È un quadro allarmante quello delineato dal 3° Rapporto sulla Salute e il Sistema Sanitario, presentato questa mattina presso il Museo Ninfeo di Roma. Ci parla di operatori stanchi, frustrati, in cerca di vie di fuga, di un SSN che, secondo i promotori del rapporto, “sembra aver smarrito la via, dimenticando le priorità per cui era stato istituito, trascurando la sua forza pulsante, cioè il suo personale”. Il Servizio Sanitario pubblico è però, allo stesso tempo, attraversato da un cambiamento, “e forse da questi temi si può ripartire per immaginare un futuro diverso per la Sanità”.
Criticità e possibile rampe di lancio per il Ssn sono descritte proprio nel Rapporto, che in sintesi spiega come dal 2008, la perdita di personale medico e infermieristico del ssn è stata “graduale e costante”. Nel 2014 vengono assunti 80 dipendenti ogni 100 usciti, nel 2017 il rapporto era 98 a 100 (tra le conseguenze dello scarso turnover del personale sanitario anche l’aumento dell’età media dei dipendenti del Ssn). Nel frattempo, però, tra il 2014 e il 2017 l’incidenza della spesa per personale dipendente del SSN sulla spesa sanitaria totale si riduce dal 31,4% al 30,1%.
Alla diminuzione del personale stabile fa da riscontro l’incremento del lavoro flessibile: nel 2018, nel comparto sanità si concentra il 45% dell’utilizzo di unità annue a tempo determinato di tutta la PA (35.481 su 79.620). Oltre alla riduzione degli occupati, si assiste ad un peggioramento delle condizioni di lavoro a parità di retribuzioni medie lorde. Al 31 dicembre 2022 il personale dipendente del SSN ammonta a 625.282 unità, risultando in aumento dell’1,3% rispetto all’anno precedente (+8.083 unità). Ma intanto aumenta anche il precariato: tra il 2019 e il 2022 il ricorso al personale a tempo determinato aumenta del 44,6%.
Le cose non vanno bene neanche sul fronte delle retribuzioni: un confronto con i paesi dell’area OCSE emerge che il reddito annuale dei medici specialisti in Italia risulta di quasi il 22% più basso della media, con penalizzazioni molto forti rispetto a Svizzera, Olanda, Germania, Irlanda e rilevanti anche con Danimarca e Regno Unito. Anche per il reddito medio annuale degli infermieri ospedalieri l’Italia si colloca oltre il 22% al di sotto della media OCSE.
Il personale, insomma, è stato uno degli aspetti principali delle politiche di contenimento e riduzione della spesa pubblica destinata alla sanità e ciò, secondo il rapporto, ha contribuito all’esplosione di problemi legati alla disaffezione dei dipendenti e soprattutto allo svuotamento di valore e di significato del lavoro nel e per il Servizio Sanitario Nazionale. Una survey condotta dalla Federazione dei medici internisti ospedalieri porta alla luce come un medico su due sia in burnout (52%), e per gli infermieri poco meno di uno su due (45%); per entrambe le professioni, l’incidenza è più del doppio tra le donne, dove permangono difficoltà di conciliazione lavoro-vita familiare.
Ad incrementare il disagio vissuto dal personale sanitario vi è poi l’aumento dell’aggressività dell’utenza sempre più frequentemente responsabile di episodi di violenza con circa 18.000 operatori coinvolti. A segnalare i 2/3 delle aggressioni sono professioniste donne; la professione più colpita è quella infermieristica, seguita da medici e operatori sociosanitari. I setting più a rischio sono i Pronto Soccorso e le Aree di Degenza e gli aggressori principalmente gli utenti/pazienti. Questi fattori hanno concorso a ridurre l’attrattività del SSN rendendo oltremodo difficile reclutare nuovi operatori e trattenere quelli già in servizio. Chi lascia il SSN va all’estero o nel privato alla ricerca di orari più flessibili, maggiore autonomia professionale, minore burocrazia.
Mentre il Ssn risulta impoverito in termini di risorse umane, molte le innovazioni tecnologiche che arrivano e portano ad un risparmio di tempo e ad una maggiore efficienza nel lavoro di medici e infermieri, con effetti positivi o molto positivi sulla produttività. Ad esempio sistemi ormai consolidati come quelli di refertazione a distanza, alle cartelle cliniche digitali, le diverse applicazioni di telemedicina. L’utilizzo crescente di robot nella chirurgia permette non solo di eseguire particolari sequenze di operazioni in modo più preciso, migliorando la qualità delle prestazioni, ma spesso garantisce anche una maggiore rapidità di esecuzione. In un ambito totalmente diverso, si può fare riferimento allo sviluppo di software specializzati e di sofisticati sistemi di analisi ed elaborazione di dati in àmbito diagnostico.
Un’altra spinta è arrivata dalla Missione 6 denominata “Salute” del Pnrr, che dispone di risorse economiche per 15,62 miliardi di euro, pari all’8,03% dell’intero Pnrr. Gli investimenti hanno lo scopo di superare le criticità del SSN – tempi di attesa, scarsa digitalizzazione, mancata sinergia tra strutture, divario territoriale – per preparare il settore alle tendenze demografiche, epidemiologiche e sociali in atto. Le risorse a disposizione saranno così suddivise: una prima Componente in Reti di prossimità, Strutture e Telemedicina per l’Assistenza Sanitaria Territoriale per 7 miliardi di euro; una seconda Componente in Innovazione, Ricerca e Digitalizzazione per 8,62 miliardi di euro.
Ad oggi la medicina territoriale è affidata a medici di base e unità di pronto soccorso, insufficienti a rispondere ai bisogni della comunità. L’implementazione della medicina territoriale attraverso le Reti di prossimità coincide con la realizzazione di Case della Comunità per 2 miliardi di euro, Case di Abitazione del paziente per 4 miliardi di euro, Ospedali di Comunità per 1 miliardo di euro. Se le Case di Comunità costituiranno il punto unico di accesso alle prestazioni sanitare sul territorio – se ne prevede 1 ogni 40.000/50.000 abitanti – la Casa di Abitazione si concentra sulle necessità derivanti dall’invecchiamento della popolazione e le conseguenti malattie croniche che riguardano il 40% della platea, anche attraverso la telemedicina e le cure domiciliari. Gli Ospedali di Comunità avranno invece la funzione di potenziare l’assistenza sanitaria intermedia mediante la creazione di strutture destinate a degenze brevi – inferiori a 30 giorni – e agli interventi sanitari a media/bassa intensità clinica, con 20 posti letto ogni 100.000 abitanti, e un’assistenza 24/7.
La seconda Componente della Missione Salute prevede invece investimenti per la modernizzazione del parco tecnologico e digitale (4,05 miliardi), sicurezza e sostenibilità degli edifici (1,64 miliardi), rafforzamento delle ICT e degli strumenti per la raccolta, l’elaborazione, l’analisi dei dati (1,67 miliardi), potenziamento della ricerca biomedica (0,52 miliardi), implemento delle competenze tecnico-professionali, digitali e manageriali (0,74 miliardi). La Riforma consiste inoltre nella riorganizzazione della rete degli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS) con una governance aziendale sempre più strategica e orientata alla ricerca.
Mentre la l’attuazione normativa e procedimentale delle Componenti della Missione 6 – in massima parte affidata alla competenza del Ministero della Salute – è sino ad oggi avvenuta nel rispetto del cronoprogramma fissato nel PNRR, la loro attuazione concreta – rimessa alle Regioni ed agli Enti locali – sconta rallentamenti e ritardi in grado di mettere in dubbio la conclusione dei relativi interventi, programmata entro il mese di giugno 2026. Ciò sia per la nuova medicina territoriale, ove la creazione delle nuove Case della Comunità ed Ospedali di Comunità è molto lontana dall’effettivo completamento e messa in funzione; sia per il potenziamento delle ICT all’interno del SSN. Il numero e la capacità tecnico-amministrativa del medesimo personale non sono stati sino ad oggi in grado, anche all’interno della Missione Salute, di rendere le Regioni e gli Enti locali pienamente capaci di attuare concretamente gli interventi affidati a tali livelli di governo.
In ambito clinico, l’IA ha già mostrato le sue potenzialità: nell’attività diagnostica; nell’analisi dei dati e di medicina predittiva; nell’assistenza ai pazienti, consentendo progetti di telemedicina avanzata e potrebbe ridurre del 17% il tempo che i medici impiegano in compiti di natura amministrativa, che attualmente corrisponde al 50% del tempo di lavoro. La sburoctatizzazione dell’attività medica può avere come conseguenza più tempo e attenzione da investire nella relazione tra medico e paziente. Il PNRR rappresenta un’opportunità concreta (l’ultima?) per un rilancio del SSN grazie alla digitalizzazione.
Una delle principali sfide individuate dall’Eurispes per il SSN riguarda il livello di competenze digitali del personale, ancora troppo basso. L’Italia è 18esima per grado di digitalizzazione tra i 27 Paesi dell’Ue, evidenziando la natura sistemica e non particolare della questione. In secondo luogo, c’è la necessità di digitalizzare le infrastrutture su tutto il territorio nazionale, in conformità con quanto indicato dalla Missione 6 del PNRR. Il rischio, in sanità, è che alle ben note disuguaglianze del SSN “analogico”, mai sanate, potrebbero sommarsi quelle specifiche del SSN digitalizzato.
Se quelle appena descritte sono solo una parte delle evoluzioni in sanità e salute, per il rapporto non bisogna dimenticare che ben il 50% delle chances di mantenersi in salute risiede nelle scelte di vita dei singoli individui. Dunque prevenzione ed educazione sanitaria. Ma serve anche stimolare governi e policy makers perché sviluppino politiche sanitarie fondate su una comprensione profonda e integrata di tutte le esposizioni che influenzano la salute: la genetica, il clima, gli ambienti urbani e naturali, il lavoro, l’istruzione, lo stress psicologico e, naturalmente, il sistema sanitario. E poiché, giusto per citarne alcuni, il clima, l’inquinamento atmosferico, i corsi d’acqua, la filiera produttiva del cibo sono fenomeni che oltrepassano i confini statali, è indispensabile che si proceda con una logica internazionale.
“Occuparsi di salute – dichiara il presidente dell’Eurispes,
Gian Maria Fara - richiede un approccio olistico, intersettoriale, dinamico, nazionale e internazionale, ma richiede anche la capacità di calarsi, di volta in volta, in precise aree disciplinari o problematiche specifiche, al fine di osservarle, analizzarle e formulare osservazioni e proposte. Il Rapporto che presentiamo oggi si sviluppa proprio lungo queste direttrici e il messaggio che emerge è chiaro: la salute, più che mai al centro del dibattito pubblico, è una questione che coinvolge tutti i livelli decisionali e richiede la partecipazione di settori diversi, dalla pianificazione urbana alle politiche ambientali, dall’istruzione alla tecnologia”.
Per Fara “solo attraverso un approccio integrato e sostenibile sarà possibile sviluppare politiche che non si limitino alla gestione del Sistema sanitario, ma promuovano il benessere complessivo delle persone e delle comunità. Questo significa proporre nuovi modelli organizzativi, approcci innovativi alla salute pubblica e paradigmi avanzati che considerino la prevenzione, gli stili di vita e le condizioni sociali come centrali per la tutela della salute, elementi fondamentali su cui iniziare a lavorare, insieme, in modo serio e concreto”.
Il presidente della Fondazione Enpam, Alberto Oliveti, evidenzia, inoltre, che “nei cambiamenti in atto, demografico, generazionale, valoriale, tecnologico, la professione medica deve riconquistare rilevanza sociale e autorevolezza. In quest’ottica, quindi, vanno rivalutati il ruolo e l’atto medico. Questo è il fulcro del problema”.
Per riappropriarci dell’ars medica, aggiunge Oliveti, “dobbiamo ripartire dalla sua definizione e quindi da: scienza, coscienza e sapienza, ben consapevoli che l’Intelligenza artificiale, nel suo essere pervasiva, cambierà pratiche, politiche ed etica. Ferma restando la necessità di prevenire le aggressioni, aumentando i controlli nei luoghi di cura, e di perseguire penalmente la violenza anche in flagranza differita, il rapporto medico-paziente deve diventare materia di studio alla ricerca dell’approccio migliore. La relazione è all’insegna dello stress: il medico è impegnato, il paziente è preoccupato, spesso incolto. La gestione della relazione con il paziente sotto stress va studiata considerando che anche l’altro attore, il medico, è sotto stress. Non sono in dubbio le competenze e l’impegno dei medici (che nelle liti finite in tribunale vengono chiamati direttamente in causa solo in 3 casi su 10)”.
La necessità, conclude Oliveti, “è quella di insegnare l’importanza della parola e di approcci non verbali diversi per interpretare il bisogno e l’aspettativa relazionale del paziente. Perché è solo nella relazione che si realizza la potenzialità assistenziale”.