Ragionare sugli scenari futuri della sanità italiana ed europea e individuare dove si colloca il nostro Paese nel panorama continentale, sia sulla base delle evidenze che riguardano il Sistema sanitario nazionale che in relazione ad alcune variabili di carattere strettamente economico. Sono le principali finalità del progetto “Sanità, scenari e prospettive”, la cui seconda pubblicazione è stata presentata stamane a Milano. L’iniziativa è stata promossa da Ceis (Centre for Economic and International Studies) dell’Università Tor Vergata di Roma, il Sole 24 Ore Sanità e Janssen Italia.
"Per un responsabile governo del Sistema sanitario, proiettarsi in avanti è un dovere, che sposa anche l’interesse dell’industria – ha sottolineato
Federico Spandonaro, coordinatore scientifico del Ceis – Infatti, se è lecito che quest’ultima sia chiamata consapevolmente a partecipare e contribuire alla sostenibilità economica del sistema, dall’altra è difficile accettare l’idea che ogni qual volta la situazione economica si aggravi, vengano modificate le regole del gioco: è evidente come l’industria, per poter investire e svilupparsi, abbia necessità di un quadro normativo e regolatorio chiaro e stabile”.
Alla base del lavoro, c’è lo studio realizzato dall’Economist che ha realizzato 28 interviste approfondite a esperti europei del settore sanitario, leader nei rispettivi ruoli professionali, chiedendo loro di esprimere auspici, timori e previsioni riguardanti i servizi sanitari europei nel 2030. Per questo, sono stati coinvolti nel dibattito diversi interlocutori, promuovendo un confronto tra decisori politici, industria del settore farmaceutico, ricercatori, operatori sanitari e pazienti, ai quali è stato chiesto quali scenari potessero essere percorribili e quali assolutamente da escludere, immaginando che cosa sia possibile già fare oggi per realizzarli, contribuendo così a costruire il nostro futuro.
“Possiamo definirci soddisfatti della risposta che tutti gli stakeholder coinvolti hanno voluto assicurare al progetto. – ha commentato
Massimo Scaccabarozzi, presidente e amministratore delegato di Janssen Italia – Conferma, questa, che esiste nel nostro Paese un profondo bisogno di pensare a medio e lungo termine. Il nostro obiettivo è e rimane quello di stimolare un dibattito a livello politico-istituzionale su quello che sarà la sanità nel e del futuro per contribuire al cambiamento in corso e, per quanto possibile, orientarlo e guidarlo. Ma non vogliamo fermarci qui – aggiunge Scaccabarozzi – la nostra prospettiva è quella di continuare a proporre ulteriori momenti di riflessione e di incontro per dare vita a un think tank permanente che fra breve estenderemo alla realtà del web dove poter continuare, con il contributo di coloro che vorranno prendervi parte, a elaborare scenari, stimolare il dibattito e con esso il confronto”.
Lo studio dell’Economist, utilizzato come base metodologica e come riferimento nella scaletta tematica, individua quattro driver di costo per tutti i sistemi sanitari: invecchiamento della popolazione, costo del progresso tecnologico, crescente domanda di servizi da parte di pazienti sempre più informati ma che conducono stili di vita poco salutari e l’inadeguatezza delle strutture di finanziamento. “Le soluzioni diventano sicuramente più chiare nel momento in cui si instaura un dibattito aperto e costruttivo con tutte le parti interessate, sulla base di analisi fondate sui fatti – ha dichiarato
Stefan Gijssels, vice president Communication & Public Affairs di Janssen, che ha lanciato il progetto a livello europeo – Abbiamo iniziato chiedendo all'Economist di armonizzare i dati statistici con le tendenze e gli scenari possibili, per creare una base dalla quale potessero avere origine ulteriori discussioni e confronti che potrebbero a loro volta dare vita alle future scelte politiche”.
Per quanto concerne gli scenari possibili su cui ragionare, ne sono stati individuati cinque: trionfo della tecnologia nella cura delle malattie croniche grazie anche all’e-health; la necessità di un’Europa Unita e di un unico Servizio sanitario paneuropeo; la medicina preventiva avrà la meglio sul concetto di “cura della malattia”; sempre maggiore attenzione ai soggetti più vulnerabili; privatizzazione dell’intero sistema sanitario. Ed è proprio a partire da questi scenari che l’indagine coordinata da Federico Spandonaro ha riportato, in base ai 5 scenari identificati, le opinioni di alcuni stakeholder.
Il trionfo della tecnologia
Secondo
Silvestro Scotti – vicesegretario nazionale Federazione italiana medici di Medicina generale (Fimmg) questo scenario non solo è auspicabile ma necessario per il progetto di investimento e valorizzazione del territorio anche se, per il momento, appare abbastanza improbabile sia per problemi di tipo tecnico ed infrastrutturale (livello di copertura e velocità della rete propri del nostro paese rispetto ad altri in Europa), sia per la contraddizione che caratterizza la declinazione dell’Agenda digitale in ambito sanitario. “Se da un lato, infatti, l’implementazione tecnologica dovrebbe attingere a finanziamenti esterni al Fondo sanitario, di fatto per quanto di competenza all’area convenzionata del territorio, tutta la sua realizzazione ricade direttamente sul professionista e di conseguenza proprio sul Fondo Sanitario stesso”. Nonostante sia irrealistico pensare che l’Information Technology possa da sola sanare tutte le criticità della sanità italiana- sostiene
Paolo Valcher, direttore Sviluppo mercato sanità di Microsoft Italia, membro di Confindustria digitale - è, tuttavia, ragionevole supporre che sia in grado di supportarci nell’analisi e nel superamento dei problemi e nell’individuazione delle priorità per la loro risoluzione. Può, inoltre, essere un acceleratore per il cambiamento, in grado di aiutarci a rendere più snello il processo di cura, ridurre gli errori nonché i tempi di attesa e quelli di ospedalizzazione, gestendo allo stesso tempo anche la prevenzione. L’Information Technology è una condizione necessaria ma non sufficiente, che deve essere integrata nella cultura sanitaria ed essere parte integrante dei processi, potendo contare su una specifica competenza e cultura “digitale”. “Ridurre oggi gli investimenti nella sanità elettronica non è la giusta soluzione, sarebbe preferibile, al contrario, individuare alcuni elementi fondamentali in grado davvero di migliorare i risultati e la sostenibilità dei progetti”.
Europa unita
Cesare Cislaghi, coordinatore scientifico delle attività e delle ricerche economico-sanitarie di Agenas, si dichiara “scettico” riguardo allo scenario “Europa Unita”, almeno nel breve periodo, data la molteplicità ed estrema diversità dei singoli sistemi nazionali che compongono l’Unione Europea. Per quanto riguarda il servizio sanitario del futuro, da un punto di vista politico Cislaghi crede sia necessario definire i valori imprescindibili sui quali costruirlo e solo successivamente confrontarsi per la definizione delle singole scelte, sia di carattere politico che tecnico, più o meno efficaci per la sua realizzazione e declinazione concreta.
Per Francesco Moccia – vice segretario generale di Cittadinanzattiva Onlus, invece, questo scenario non solo può essere auspicabile, ma anche plausibile. In un momento storico in cui si parla di Europa in termini prevalentemente negativi e buona parte della popolazione la ritiene una presenza “ingombrante”, più finalizzata a “togliere” che a “dare”, Cittadinanzattiva lavora per favorirne il rafforzamento affinchè tutti i cittadini possano godere appieno i potenziali benefici ed i vantaggi. La questione cruciale è il rapporto tra universalità dei diritti e sostenibilità del sistema. Ma per Cittadinanzattiva deve essere mantenuto il dovuto ordine di priorità: l’universalità prima della sostenibilità. Continuare ad avere un servizio sanitario universale dovrebbe voler dire dare tre priorità alle politiche sanitarie: cronicità e non autosufficienza, ridefinizione dell’assistenza ospedaliera e dei servizi di emergenza del territorio, aggiornamento costante e periodico dei Lea. “Per quanto riguarda la sostenibilità, è necessaria una chiamata alla responsabilità da parte di tutti, al fine di individuare le priorità, allocando qui, di conseguenza le risorse”. Per
Annalisa Silvestro – presidente dell’Ipasvi - lo scenario Europa Unita, sarà ineludibile, anche in considerazione del fatto che la libera circolazione dei professionisti sanitari necessita di una base di sistema di cui l’Europa deve prima o dopo dotarsi per garantirne la certificazione di professionalità e la valutazione delle competenze. “Ciò indipendentemente dallo stato membro in cui il singolo professionista si è formato e dal quale proviene e a beneficio e garanzia sia degli stessi professionisti, che dei cittadini-pazienti”.
“Prima di tutto il benessere”
Per
Ignazio Marino la driving force del nostro secolo è in realtà l’aumento della speranza di vita che ha radicalmente cambiato la nostra società. L’unico modo per governare questi nuovi processi è intervenire sugli stili di vita. Tre sono le cose che andrebbero realizzate: prevedere l’introduzione nelle scuole elementari di un modulo didattico dedicato agli “stili di vita”; premiare chi tra la popolazione adulta persegue stili di vita salutari e allo stesso tempo sanzionare gli stili di vita non sani. Marino sostiene che sia necessario avviare una seria politica di responsabilizzazione dei cittadini, che se vogliono continuare a godere di un Servizio sanitario universale, devono impegnarsi a cambiare le proprie abitudini scorrette, prevedendo qualora ciò non avvenga che paghino di tasca propria i danni che provocheranno a se stessi ed eventualmente agli altri, a causa di uno stile di vita non responsabile. Anche
Stefano Vella, dirigente di ricerca dell’Istituto superiore di sanità, ritiene che occorra fare comprendere ai cittadini che il costo per la collettività legato alla cura di patologie correlate con stili di vita sbagliati ricadono sulla disponibilità di altri servizi. Ma secondo Vella molto dipenderà da quanto impegno sarà posto nella prevenzione primaria e nell’efficacia degli strumenti di prevenzione secondaria. Bisogna cercare di mantenere le caratteristiche di universalità del nostro Sistema Sanitario. I costi per la salute sono in realtà degli investimenti. Occorrerà mettere in atto valutazioni corrette sul costo-beneficio dei diversi interventi e stabilire delle priorità. Il nostro sistema sanitario è tuttora un esempio per moltissimi altri Paesi. Il punto di criticità riguarda soprattutto l’esistenza di grandi diseguaglianze regionali, un fenomeno che non può più essere tollerato e che va combattuto, dando reale potere di coordinamento e indirizzo a livello centrale, ovviamente condividendo i percorsi con le regioni. Per
Cesare Cislaghi, coordinatore scientifico delle attività e delle ricerche economico-sanitarie di Agenas, invece, non è possibile caricare di responsabilità i malati in funzione dei loro comportamenti, mentre è necessario fare in modo che la medicina diventi proattiva ed educativa: promuovere l’empowerment, ovvero il fatto che le persone prendano coscienza dei propri problemi deve essere uno degli obiettivi della medicina territoriale di base.
Attenzione alla vulnerabilità
La tutela delle vulnerabilità rappresenta, secondo
Paola Binetti, deputata di Scelta Civica, il principio costitutivo del “Sistema sanità”, dal momento che è ciò che dà la struttura e sostanza al lavoro in questo ambito: il Sistema sanitario nazionale nasce per prendersi cura dei più deboli, degli indigenti, degli ammalati. Quando si parla di vulnerabilità, per Binetti, ci si riferisce sostanzialmente a politiche selettive, di priorità e decisioni che, se da una parte includono, dall’altra necessariamente escludono. Per questo motivo, c’è necessità più che mai di scelte nitide e della chiarezza necessaria per definire quanto e dove investire: nella prevenzione, nell’intervento clinico, nell’assistenza e nella riabilitazione. “Questo è lo schema che va perseguito, non si può pensare a un modello che punti solo alla prevenzione a scapito dell’assistenza per i pazienti acuti o per quelli che richiedono interventi di alta tecnologia”.
Privatizzazione e “laissez faire”
Per
Aldo Ancona, dirigente responsabile della delegazione di Roma della Regione Toscana, questo scenario, che prevede una completa privatizzazione del Servizio sanitario, è uno tra i più probabili, nonostante lo ritenga il meno auspicabile. E’ indubbio che la sanità pubblica italiana sia stata in grado nel corso della propria storia di superare molteplici sfide, ma secondo Ancona “il sistema è destinato ad andare in crisi per la continua riduzione e contrazione delle risorse oggi disponibili”.
Vincenzo Panarella, presidente della Federazione nazionale delle associazioni regionali o interregionali delle Istituzioni sanitarie ambulatoriali private, ritiene che l’Italia abbia un patrimonio umano, professionale, strutturale e tecnologico che rappresenta, con molta probabilità la prima industria nazionale, quella della Salute, che andrebbe da tutti tutelata. Se non si sarà in grado di invertire il trend che ci vede retrocedere, sarà necessario fare i conti con la concreta possibilità che l’attuale sistema non potrà più permettersi, quell’universalismo che tutti naturalmente condividiamo e apprezziamo. Per
Gabriele Pellissero, presidente dell’Associazione Italiana ospedalità privata, lo scenario prospettato dall’Economist prospetta un dualismo (pubblico/privato) non condivisibile, come l’ipotesi di una gestione di sistema totalmente privata. L’alternativa non è tra abbandonare le popolazioni al proprio destino o gestire da parte della politica ogni minimo particolare, al contrario, il principio della tutela generale e universale è ancora parte del Dna europeo. “Esistono, infatti, processi di governo in cui il pluralismo, la competizione regolata, la possibilità di introdurre opzioni diverse, non è assolutamente incompatibile con quello che è invece un livello di copertura garantito a tutti”. Riflettendo sul futuro a medio termine del Sistema sanitario del nostro Paese, Pelissero sostiene che “una strada possibile sia quella di aumentarne la competizione in modo virtuoso e positivo, riducendo gli spazi di inefficacia”.