sardegna, tutte tra le 43 e le 75 ore in media), “ma – sottolinea il Rapporto - con una copertura generalmente minore degli anziani beneficiari”.
Sull’altro versante dell’assistenza domiciliare, quello relativo ai servizi erogati dai comuni nel territorio, il Servizio di Assistenza Domiciliare (Sad) si configura come il principale intervento a favore degli anziani con difficoltà nello svolgimento delle attività strumentali della vita quotidiana. Ma, sottolinea il rapporto, anche in questo settore le regioni sembrano comportarsi in modo differente. Inoltre si assiste a due diversi trend nell’ambito dell’erogazione di Sad alla popolazione anziana: da una parte, i dati confermano che dal 2006 al 2010 c’e stato un calo dello 0,41% (dall’1,85 all’1,44%) di utenti del Sad tra gli ultrasessantacinquenni (nel 2010 il servizio e fornito a circa 176.000 persone over 65 anni); dall’altro lato, la spesa media per singolo utente anziano e in lieve aumento, passando dai 1.646 euro del 2006 ai 2.014 del 2010. In particolare, nel Centro Italia si registra generalmente un tasso di copertura molto inferiore alla media italiana (dallo 0,3% dell’Umbria all’1% del Lazio), ma una spesa per utente particolarmente elevata (dai 2.300 ai 3.000 euro circa). Inoltre, i dati sull’erogazione del servizio rafforzano l’idea di un gap “Nord-Sud” che va ampliandosi. La percentuale di comuni coperti dal Sad, infatti, registra ancora significative differenze tra un Settentrione quasi completamente coperto (oltre il 93% dei comuni) e le regioni del Centro e del Meridione significativamente indietro nell’erogazione del servizio (rispettivamente solo l’84% e il 78% dei comuni).
I servizi residenziali
Il quadro dell’offerta di assistenza residenziale in Italia risulta confermato rispetto a quanto rilevato negli anni precedenti. Anche se le regioni del Nord si distinguono per la maggiore dotazioni di posti letto per abitanti, tutte tra il 3% della Liguria e il 4% del Piemonte (con Valle d’Aosta e Trentino-Alto Adige anche oltre), mentre nel Sud Italia l’offerta di residenzialità resta abbondantemente al di sotto della media italiana del 2,5%.
Per quanto riguarda l’accesso ai presidi assistenziali e sociosanitari da parte di anziani non autosufficienti, negli ultimi anni il tasso degli utenti ultrasessantacinquenni di queste strutture sulla popolazione anziana è salito in modo significativo, passando da un tasso stabile dell’1,4% tra il 2000 e il 2006 all’1,8% del 2010. Al contrario, l’accesso a residenze dedicate ad anziani autosufficienti ha visto una lieve diminuzione, dallo 0,8% di anziani che ne hanno usufruito nel 2000 allo 0,6% nel 2010.
Parliamo di risorse
Il nostro welfare territoriale non gode di un sistema di finanziamento propriamente definito ma conta su un mix di risorse comunali, regionali e sul sostegno dei fondi statali destinati a questo settore; quest’ultima fonte dipende dalle decisioni annuali di finanza pubblica che nell’allocare i fondi disponibili possono dare più o meno centralità a questo comparto.
Le scelte del Governo tra il 2008 e 2011 hanno significato un drastico ridimensionamento dei fondi in questione. Il Fondo nazionale per le politiche sociali, il principale canale di finanziamento indistinto, a suon di tagli che hanno raggiunto anche livelli del 30-40% annuo, è stato fortemente ridimensionato dalle leggi finanziarie annuali fino a raggiungere nel 2012 valore solo simbolico. Ciò ha significato per gli enti locali la scomparsa di una fonte di finanziamento che contribuiva per il 12,1% alla spesa sociale.
Stessa sorte è toccato al Fondo per la non autosufficienza introdotto nel 2007. Rispetto ai 400 milioni investiti su questo fronte nel 2009 e 2010, dal 2011 il canale non e stato rifinanziato e nel 2012 i fondi sociali erano sostanzialmente azzerati.
Con la legge di stabilità per il 2013 sono stati parzialmente rifinanziati i fondi in questione (300 milioni il Fnps e 275 milioni il Fondo per le non autosufficienze). Ma “nonostante questi reintegri – sottolinea il Rapporto -, i fondi statali per il 2013 restano nettamente inferiori rispetto al finanziamento di qualche anno fa (60% in meno rispetto al 2008). Da sottolineare, inoltre, che il rifinanziamento ha carattere esclusivamente annuale, mentre per gli anni successivi permane la situazione di incertezza sui fondi disponibili”.
Le indennità di accompagnamento
Il sistema italiano "ha compensato tradizionalmente le carenze dell’offerta di servizi diretti con meccanismi di trasferimento monetario”, sottolinea il rapporto. Il costo di questi trasferimenti, in particolare quello per l’indennità di accompagnamento, è quindi cresciuto velocemente nel corso degli anni, in parte riflettendo l’effettiva evoluzione del bisogno della popolazione ma in parte, secondo il Rapporto, in virtù di diversi fattori culturali ed organizzativi. “Tra questi ultimi si possono menzionare, ad esempio, la maggior consapevolezza dell’utenza circa i propri diritti, ma anche i difetti nel sistema di gestione delle indennità”. Difetti che, tra l’altro, “hanno ingenerato iniquità e disuguaglianze tra i cittadini in stato di bisogno: basti pensare che per lungo tempo l’ente responsabile per la certificazione del bisogno e la concessione dell’indennità (la regione tramite le Aziende del Servizio Sanitario Regionale) è stato diverso dall’ente responsabile del finanziamento della misura (lo Stato centrale, tramite l’INPS)”.
Considerato questo, secondo il Rapporto “non sorprende che la crescita costante della diffusione delle indennità sia stata disomogenea tra le regioni e non sempre si è potuta osservare una relazione tra tassi di disabilita (indicatori del bisogno e di probabile esistenza del diritto all’indennità) e tassi di fruizione di questa misura di sostegno, nonostante i recenti tentativi di riformare l’indennità”.
Secondo i dati, comunque, per la prima volta negli ultimi otto anni si e verificata una sostanziale frenata della spesa per indennità di accompagnamento, che nel 2011 si e attestata attorno ai 12,7 miliardi di euro (-0,2% rispetto al 2010), di cui circa 9,6 miliardi per anziani disabili. Una riduzione che, secondo il Forum per la non autosufficienza, è riconducibile sia alle modifiche al procedimento di concessione dell’indennità introdotte nel 2009 che agli effetti indotti dai piani straordinari di verifica dell’invalidità civile.
Per quanto riguarda la copertura della prestazione nelle regioni, l’utenza complessiva dell’indennità nel 2010 ammontava a più di 1,5 milioni di anziani. Tra gli over 65 il tasso di fruizione dell’indennità era pari al 12,5%, con un minimo di 8,4% in Trentino-Alto Adige ed un picco di 19,5% in Umbria. In linea generale, le regioni del Nord presentano una copertura più bassa (ben quattro regioni sono al di sotto del 10%), mentre quelle del Sud, alle prese con servizi formali sul territorio meno sviluppati e accessibili, hanno tassi di fruizione sensibilmente più elevati della media nazionale (tra cui spiccano Calabria e Campania, rispettivamente con il 17,6 e il 17,2% di anziani beneficiari).
Tra il 2005 ed il 2010, comunque, il tasso di fruizione dell’indennità di accompagnamento è aumentato indistintamente in tutte le regioni italiane, nessuna esclusa. In molte regioni del Nord l’incremento è stato inferiore all’1%, mentre nel Centro-Sud i tassi di fruizione sono aumentati in maniera più consistente, fino al 3,8% del Molise e al 4,1% della Puglia. Per quanto riguarda invece il numero assoluto di beneficiari anziani, l’aumento dal 2005 al 2010 e stato di 300.000 utenti.
l punto sulle badanti
Le assistenti familiari continuano ad accompagnarci oggi, a più di dieci anni dalla loro comparsa in termini di fenomeno di massa. Certo la crisi ha toccato anche questo settore: rendendolo più opaco, certamente più sommerso, in parte ridimensionandolo. Basti pensare che fino al 2009 il numero di lavoratori domestici registrati era sempre salito, sfiorando quota 1 milione. Ma proprio da quell’anno quello stesso numero è iniziato a diminuire, con un calo di oltre 80 mila unità tra il 2009 e il 2011. “Sono i segnali di crisi del mercato, lo ripetiamo, regolare“, sottolinea il Rapporto, osservando che comunque il lavoro privato di cura rimane essenziale nell’assistenza agli anziani non autosufficienti nel nostro paese. Ma le difficoltà economiche, evidenzia il Rapporto, portano, in senso complementare, a massimizzare l’assistenza intrafamiliare dei membri bisognosi. Dunque al ritorno ai legami familiari, alla riduzione della “esternalizzazione” del carico di cura alle assistenti familiari e a una maggiore assunzione in proprio di tali oneri, che coinvolgono solitamente le donne.