Con il 20,6 di over 65 e 17 mila ultracentenari l’Italia invecchia. Segno di benessere, nonostante la crisi, e di un buon welfare. Ma, inevitabilmente, cresce il numero di persone colpite da malattie croniche invalidanti nell’ultima fase della vita. Fonti diverse, dal Censis all’ISTAT, stimano in oltre 2,7 milioni le persone parzialmente o del tutto non autosufficienti con un trend proiettato verso i 3 milioni nel 2015. Una consistente quota di esse richiede assistenza continuativa.
Realtà variegata con Liguria, Toscana e Marche che registrano più alti indici di invecchiamento. E non sempre gli anziani vivono in contesti in grado di assisterli. In Lazio e Lombardia gli anziani soli superano il 30 per cento, in un quadro di indebolimento delle relazioni parentali. Al Sud tiene ancora la famiglia tradizionale che, indubbiamente, può garantire più tutele per i soggetti deboli. E il disagio in vecchiaia si caratterizza al femminile, non solo perché le donne vivono di più, ma perché connotate da malattie cronico degenerative in aumento, da solitudine e basso reddito.
Sfida inedita che il nostro Paese affronta con preoccupante ritardo, con comuni ed Asl che intercettano con evidente affanno la domanda di assistenza. Mentre dagli stessi fondi sanitari integrativi non si vedono ad oggi risposte significative. Resta l’indennità di accompagnamento (legge 18 del 1980), ne usufruiscono circa un milione e mezzo di persone, per il 75 per cento sopra i 65 anni. Ma con i suoi 499 euro, fissi per tutti, si rivela sempre più misura rigida e inadeguata. Non tiene conto del grado di dipendenza, della complessità dei bisogni, né delle differenti condizioni familiari ed ambientali teatro delle specifiche azioni assistenziali.
E a pagare sono le famiglie, fino a 1.500 euro al mese per una badante, 50 euro al giorno per un letto in RSA. Oneri proibitivi per i più se il reddito medio familiare mensile si attesta sui 2.700 euro. E un 6 per cento di famiglie (Rapporto CEIS) affronta costi legati a disabilità e non autosufficienza per oltre il 40 per cento della capacità di spesa. La non autosufficienza è ormai, dopo la disoccupazione, la prima causa di impoverimento delle famiglie italiane. Ma è alto anche il prezzo per la sanità, se è vero che i ricoveri impropri di ultrasessantacinquenni sono il 20 per cento del totale (Osservatorio terza età, 2009) con un costo stimato in circa 8 miliardi.
Quadro drammatico, risposte quantomeno insufficienti, dal Fondo della Finanziaria Prodi 2007, strumento debole in balia delle oscillazioni dell’economia e della politica, al Libro Bianco di Sacconi che ha prodotto solo tagli. Si guardi al bilancio 2011 con il fondo azzerato in un trend negativo che vede i trasferimenti per il sociale precipitare da 2.520 milioni del 2008 a 349. Al tentativo di vincolare l’accompagno al reddito. All’idea di risparmiare 20 miliardi all’anno con la delega fisco e assistenza. Un po’ di ossigeno dal Governo Monti, con il Ministro Barca che recupera 330 milioni di fondi europei per politiche di sostegno alla famiglia ed i 400 milioni in finanziaria per la non autosufficienza dopo la dura protesta del mondo associativo.
Altri Paesi in Europa hanno avviato da tempo nuove politiche e assistono a domicilio l’8,83 per cento di anziani. Noi viaggiamo al 3,27 (ECHO, 2013). Si spazia dalla tassa di scopo all’assicurazione obbligatoria. Quest’ultima, quarto pilastro del welfare con sanità, previdenza ed assicurazione infortuni, è dal 1995 la via tedesca, alimentata da un prelievo del 1,9 per cento in busta paga, per il quale, è da sottolineare, i lavoratori hanno contribuito corposamente, rinunciando a due giorni di ferie. Il fondo privilegia la domiciliarità, si avvale di servizi professionali, ma anche della cerchia familiare e di reti territoriali di solidarietà. Prevede quattro livelli di gravità con interventi differenziati dai 205 ai 1688 euro al mese.
Che si opti o meno per la via tedesca, non è più rinviabile un patto di solidarietà tra generazioni che garantisca servizi e dignità ai disabili ed a quanti nell’ultima fase della vita non ce la possono fare da soli. Il Ministero della Salute stima in 16 miliardi annui il costo di un più adeguato sistema di tutele, 7 in più di quanto già si spende per l’accompagno. Obiettivo ambizioso, che richiede una rivisitazione di risorse disponibili, norme ed agevolazioni, a partire dai permessi della 104. Ed impegnativo, se si considera che, con un monte nazionale retribuzioni intorno ai 600 miliardi, quanto manca imporrebbe un ulteriore punto di contribuzione. Ma si può avviare l’operazione per fasi, in un’equilibrata valutazione costi-benefici, non escludendo l’ipotesi di compensare i maggiori oneri sul costo del lavoro facendo leva, come in Germania, su un virtuoso scambio tra ferie e diritti esigibili. Un percorso graduale, che vada a regime in un triennio, per definire poi, alla luce dei risultati e nel confronto con le parti sociali, termini e le modalità di finanziamento definitivi.
Va in questa direzione la
proposta di legge "Fioroni", presentata già nella scorsa legislatura. Prevede un Fondo nazionale in un quadro di federalismo solidale. Alla Conferenza Stato-Regioni il compito di monitorarne la gestione, di fissare indennità ed assegni di cura quali livelli esigibili, nonché criteri di valutazione medico legale. Alle Regioni nei rispettivi territori la responsabilità di definire modalità di impiego e rendicontazione dei buoni servizio, accreditamento di reti assistenziali, nonché ruolo di Comuni e Distretti per la definizione di piani personalizzati in un quadro di integrazione sociosanitaria. Alle Commissioni medico legali delle ASL il compito di riconoscere il titolo ai diversi emolumenti. All’INPS, già titolare delle prestazioni agli invalidi civili, la gestione finanziaria del sistema.
Tre livelli di indennità: 500, 900, 1200 euro, per un mix di prestazioni differenziate sulla base di gravità e dipendenza, con trasferimenti monetari, assistenza domiciliare, rimborso quota RSA, per avviare un processo di riequilibrio del welfare con consistenti risparmi su altre voci di spesa, a partire da una sanità che riduca ricoveri e sviluppi a domicilio long term care e telemedicina. Ma si pensi anche ai positivi effetti su entrate fiscali e previdenziali per l’emersione di almeno 300 mila badanti in nero. Ai nuovi occupati, in particolare donne, che potrebbero meglio conciliare lavoro e responsabilità familiari. Ai comuni sgravati da significativi oneri. E’ auspicabile che il nuovo Governo ponga il tema non autosufficienza tra le priorità, anche per il contributo che un nuovo welfare, più attento ai bisogni di famiglie e comunità, può dare al superamento dell’attuale fase di crisi.
Augusto Battaglia
Forum Welfare PD