La salute degli italiani sembra per molti aspetti migliorare nonostante la crisi e i cattivi stili di vita adottati, comportamenti dannosi come sedentarietà e consumo smodato di alcolici: è questo il “paradosso degli italiani”, evidenziato anche dal trend in aumento della speranza di vita (dal 2007 al 2011 i maschi hanno guadagnato 0,7 anni e le femmine 0,5 anni), in particolare per gli uomini che riducono la distanza rispetto alle donne (trend in atto dal 1979).
Lo rileva l'edizione 2012 di Osservasalute, il rapporto annuale sulla salute degli italiani elaborato dai ricercatori dell'Università Cattolica di Roma, presentaa oggi a Roma. Pubblicato dall'Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane che ha sede presso l'Università Cattolica di Roma e coordinato dal Professor
Walter Ricciardi, direttore del Dipartimento di Sanità Pubblica del Policlinico Gemelli di Roma.
Il Rapporto è frutto del lavoro di 184 esperti di sanità pubblica, clinici, demografi, epidemiologi, matematici, statistici ed economisti, distribuiti su tutto il territorio italiano, che operano presso Università e numerose istituzioni pubbliche nazionali, regionali e aziendali (Ministero della Salute, Istat, Istituto Superiore di Sanità, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto Nazionale Tumori, Istituto Italiano di Medicina Sociale, Agenzia Italiana del Farmaco, Aziende Ospedaliere e Aziende Sanitarie, Osservatori Epidemiologici Regionali, Agenzie Regionali e Provinciali di Sanità Pubblica, Assessorati Regionali e Provinciali alla Salute).
Tra i grandi fenomeni da sottolineare il costante decremento del rischio di morte per le malattie circolatorie (2007-2009: la diminuzione maggiore si riscontra per entrambi i generi nella classe di età 19-64 anni, -4,65% per gli uomini e -8,46% per le donne), tumori (2007-2009: la classe di età dove la riduzione è maggiore è 65-74anni, -6,97% per gli uomini e -8,71% per le donne), apparato digerente (2007-2009: la riduzione maggiore si riscontra per entrambi i generi nella classe di età 19-64 anni con -4,03% per gli uomini e -8,62% per le donne)e respiratorio (2007-2009: la diminuzione maggiore tra gli uomini si riscontra nella classe di età 65-74 anni e nelle donne nella classe di età over-75 anni con valori, rispettivamente, di -3,55% e -0,55%).
Riguardo agli stili di vita, emerge un quadro in chiaro scuro: da un lato, aumentano coloro che non consumano alcolici (+3,3 punti percentuali dal 2008 al 2010) e diminuiscono i fumatori (nel 2010 fumava il 22,8% degli over-14 nel 2011 è il 22,3%), dall'altro aumentano le persone in sovrappeso e obese (dal 2002 al 2011 le persone in sovrappeso aumentano del 6,9% e quelle obese del 17,6%; nel 2011 sono rispettivamente il 35,8% e il 10% della popolazione) e i giovani che adottano comportamenti a rischio. Un fenomeno emergente negli ultimi anni nel nostro Paese è rappresentato dall’avvio precoce al consumo di alcol e dal “binge drinking” e dal consumo di alcol fuori pasto. Il dato che desta maggiore preoccupazione è quello relativo al progressivo e costante abbassamento dell’età media di avvio all’uso dell’alcol (11-12 anni, la più bassa in Europa) e il riscontro di oltre 300 mila minori di 11-15 anni di età che usano l’alcol secondo modalità rischiose e fonte di danni per la salute.
Aumentano anche le fasce di popolazione a rischio, a causa del noto processo d’invecchiamento (dal 2002 al 2011 si registra un aumento del 4,7% degli anziani tra 65-74 anni e del 28,7% per gli over-75) e della presenza di una discreta quota di popolazione straniera immigrata (gli stranieri residenti in Italia sono oltre 4,5 milioni pari al 7,5% del totale dei residenti).
Aumenta anche, con la complicità dell’attuale fase di complessità sociale ed economica, la sofferenza mentale degli italiani, che ricorrono sempre più di frequente al farmaco per “sedare” angosce e disagi sempre più spesso confusi con un franco disturbo depressivo: anche quest’anno prosegue, infatti, il trend di aumento del consumo di farmaci antidepressivi, come già visto nel precedente Rapporto. Il volume prescrittivo dei farmaci antidepressivi mostra un continuo aumento negli ultimi 10 anni: nel 2011 il consumo (in DDD/1000 ab die) di farmaci antidepressivi è di 36,1, contro un consumo di 8,18 nel 2000. Il trend dell’utilizzo dei farmaci antidepressivi difficilmente vedrà un’inversione di tendenza.
“Ma non solo la popolazione è a rischio – avverte il professor
Walter Ricciardi - il pericolo investe anche la tenuta dello stesso Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Infatti, per quanto il Ssn stia lentamente migliorando la sua efficienza economica, anche in risposta alle sempre più pressanti richieste di razionalizzazione e più di recente alla spending review, il rischio è che all’aumento dell’efficienza non corrisponda un aumento di efficacia delle cure e quindi un miglioramento degli esiti delle stesse. La ricerca di efficienza, attuata con tagli all'offerta, in prospettiva, potrebbe comportare dei rischi per quanto riguarda l'accessibilità alle cure e di conseguenza l'efficacia del sistema nel produrre salute”.
“Un dato positivo è che diminuisce la mortalità evitabile, ovvero i decessi imputabili a errori o inapproprietezze delle cure prestate dal Ssn. Nel periodo considerato nel Rapporto, tra 2006 e 2009, si è assistito a una lieve riduzione del tasso di mortalità riconducibile ai servizi sanitari: si è passati, difatti, dal 63,86 (per 100.000) del 2006 al 61,69 (per 100.000) del 2009. Queste cause di morte riguardano soprattutto gli uomini” – prosegue il professore. “Le Regioni che sul fronte della mortalità evitabile presentano la peggiore performance in tutti gli anni considerati sono Calabria (dove si è passati dal 69,95 per 100.000 del 2006 al 69,13 del 2009), Campania (dove si è passati dal 77,49 per 100.000 del 2006 al 75,68 – valore peggiore in Italia - del 2009) e Sicilia (dove si è passati dal 73,36 per 100.000 al 75,32 del 2009)”.
Giunto alla sua decima edizione, ora più che mai il Rapporto Osservasalute fotografa la condizione di salute degli italiani e quella del Ssn in un contesto di profonda crisi economica e di crescente incertezza per il futuro. Tali condizioni potrebbero produrre gravi conseguenze sulla salute dei cittadini, come già accaduto in altri paesi europei in profonda sofferenza come Grecia, Spagna e Portogallo, anche in considerazione dei ripetuti interventi di contenimento della spesa sanitaria attuati negli ultimi anni. Infatti negli ultimi anni il finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale è cresciuto con un ritmo decisamente inferiore a quello del passato (nel 2012 +0,8 rispetto al 2011 contro una crescita del +3,4% del 2009, +2% del 2010, +1,3% del 2011). In prospettiva le Regioni stimano che gli interventi del Governo Centrale causeranno una riduzione del finanziamento, un aumento dei tagli alla spesa delle entrate da ticket per un valore complessivo di 8 miliardi a partire dal 2013 fino ad arrivare a 11 miliardi nel 2015.
In più, sempre nel 2012, si è assistito a una sensibile riduzione delle strutture e dei posti letto negli ospedali (da circa 270 mila del 2004 a circa 251 mila del 2010).
“L’attuale quadro di sofferenza economica che il nostro Paese sta vivendo minaccia di compromettere i progressi fatti nel corso degli anni in tutte le dimensioni del benessere della popolazione – dichiara il dottor
Alessandro Solipaca, Segretario scientifico dell’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane dell’Università Cattolica di Roma - e le misure di austerità programmate per far fronte alla crisi, a livello centrale e locale, introducono pesanti tagli alla spesa pubblica, in particolare alla spesa sanitaria e socio-sanitaria, minando la già precaria sostenibilità del settore. I tagli previsti potrebbero diminuire i livelli di tutela del sistema, indebolendo la sua funzionalità proprio in un periodo di recessione economica. Lo scenario prospettato si inserisce in una realtà italiana già caratterizzata da evidenti svantaggi, sia in termini di salute che di accessibilità alle cure mediche delle fasce di popolazione di livello socio-economico più basso e di forti sperequazioni territoriali che, specie per le cosiddette ‘Regioni in Piano di Rientro’, rappresentano una costante già da prima del 2008, anno in cui la crisi economica ha cominciato a sortire i suoi effetti negativi”.