Al 31 dicembre 2023 la popolazione abitualmente dimorante in Italia conta 58.971.230 individui. Rispetto alla stessa data dell’anno precedente la popolazione è inferiore di 25.971 unità, con una riduzione dello 0,4 per mille. Il lieve calo della popolazione su base nazionale è il frutto di andamenti demografici sul territorio tutt’altro che omogenei. In termini relativi il calo maggiore rispetto all’anno precedente si riscontra nel Sud (-3,7 per mille) e nelle Isole (-3,8 per mille). Perde popolazione anche il Centro (-1 per mille) mentre il Nord-ovest (+2,3 per mille) e il Nord-est (+2 per mille) conseguono incrementi positivi. A livello regionale il quadro complessivo presenta variazioni negative della popolazione in tutte le regioni del Mezzogiorno (con un picco del -8,1 per mille in Basilicata) e in tutte quelle del Centro (-3,9 per mille in Umbria). Al contrario, nel Nord, con l’eccezione della sola Valle d’Aosta/Vallée d'Aoste (-2,1 per mille), la popolazione cresce ovunque, con un massimo del +6,3 per mille nella Provincia autonoma di Bolzano/Bozen. A giustificare la modesta flessione della popolazione nazionale e la crescita riscontrata in quella residente al Nord concorre la componente straniera. Gli stranieri censiti come residenti, infatti, salgono a 5.253.658 individui al 31 dicembre 2023 (+21,8 per mille rispetto al 2022) e la loro incidenza sul totale della popolazione residente cresce all’8,9% (8,7% nel 2022). E' quanto rivela il
report Popolazione residente e dinamica della popolazione Anno 2023 dell'Istat.
Le donne superano gli uomini di 1.277.774 unità e rappresentano il 51,1% della popolazione residente. Il rapporto di mascolinità nella popolazione è pari a 95,8 uomini ogni 100 donne. Per effetto di una ben nota maggiore longevità delle donne, il peso della componente femminile cresce progressivamente al crescere dell’età. Fino ai 43 anni di età si registra una prevalenza della componente maschile, principalmente dovuta non solo al fatto che dal punto di vista biologico il rapporto alla nascita tra i sessi è costantemente a favore degli uomini (105-106 maschi ogni 100 femmine), ma anche alla maggiore presenza di uomini tra gli immigrati dall’estero nelle classi di età giovanili-adulte. Nelle classi di età successive, dove si rileva una presenza femminile sempre maggiore, le donne sono il 52% in corrispondenza dei 65 anni di età, il 57% a 80 anni, il 75% a 95 anni e l’83,0% tra gli ultracentenari. Nel 2023, tra le regioni, il rapporto di mascolinità più alto si registra nel Molise (98,2), davanti al Trentino-Alto Adige (98,0) che fino al 2022 si caratterizzava per l’indice più elevato. Il più basso è in Liguria (93,5). Rispetto al quadro generale, tuttavia, coesistono realtà a livello locale dove si denota una prevalenza maschile nella popolazione. Tale circostanza si riscontra in 2.712 Comuni. Il record è detenuto dal Comune di Salza di Pinerolo che, con appena 71 residenti, presenta un rapporto di mascolinità pari a 184,0.
A fine 2023 l’età media della popolazione è pari a 46,6 anni (48 anni per le donne e 45,2 anni per gli uomini), in ulteriore crescita rispetto al 2022 (+0,2), portando così ancora avanti il processo di invecchiamento. Rispetto all’anno precedente la quota relativa degli individui in età 0-14 anni scende dal 12,4% al 12,2%. Stabile al 63,5%, invece, la quota degli individui 15-64enni, mentre gli ultrasessantacinquenni salgono dal 24% al 24,3%. L’invecchiamento della popolazione accomuna tutte le realtà del territorio, sebbene si osservi una certa variabilità nei livelli e nella velocità del processo. La Campania, con un’età media di 44,2 anni (era 43,9 nel 2022), continua a essere la regione più ‘giovane’, anche se negli anni si osserva un costante aumento del livello di invecchiamento. La Liguria, con un’età media di 49,5 anni rimane stabile ai livelli dell’anno precedente, confermandosi tuttavia quale regione più ‘anziana’. Platì (in provincia di Reggio Calabria) è il Comune più ‘giovane’ di Italia, con un’età media di 37,2 anni (era
37,0 nel 2022), mentre Drenchia (provincia di Udine), un Comune con appena 98 abitanti, è quello con l’età media più alta, pari a 65 anni (era 64,8 nel 2022).
Il progressivo invecchiamento della popolazione, visibile nella piramide delle età che rappresenta la struttura per età e sesso della popolazione (Figura 1), è ben evidenziato anche dal confronto tra il peso degli anziani (65 anni e più) e quello dei bambini sotto i 6 anni di età. Nel 2023 per ogni bambino si contano 5,8 anziani a livello nazionale (erano 5,6 nel 2022, 3,8 nel 2011). Cresce anche l’indice di vecchiaia (che misura il numero persone di 65 anni e più ogni 100 giovani di 0-14 anni) che passa dal 193% nel 2022 al 200% nel 2023 (era pari al 149% nel 2011). I valori più bassi di tale indicatore si registrano in Campania e in Trentino-Alto Adige (rispettivamente 154% e 156%), mentre il valore più alto in Liguria (277%).
Sono 5.253.658 i cittadini stranieri abitualmente dimoranti in Italia al 31 dicembre 2023, sono 112mila in più sull’anno precedente (Prospetto 4) e rappresentano l’8,9% della popolazione totale (nel 2022 l’8,7%). Come per il complesso della popolazione, si registra un sostanziale bilanciamento tra i sessi con la componente femminile che rappresenta il 50,5% della popolazione straniera. La popolazione residente straniera cresce in tutte le Regioni. La Regione che registra il maggior aumento in numeri assoluti è la Lombardia (circa 27mila individui in più, corrispondente a un tasso di incremento del 22,9 per mille), davanti alla Campania (circa 12mila individui pari a un +46,4 per mille) e al Lazio (oltre 9mila cittadini in più, +14,6 per mille).
Il decremento demografico nel 2023 (-25.971 individui, per un calo del -0,4 per mille) è frutto di una dinamica demografica caratterizzata da un saldo naturale negativo (-4,9 per mille) che in larga parte è compensato da una dinamica migratoria positiva (+4,8 per mille). Se non fosse per un ulteriore
-0,3 per mille si parlerebbe di popolazione in sostanziale equilibrio numerico. Peraltro, rispetto al biennio precedente (-0,6 per mille nel 2022 e -3,5 per mille nel 2021) si evidenzia un rallentamento nel calo della popolazione, fenomeno che contraddistingue il Paese nel suo insieme dal 2014 e che aveva subito un’accelerazione negli anni della pandemia. Con un numero di nascite pari a 379.890 unità e un numero di decessi uguale a 671.065, il saldo naturale della popolazione nel 2023 continua a essere negativo (291.175 unità in meno), sebbene in misura meno intensa rispetto all’anno precedente (-321.744). I movimenti con l’estero crescono rispetto al 2022, con le immigrazioni che raggiungono quota 439.658 unità nel 2023 mentre le emigrazioni si attestano a 158.438. La differenza determina un saldo migratorio positivo di 281.220 unità, il più alto degli ultimi 12 anni, in aumento sul 2022 (quando era pari a +260.796). Le migrazioni interne risultano in lieve diminuzione: nel 2023 il numero di movimenti tra Comuni è pari a
1.433.803 (-2,6% sul 2022).
I decessi nel 2023 sono 671.065, nel 48% dei casi si tratta di uomini, nel 52% di donne. Rispetto al 2022 si verifica una diminuzione di circa 44mila unità (-6,1%), con un tasso di mortalità che scende dal 12,1 per mille nel 2022 all’11,4 per mille nel 2023. Il calo riguarda soprattutto la componente più anziana della popolazione, all’interno della quale si concentra la maggior parte dei decessi. In particolare, il 78% della diminuzione di mortalità riguarda la fascia di popolazione dagli 80 anni in su. Si tratta di un collettivo che, soprattutto nella sua componente più fragile, è stato particolarmente colpito da eccesso di mortalità negli anni della pandemia. La mortalità precoce di questi individui, verificatasi nel 2020-2022 comporta oggi un ritorno a livelli di mortalità vicini a quelli che si registravano prima della pandemia (10,6 per mille nel 2019).
Al calo della mortalità consegue un aumento della speranza di vita alla nascita. Nel 2023 gli uomini guadagnano circa 5 mesi sul 2022, con una speranza di vita alla nascita pari a 81 anni. Le donne, con un numero di anni pari a 85,1, guadagnano circa 4 mesi in più sul 2022. La speranza di vita alla nascita è più alta nel Nord: per gli uomini è di 81,5 anni nel Nord-ovest e 81,7 nel Nord-est, per le donne è pari a, rispettivamente, 85,6 e 85,9 anni. Rispetto al 2022, nel Nord-Ovest gli uomini guadagnano circa 8 mesi e le donne circa 6 mesi, nel Nord-est l’aumento è per entrambi di circa 5 mesi. Nel Centro, con una speranza di vita alla nascita di poco inferiore a quella del Nord, gli uomini registrano nel 2023 un guadagno di circa 5 mesi (81,4 anni), le donne di quasi 2 mesi (85,4). Il Mezzogiorno è l’area geografica dove si registra la più bassa speranza di vita alla nascita: nel 2023, nel Sud e nelle Isole la speranza di vita tra gli uomini è pari a, rispettivamente, 80 e 79,8 anni, mentre tra le donne i valori sono uguali a 84,3 anni nel Sud e 84,1 anni nelle Isole. Uomini e donne, indistintamente, guadagnano circa 3 mesi di vita nel Sud, circa 4 nelle Isole. Tra i territori, la provincia autonoma di Trento è quella in cui si vive più a lungo: la speranza di vita alla nascita è pari a 82,3 anni per gli uomini e a 86,9 anni per le donne. La Campania è invece la regione in cui si osserva la più bassa speranza di vita alla nascita: 79,3 anni per gli uomini e 83,5 per le donne.
Nel 2023 i nati residenti in Italia sono 379.890, poco più di 6 ogni mille abitanti. Rispetto al 2022 si osserva una diminuzione di circa 13mila nascite (-3,4%), che è in linea con il trend decrescente ormai di lungo corso. Dal 2008, anno in cui il numero delle nascite ha registrato il più alto valore dall’inizio del nuovo millennio, la diminuzione è stata di 196.769 unità (-34,1%). A diminuire sono sia le nascite da partner entrambi italiani (-3,9% sul 2022), che costituiscono oltre i tre quarti delle nascite totali (298.948 nel 2023), sia quelle da genitori in cui almeno uno dei due è straniero (80.942, -1,5%). Tra queste ultime, le nascite da coppie miste (pari a 29.495) registrano un lieve aumento (+1,2%), mentre quelle da coppie di genitori stranieri (51.447 nel 2023) diminuiscono (-3,1%). In linea con la geografia di destinazione della popolazione straniera, la quota di nati da genitori entrambi stranieri sul totale è più elevata nel Nord (19,1% sia nel Nord-ovest sia nel Nord-est) e nel Centro (15,4%). Nel Mezzogiorno le percentuali sono decisamente inferiori: 5,9% nel Sud e 4,9% nelle Isole, contro un valore nazionale pari al 13,5%. La diminuzione dei nati residenti è in gran parte determinata dal calo della popolazione femminile nelle età convenzionalmente considerate riproduttive (dai 15 ai 49 anni) oltre che dal continuo calo della propensione ad avere figli.
Il numero medio di figli per donna scende da 1,24 del 2022 a 1,20 del 2023, in linea con il trend decrescente in atto dal 2010, anno in cui si registrò il massimo relativo di 1,44 figli per donna e quando ebbe fine la lieve ripresa iniziata dopo il 1995. La diminuzione si registra sia per le donne di cittadinanza italiana (da 1,18 del 2022 a 1,14) sia per le straniere (da 1,86 a 1,82). La diminuzione della fecondità è territorialmente omogenea. Il Centro è la ripartizione con la fecondità più bassa, pari a 1,12 (1,15 nel 2022), seguita dal Nord-ovest che, quest’anno come lo scorso, è in linea con il valore nazionale (1,20, contro 1,24 del 2022). Le Isole registrano una fecondità pari a 1,23 (1,26 nel 2022), mentre nel Nord-est e nel Sud l’indicatore è pari a 1,24 figli per donna (da valori che erano uguali a, rispettivamente, 1,29 e 1,26). A livello regionale, la fecondità più elevata si osserva nella Provincia Autonoma di Bolzano/Bozen (1,57), mentre la più bassa è in Sardegna (0,91). L’età media al parto aumenta lievemente passando da 32,4 a 32,5 anni. Risulta più elevata per le donne italiane (33,0), mentre per le donne straniere, sebbene in aumento, rimane al di sotto dei 30 anni (29,6). Centro e Nord sono le ripartizioni in cui l’età media al parto è più elevata (32,9 nel Centro, 32,6 nel Nord-ovest e 32,5 nel Nord-est). Nel Sud e nelle Isole l’età media al parto è, rispettivamente, pari a 32,3 e 31,9 anni. Le madri più giovani d’Italia risiedono in Sicilia (31,6 anni), una delle regioni con la più alta fecondità nel panorama nazionale (1,32). Alla Sardegna, oltre al primato della bassa fecondità, spetta quello della fecondità più tardiva (33,2 anni), a riprova di quanto la diminuzione della fecondità sia legata alla continua posticipazione dell’esperienza della maternità.