Ho molto apprezzato “Il riformista che non c’è”, che Ivan Cavicchi ha avuto la cortesia di farmi avere prima dell’uscita ufficiale. Il servizio sanitario nazionale è entrato da tempo in una crisi che rischia di diventare irreversibile, ma nessuno (Governo, Regioni, Parlamento, Sindacati) ha proposto soluzioni concrete limitandosi a protestare contro i tagli o fare microriforme di solo restyling come la Balduzzi.
Cavicchi invece affronta il problema centrale che è la necessità, se vogliamo continuare a garantire l’art. 32 della Costituzione, di una vera Riforma che si fondi su basi nuove, partendo dagli errori del passato e del presente ed adeguandosi al mutato essere dei cittadini, dei Medici e degli altri professionisti che operano in una Sanità che non è più quella del 1999, né tanto meno quella del 1978.
Il dramma è che l’inefficienza gestionale ed il malgoverno delle Regioni e delle Aziende hanno bruciato inutilmente risorse enormi negli anni che queste c’erano, senza attuare quegli interventi che sarebbero stati necessari per ammodernare il sistema ed oggi ci troviamo in una situazione di grave crisi economica generale che rende sempre più difficile poter investire e tutelare le classi deboli della popolazione. Ho apprezzato che uno dei punti del capitolo in cui Cavicchi espone la sua proposta sia dedicato alla “questione morale”, alla necessità di una lotta all’immoralità che si annida non solo nei comportamenti dichiaratamente corrotti, ma anche negli sprechi e negli abusi legati ad un malcostume dal quale anche gli stessi Medici e gli altri operatori non sono esclusi.
Tutto questo vuol dire cambiare modelli: modelli di governo, modelli di organizzazione, modelli di contratto. Finalmente qualcuno affronta una questione che CIMO ha a cuore e che ha posto al centro della sua azione politico-sindacale: modificare la tipologia di contratto, carriera e retribuzione del Medico che le riforme degli anni 90 hanno svilito e marginalizzato. Non è sufficiente sbloccare la contrattazione per risolvere il disagio della categoria, occorrono regole e meccanismi nuovi, occorre valorizzare la professione, pagando come scrive Cavicchi il lavoro effettivo non quello formale. Conta chi sei, cosa fai e come lo fai, non la patacca di un incarico. E’ un capovolgimento della logica sindacale del passato, ma il futuro non può che essere un contratto dove si misurano e si valutano i risultati del tuo lavoro in termini professionali e non soltanto gestionali. In questo contesto si può costruire un’unica area medica, pur mantenendo separato il rapporto di dipendenza da quello convenzionale ma che abbiano in comune l’autonomia e la responsabilità come specificità della professione.
La Sanità non può continuare ad essere governata da economisti e statistici, occorre il concorso fattivo dei clinici nella governance delle Aziende, anche per decidere quelle riorganizzazioni che, pur necessarie, troppo spesso nascono da modelli asettici di efficienza, senza il conforto dell’efficacia dei risultati.
Infine, la riforma istituzionale. Qui non mi trovo poi tanto d’accordo con Cavicchi, quando vuole riattribuire potere ai Comuni. Occorre una riforma del titolo V che riveda i rapporti tra stato centrale e regioni, che nella sostanza sono stati modificati da tagli lineari, spending review, patti di rientro, ma non sono in grado di garantire la fruizione del diritto alla tutela della salute in modo uniforme su tutto il territorio nazionale.
Ho voluto fare questo sintetico intervento “a caldo”, perché ritengo che “Il riformista che non c’è” possa essere la base per aprire un confronto all’interno della categoria, tra le categoria e poi con i cittadini e la politica sulla necessità di una vera riforma della Sanità, questa volta coinvolgendo i Medici e gli altri operatori, senza la quale non si potrà arrestare il declino del SSN.
Riccardo Cassi
Presidente Cimo Asmd