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QS Edizioni - domenica 24 novembre 2024

Studi e Analisi

Sanità e crisi economica. Rapporto Oasi (Bocconi): con austerity meno servizi e più tasse

immagine 19 marzo - Ticket sui farmaci aumentati del 40%, il 55% degli assistiti paga da sé visite specialistiche e esami diagnostici, badanti (774mila) che superano i dipendenti di Asl e ospedali (646mila), tasse locali aumentate di 5 mld in 2 anni. L'analisi del Rapporto Oasi 2012 dell’Università Bocconi. SINTESI RAPPORTO.
“Nella sanità si può risparmiare eliminando gli sprechi senza ridurre l’offerta di salute”. Alla formula del partito delle forbici non sembrano credere molto gli esperti della Bocconi, che nel Rapporto Oasi 2012 mettono in guardia : “c’è il serio rischio che alla riduzione degli input faccia seguito la riduzione degli output”. Anche perché da qualsiasi punto di vista la si guardi, in termini pro-capite o in rapporto al Pil, la spesa sanitaria italiana è la più bassa d’Europa e da qui al 2015 dovrà affrontare una cura dimagrante da oltre 30 miliardi per effetto delle ultime manovre.

Insomma, i tagli alla fine rischiano di ridurre l’offerta di servizi alle persone. Un allarme che il Rapporto, presentato oggi a Roma dalla Federazione di Asl e Ospedali (Fiaso), ha confermato con fatti e cifre: i ticket sui farmaci sono aumentati del 40% lo scorso anno; il 55% degli assistiti paga oramai da se le visite specialistiche e accertamenti diagnostici, sia per aggirare le lunghe liste d’attesa, sia perché i ticket sono oramai così alti da spingere verso un privato sempre più low cost; il welfare “fai da te” è sempre più esteso, tant’è che oramai ci sono più badanti (774mila) che dipendenti di Asl e ospedali (646mila). E come se non bastasse per non tingere di rosso i propri bilanci o per evitare disavanzi peggiori le Regioni ripianano i bilanci a suon di tasse.

Bilanci sanitari risanati a suon di tasse
Maggiorazioni delle addizionali Irpef, aumento delle aliquote Irpef, rincari del bollo auto e cartolarizzazione dei debiti sono gli strumenti, singoli o associati, ai quali hanno fatto ricorso quasi tutte le Regioni, ad eccezione di Valle d’Aosta, Friuli, Trento e Bolzano, Basilicata e Sardegna, mentre Marche, Abruzzo, Molise e Campania hanno messo mano a tutte le leve fiscali consentite dalla legge.
Senza aumenti di tasse locali, come dicono i dati del Ministero della Salute, già nel 2011 ben 16 regioni avrebbero tinto di rosso i propri bilanci sanitari. I dati del quarto trimestre, ultimi disponibili, hanno evidenziato che prima di chiedere nuovi sacrifici fiscali ai contribuenti hanno chiuso il bilancio con leggeri attivi solo Lombardia, Veneto, Umbria, Marche e Abruzzo. Tutte le altre sarebbero andate in rosso. Il disavanzo maggiore lo avrebbe toccato il Lazio con 815 milioni, seguito dalla Sardegna con 283 milioni e il Piemonte con 260. Poi con gli aumenti delle addizionali Irpef e di balzelli locali vari i bilanci sono tornati a tingersi di blu, salvo che per Sardegna, Molise, Campania e Calabria. Per pareggiare i conti le Regioni in rosso hanno finito per tartassare i cittadini con aumenti di tributi locali e addizionali Irpef pari a 2,2 miliardi di euro nel 2011. Solo il Lazio ha fatto ricorso alla leva fiscale per 792 milioni. E le cose non sono migliorate nel 2012, visto che l’aliquota media dell’addizionale Irpef, secondo l’osservatorio Uil sulle politiche territoriali, è passata da una media dell’1,19% all’1,49, che fanno altri 2,4 miliardi di euro prelevati dalle tasche dei contribuenti, che quindi per ripianare i deficit di Asl e ospedali in soli due anni hanno versato al fisco 5 miliardi in più.

Più tagli, più insoddisfazione per i servizi offerti
Insomma, la tanto sbandierata politica di “razionalizzazione della spesa” più che ridurre gli sprechi avrebbe finito per tartassare ancor più i contribuenti. Che indossati i panni di assistiti hanno scoperto di dover pagare anche sempre più servizi sanitari, tant’è che la spesa privata ha oramai superato il tetto dei 30 miliardi, anche se con la crisi è calata di un modesto 1%. Certo, se andiamo a vedere la classifica degli anni di vita attesa in buona salute l’Italia, almeno fino al 2010, si classifica al secondo posto con oltre 67 anni sia per gli uomini che per le donne, dietro solo alla Svezia, dove le donne vivono in forma fino a 67 anni e mezzo, gli uomini fino quasi a 72. Ma che qualcosa da noi cominci a non andare per il verso giusto sono per primi gli assistiti a segnalarlo. I dati elaborati dal Rapporto Oasi rivelano che nel Centro-Sud oramai la maggioranza dei cittadini giudica inadeguati i servizi offerti dal nostro Ssn (53,5% al Centro e 62,2% al Sud contro una media Italia del 43,9%). E il trend è del tutto negativo, come mostra quel 31,7% di assistiti che giudica peggiorati i servizi sanitari della propria regione. Un’altra discriminante nel livello di qualità percepito dagli assistiti è poi la più massiccia politica di tagli che giocoforza hanno dovuto mettere in atto le 8 Regioni in  piano di rientro dai deficit: il 57,8% di chi vive in Campania, Lazio, Abruzzo, Molise, Piemonte, Calabria, Puglia e Sicilia si è dichiarato insoddisfatto contro un più modesto 23,3% di “scontenti” delle altre Regioni. Una riprova dell’impatto tutt’altro che indolore delle politiche di austerity in sanità.

La crisi aguzza l’ingegno: aumentano le innovazioni gestionali
La crisi se non altro aguzza l’ingegno, visto che dal 1997 ad oggi sono in costante aumento le innovazioni gestionali, dalle Reti cliniche interaziendali per patologia che migliorano il livello di specializzazione di professionisti alla riorganizzazione degli ospedali per “intensità di cura”, dalle forme di associazionismo di medici di famiglia e infermieri alle innovazioni per garantire maggiore integrazione tra ospedali e territorio, per fare solo degli esempi. Tutti strumenti attraverso i quali il management di Asl e Ospedali ha cercato di migliorare la qualità dei servizi con un occhio sempre attento alla spesa.
Il problema però è che proprio i manager continuano ad essere esposti ai venti della politica. In media i Direttori Generali di Asl e Ospedali restano infatti in carica 3 anni e sei mesi, quindi ben meno della durata fisiologica dei loro contratti, che è di 5 anni. Diversi DG, informa il Rapporto della Bocconi, hanno ricoperto l’incarico per un solo anno. Appena il tempo di conoscere il proprio staff e dirsi addio.


“Una instabilità che certamente non favorisce quel da più parte auspicato passo indietro della politica dalla gestione sanitaria”, ha commentato il presidente della Fiaso, Valerio Fabio Alberti, per il quale “solo un management qualificato e nominato con criteri selettivi e trasparenti può garantire una maggiore autonomia delle aziende e il loro migliore funzionamento. Anche attraverso la capacità di mettere in rete le esperienze gestionali più innovative e positive”.
“ Le esperienze maturate sul campo - ha proseguito Alberti - insegnano che puntare sulla maggiore qualificazione del management fa risparmiare più di quanto non facciano tagli lineari e ticket”. “Questo - ha aggiunto - non significa voler eludere il problema della sostenibilità finanziaria del nostro Ssn, che come mostra il Rapporto Oasi rischia realmente di collassare per eccesso di rigore finanziario. Una preoccupazione espressa da tutti i Ministri della salute europei che a Dublino nei giorni scorsi  hanno richiesto alla Commissione UE di compiere un passo deciso verso l’attribuzione delle competenze sul finanziamento dei sistemi agli stessi dicasteri sanitari anziché a quelli economici.”

“Una richiesta pienamente condivisibile, tanto più se accompagnata dall’esclusione dal calcolo dei deficit nazionali degli investimenti in salute che generano crescita economica a medio e lungo termine.” “Nel frattempo - ha continuato Alberti - sarà bene che in Italia si rafforzino  politiche di maggiore integrazione socio-sanitaria, che la crisi rende ineludibili. Penso ad esempio a percorsi di formazione per le badanti ma anche a servizi che integrino assistenza sanitaria domiciliare e servizi più squisitamente sociali per evitare - ha concluso - di scaricare sulle famiglie oneri che finiscono per mettere a repentaglio anche posti di lavoro già minacciati dalla recessione”.
 
 
Ad introdurre il convegno è stata però la curatrice del rapporto Elena Cantù che nel rimarcare le evidenze mostrate dai risultati dell’indagine a partire dal fatto che la crescita della spesa sia inferiore a quella della media Ue 15. Secondo Cantù, in ogni caso il problema è che la crescita della spesa è stata superiore a quella del Pil e l’esigenza di contenimento nasce proprio dal contesto critico entro cui opera il Ssn (vedi l’alto debito pubblico). Fatta questa premessa, nell’illustrare il rapporto Cantù ha specificato come le risposte a questa situazione critica per il nostro Ssn siano da ricercare entro tre filoni: la ricerca di maggiore efficienza, la definizione delle priorità e delle scelte di razionamento e la ricerca di risorse aggiuntive (senza disdegnare il privato, purché sia coinvolto attivamente e con convincimento).
 
Ma l’analisi di queste ricette che prevedono tra gli altri la presa in carico del paziente, gli ospedali per intensità, il potenziamento dell’integrazione tra i professionisti e tra le strutture ospedaliere e quelle territoriali, l’operation management, e la pubblicazione di dati interaziendali per patologia, si dovranno basare su un nuovo assunto che mira all’ottimizzazione nella combinazione dei fattori produttivi che possa far superare atteggiamenti che fino ad ora hanno visto l’integrazione solo come mera aggregazione di fattori.
 
A prendere la parola è stato poi l’ex senatore del Pd Lionello Cosentino che ha rimarcato come in primis occorra andare oltre la logica dei Piani di rientro: “Hanno dato risultati ma più di così non si può spremere” evidenziando anche come nessun Piano di rientro abbia in se un piano per la mobilità del personale. Anche per queste ragioni secondo l’esponente del Pd “serve uno Stato che funzioni e che affianchi le Regioni”.
 
A seguire ha parlato il neo deputato (eletto nella lista Monti) e past president Fiaso, Giovanni Monchiero che ha subito evidenziato come questa edizione del Rapporto Oasi si allontana dagli schemi soliti per intraprendere ed esplorare nuove strade da diversi punti di vista. Dopo la doverosa premessa anche per Monchiero la crisi sta evidenziando ancora di più le disomogeneità del nostro Ssn, per cui occorre certamente un potenziamento del ruolo del Governo centrale. Ma per Monchiero occorre anche invertire la rotta riguardo ai tagli lineari: “No a tagli su singoli fattori produttivi”. E bisogna invece investire nelle competenze e nella qualità perché le previsioni sulla disponibilità delle risorse per il prossimo futuro non sono rosee. “Occorrerà fare alcuni sforzi in più nei prossimi anni”.
 
Strutture, posti letto e personale. Chi sale e chi scende.
Il rapporto ha poi analizzato i cambiamenti che  le principali “voci” del Ssn hanno avuto nel tempo. Il numero di strutture di ricovero pubbliche ed equiparate rispetto agli anni Novanta, si è fortemente e costantemente ridotto: da 942 nel 1997 a 638 nel 20092. Il numero delle strutture private (Case di cura) accreditate è rimasto invece costante nel periodo 1997-2005 (circa 550), per poi registrare un lieve aumento nel 2006 (563) e una diminuzione tra 2008 e 2009 (534).
Anche i posti letto per degenza ordinaria (pubblici, equiparati e privati accreditati, per acuti e non) si sono significativamente ridotti, passando da circa 328.000 nel 1997 a 217.831 nel 2009. Il decremento è stato sistematico nelle strutture pubbliche ed equiparate, mentre i posti letto privati accreditati, pur ridottisi complessivamente del 22,1% nel periodo 1997-2009, mostrano nel corso degli anni un andamento variabile (crescente nel periodo 2000-2003 e nel 2006; decrescente negli altri anni).
È invece cresciuto notevolmente il numero di posti letto in day hospital (pubblici, equiparati e privati accreditati, per acuti e non), passato da poco più di 22.000 nel 1997 a 30.895 nel 2009. Da segnalare che, per la prima volta, tra 2008 e 2009 si è registrato un calo della dotazione di posti letto in regime diurno (pari al 2,3%, -728 unità).
Nel 2009, la dotazione media nazionale di posti letto – in regime di degenza ordinaria e diurna – era pari a 3,6 per mille abitanti per gli acuti e a 0,6 per i non acuti. A livello di media nazionale, ciò ha consentito di rispettare lo standard di 4,5 posti letto complessivi previsto dall’Intesa Stato-Regioni del 23/03/2005. Quattro regioni registravano tuttavia una dotazione ancora superiore a quanto consentito (Molise, Lazio, PA di Trento ed Emilia Romagna). Nel 2009, a livello nazionale, la percentuale media di posti letto in Case di cura private accreditate era pari al 19,8%. A livello regionale, il privato accreditato costituisce una quota significativa dell’offerta totale in Calabria (32%), Campania (30,9%) e Lazio (26,3%). Tale quota è, al contrario, molto bassa in Liguria (4,4%), Basilicata (5,8%), Veneto (6,4%) e Umbria (8,1%). L’offerta privata accreditata è concentrata per il 39% al Nord, per il 39% al Sud e solo per il 21% nelle regioni del Centro. Dal 1998 ad oggi la quota del privato accreditato sul totale dei PL è aumentata di circa 2 punti percentuali.
Il servizio di Pronto Soccorso è invece di appannaggio prevalentemente del pubblico, dotato di un PS nell’80,7% dei casi, contro il 6,9% dei privati accreditati.
Il personale dipendente del Ssn è complessivamente diminuito dello 0,7% nel periodo 1997-2009. Il dato presenta un andamento piuttosto variabile, dovuto ai periodici blocchi delle assunzioni. Da segnalare un aumento di oltre settemila unità tra 2008 e 2009, con un’inversione di tendenza rispetto alla riduzione degli organici iniziata nel 2006. L’aumento della spesa per il personale è stato comunque inferiore all’aumento complessivo della spesa sanitaria corrente, tanto che l’incidenza percentuale della prima sulla seconda è passata dal 43,3% del 1997 al 32,5% del 2011. Si nota, inoltre, un aumento di percentuale del ruolo sanitario sul totale dei dipendenti Ssn (passato dal 66% del 1997 al 70,2% del 2009), prevalentemente dovuto alla componente medica.
19 marzo 2013
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