A nome della sanità onesta vorrei dare il
benvenuto all’Ispe, istituto per la promozione dell’etica in sanità, nato per comprendere e combattere quel particolare fenomeno sociale chiamato “corruzione”. L’occasione che l’ispe ci offre e di cui personalmente lo ringrazio, è di aprire una riflessione su un fenomeno tanto evocato ma poco studiato.
1) la definizione classica di corruzione (abuso per guadagno) è comprensiva di molte tipologie di abusi (
QS Mennini 23 gennaio), vi sono tuttavia forme di malcostume sanitario che non sono proprio corruzione in senso stretto ma che a loro volta sono cause di antieconomicità, di ingiustizie, di sopraffazioni. Esse vanno oltre le aree degli acquisti e della gestione, degli appalti e delle tangenti, indubbiamente le più corrotte, ma chiamano in causa tutto quanto è riconducibile a quello che, alcuni anni fa, analizzando le varie tipologie di opportunismo sanitario, ho chiamato “il potenziale di abuso” del sistema sanitario. Un potenziale che, se abilmente “maneggiato” e “sfruttato”, può dare vantaggi di un qualche tipo (manovre sui drg, abusi d’ufficio, certe inappropriatezze, evasione fiscale nel caso dell’intra moenia, favoritismi sugli incarichi, comportamenti professionali scorretti, incentivi contrattuali, falsa produttività, lottizzazione, manipolazione di graduatorie, canoni di affitto, tangenti varie, speculazioni sui rifiuti, convenzioni, stipendi gonfiati ecc).
2) In genere si usa il termine generico “malcostume” ma in realtà abbiamo a che fare con un vero e proprio scadimento morale del sistema con estesi effetti di antieconomicità: “sregolatezze”, nel senso delle regole trasgredite (per esempio l’inosservanza di certe linee guida, il ricorso eccessivo ad analisi diagnostiche, falsi accreditamenti, ecc); “degenerazioni”, nel senso di valori compromessi, (per esempio malati raccomandati, liste di attesa flessibili, dimissioni precoci e ricoveri ripetuti, associazioni a delinquere, ecc.); “scostumatezze”, nel senso di comportamenti poco ortodossi (ricette false, analisi eccessive, comparaggio ,truffe e falsi, operatori imboscati, ecc.) .
3) La decadenza della sanità, fa parte integrante di quel problema che in altre occasioni ho definito “regressività”. Da tempo mi ostino a dire che regressività e antieconomicità sono i veri nemici della sanità pubblica da combattere con una riforma rifondativa che in primo luogo intervenga proprio sul “potenziale di abuso” del sistema.
4) Se, come dice Mennini, limitatamente ad alcuni costi di gestione (lavanderia, pulizia, mensa e smaltimento rifiuti, ecc.) esiste una variabilità di risorse per punto percentuale di spesa sanitaria pubblica che va da un minimo di € 179,910 milioni (valore medio) ad un massimo di € 214,360 milioni (valore mediano), mi chiedo quale variabilità per punto percentuale di spesa esista tra i costi dell’onestà e quelli della disonestà?
5) Viene il dubbio che i numeri sull’entità della corruzione in sanità forniti dalla Corte dei conti e dai Nas e dalla Guardia di finanza, siano addirittura sottostimati. La corruzione in realtà non è mai stata stimata in quanto tale e i dati di cui disponiamo sono molto frammentari e in genere riguardano singole Usl, persone o gruppi di persone, convenzioni e truffe che rientrano come dati parziali in quello che la Corte dei conti definisce “danno erariale”. Ma il danno erariale è solo una fattispecie di un fenomeno molto più grande per cui da solo non è sufficiente a quantificarlo nella sua globalità. Non è un caso se la Corte dei conti spesso ha lanciato allarmi usando espressioni quali “gravissima situazione” “crisi" “dissesto”, ecc.
Ed ora un ragionamento: se il decadimento della sanità è la principale forma di regressività e di antieconomicità c’è da credere che essa sia una delle principali concause di quello che gli economisti chiamano “il problema della sostenibilità”. Se questo fosse vero come sembra, qualsiasi scelta di politica sanitaria che non la combatta esplicitamente non avrebbe senso. Non avrebbero senso i “patti per la salute” risorse/prestazioni, avrebbe invece più senso costituire una sorta di “buon costume” della sanità che agisca sorretta da patti anti-corruzione. In sanità le quantità reali di risorse sono falsate dai costi della regressività e dell’antieconomicità.
Non avrebbe senso aggiungere altre gambe al sistema pubblico lasciando intatta la corruzione, e meno che mai, parlare di sostenibilità economica al lordo della corruzione. La spesa sanitaria, se fosse al netto della sua antieconomicità, probabilmente sarebbe più bassa. Non avrebbe senso, sostenere, come ho sentito in un recente convegno, che la sanità sotto il 7% non dovrebbe andare, perché non avrebbe senso quantificare una relazione tra spesa sanitaria e ricchezza economica, senza quantificare la sua antieconomicità intrinseca. E se in quel 7% invalicabile ci fossero, come è probabile, due punti di spesa imputabili alla corruzione che si fa? Combattiamo la corruzione per andare al 5 % o difendiamo il 7%? Vorrei ricordare il rapporto Eurispes che per il nostro paese distingueva tre Pil, quello ufficiale, quello sommerso e quello criminale. In sanità il Pil ufficiale comprende quello sommerso e quello criminale. A questo punto mi chiedo, ritornando a riflettere sul prossimo governo, sulle difficoltà delle regioni, e sulle scelte da fare: è meglio fare un Patto per la salute per avere un pò di soldi in più a decadimento invariante o è meglio fare una riforma per rifondare il sistema contro l’insostenibilità morale ed economica del decadimento?
Ivan Cavicchi