“Alla vigilia delle elezioni politiche, nei sondaggi sulle priorità degli elettori, la sanità viene sempre al primo o al secondo posto. I politici però non ne parlano mai, perché è un tema complesso e anche pericoloso: ogni promessa fatta si presta a una spietata verifica. Per questa ragione, il dibattito che si è aperto in Lombardia sul futuro della nostra sanità è una bella sorpresa. Se ci sono visioni del mondo diverse, è bene che si confrontino: e nel modo più trasparente possibile”. Così il direttore generale dell’Istituto Bruno Leoni,
Alberto Mingardi, in una lettera al
Corriere della Sera, apre un dibattito sul futuro del sistema sanitario mettendo alcuni ‘punti fermi’ dai quali poter partire.
"La legge del 1997 rappresenta una rarità, in Italia: una riforma che ha funzionato. La qualità del servizio offerto è elevata. Scegliendo la strada della separazione fra erogatori e Asl, la Lombardia è stata l'unica regione a valorizzare la libertà di scelta del paziente. Ciò ha fatto sì che il privato fosse chiamato a svolgere un ruolo non residuale, ma paritario all'interno del servizio pubblico - ha spiegato Mingardi - Tutto è migliorabile: e senz'altro lo è il nostro modello sanitario. Il fatto che l'equilibrio fra operatori pubblici e privati rimanga inalterato da anni (la quota di mercato del pubblico è invariata e non scende sotto i due terzi della rete ospedaliera) suggerisce che sia opportuno un nuovo stimolo alla concorrenza. Sotto questo profilo, la fusione delle Asl può essere utile: aiuta a creare regole più uniformi, e quindi un terreno di gioco più favorevole. Nelle discussioni di questi giorni, sarebbe opportuno fissare due punti fermi".
Il direttore generale dell'Ibl passa poi in rassegna i suoi 'punti fermi'. "Primo, in questo quadro di finanza pubblica, la politica dovrebbe astenersi dalla sua più ricorrente tentazione: ampliare il ventaglio delle prestazioni offerte. La ricerca del consenso spinge in quella direzione, ma rischia di essere una promessa impossibile da mantenere, a causa dei vincoli finanziari. Secondo, non pensare che i problemi si risolvano con accorgimenti di carattere meramente organizzativo. La riorganizzazione della rete ospedaliera si può fare dall'alto o dal basso. Dall'alto: con la squadra e il righello. Dal basso: stabilendo chiare procedure fallimentari, che consentano l'eventuale passaggio di mano di quegli ospedali che si dimostrano cronicamente inefficienti. L'una cosa e l'altra - ha proseguito - richiedono più trasparenza nei bilanci, perché effettivamente si possa conoscere per deliberare. In un caso, si presume che la Regione disponga di tutte le informazioni necessarie per una pianificazione efficiente. Nell'altro, si parte più concretamente dai bisogni espressi dai cittadini".
"Quando fusioni e consolidamenti, nell'economia di mercato, 'funzionano', è perché sono 'a trazione imprenditoriale': riflettono un progetto ben ponderato, realizzato da attori che pagherebbero da sé per gli eventuali errori. In settori più opachi, abbiamo visto molti consolidamenti pensati per creare gruppi 'troppo grandi per fallire', costruiti sulla promessa implicita di un salvataggio in caso di bisogno. Il pericolo - ha concluso Mingardi - è tanto maggiore quando si discute di realtà come gli ospedali, pubblici e intimamente legati alla gestione del consenso. L'opinione pubblica tenga gli occhi aperti".