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QS Edizioni - lunedì 23 dicembre 2024

Studi e Analisi

La falcidia dell’autonomia differenziata da parte della Corte costituzionale crea uno spazio di recupero per la Sanità?

di Fernanda Fraioli
immagine 16 dicembre - Più che un’assoluta cancellazione totale che ha in sé il rischio anche di cassare ciò che di valido siamo stati capaci di trarre, sarebbe da suggerire al legislatore una maggiore presenza dello Stato, con le caratteristiche indicate dalla Corte costituzionale, ma anche delle Regioni, al tavolo della Conferenza che, a tal fine, deve subire un rafforzamento per cercare di recuperare terreno rispetto a quando si presentava come un organo più coeso di quanto non dia ora l’idea.

Non bisogna essere dei fini giuristi per capire che Corte costituzionale, Corte di cassazione e referendum sono, rispettivamente, organi giudiziari e strumento preposti a difesa della collettività amministrata, ma bisogna esserlo per capirne le necessità ed intervenire fattivamente in termini di tutela e soddisfazione.

Le recentissime pronunce giurisdizionali – per quanto attese – hanno riportato in auge la questione del rapporto Stato-Regioni in vari ambiti.

Senza neppure essere organi di gestione, sono intervenuti a fornire strumenti e chiavi di lettura a chi, invece, organo di gestione è.

In questo periodo storico di pesante sostenibilità sociale, le parole d'ordine sono proprio Corte costituzionale, Corte di cassazione, accanto a legge sull'autonomia differenziata delle Regioni, ed ora, Referendum.

Andando con ordine, in principio fu la proposta di legge del ministro ad innescare la miccia, anche se, ad essere sinceri, dovremmo considerare l'insoddisfazione sociale circa i servizi offerti ad aver sollecitato a catena tutti gli organi giudiziari ora sulla scena.

Ad ogni buon conto, l'approvazione da parte della Camera dei deputati del disegno di legge sull'autonomia differenziata delle Regioni, oltre a gettare un sasso nello stagno, ha il pregio aver dato voce ad insoddisfazioni che covavano sin dalla riforma del titolo V della Costituzione del 2001, per la paventata disparità di trattamento della comunità amministrata.

Una proposta, prima, ed una legge poi, molto contestate perché sospettate di aumentare il divario tra Nord e Sud della Penisola.

L’autonomia differenziata, alfine, altro non è che un (avvenuto) riconoscimento da parte dello Stato dell’attribuzione di autonomia legislativa alle Regioni a statuto ordinario sulle materie di competenza concorrente che comprendono, tra le altre anche la tutela della salute.

Ma senza indugiare sul contenuto minuzioso della legge, arriviamo alla recente bocciatura da parte della Corte costituzionale – che pur senza investire l’intero impianto normativo – l’ha falcidiata in sette punti chiave impedendone, di fatto, l’applicazione.

La principale illegittimità ha riguardato la definizione dei c.d. LEP, ovvero i Livelli essenziali delle prestazioni (e i LEA entrano in gioco perché si parla di diritti connessi, tra gli altri, anche alla Salute), giudicata tale perché affidata al governo senza adeguati criteri direttivi con connessa esclusione del Parlamento dal ruolo che la Costituzione gli riconosce.

È appena il caso di ricordare che la Consulta, chiamata ad esprimersi sulle questioni di costituzionalità, ha affermato che il regionalismo corrisponde a un'esigenza insopprimibile della nostra società e che essa si è così gradualmente strutturata anche grazie alla Costituzione, ma che spetta al solo Parlamento il compito di comporre la complessità del pluralismo istituzionale.

In buona sostanza ha ribadito che ancora vigente è la disciplina costituzionale che riserva al Parlamento la competenza legislativa esclusiva in alcune materie affinché siano curate le esigenze unitarie del Paese.

Ad essere stati contestati, anche il meccanismo previsto di aggiornamento dei LEP medesimi mediante un semplice DPCM ed il metodo di finanziamento delle nuove competenze regionali dal momento che la legge prevedeva la modifica delle tasse statali da destinare alle Regioni per finanziare i servizi trasferiti alle loro competenze, mediante un semplice decreto ministeriale.

Tanto ha fatto gridare allo scandalo perché foriero di premiare le Regioni meno efficienti.

La Corte costituzionale, attraverso la motivazione che ne ha dato, ha affermato un principio di non poco momento, ovvero che il decentramento deve servire a migliorare i servizi per i cittadini, non già a redistribuire potere politico.

Quindi al bene comune.

A seguire, la Cassazione ha dichiarato legittimo il referendum che chiede di abrogare l’autonomia differenziata di cui alla legge che, seppure falcidiata in ben sette punti, ancora è vigente nel nostro ordinamento.

Manca ancora un passaggio per stabilire in maniera definitiva se il referendum ci sarà davvero oppure no.

A stabilirlo dovrà essere la Corte costituzionale entro il 20 gennaio e, se il parere sarà positivo, allora il referendum si terrà tra il 15 aprile e il 15 giugno prossimi.

Ciò nonostante, non è comunque massimamente certo che il referendum si terrà in quanto il governo stesso potrebbe adottare una legge con cui modifica quella attuale sull'autonomia differenziata facendo così venir meno di fatto quella da abrogare tramite referendum.

Una scelta politica, di sicuro, ma non solo.

Tanto premesso in senso fattuale, v’è da chiedersi se la Sanità può essere interessata ed in che misura da questo sommovimento tellurico scaturente dal bailamme che si è generato in materia.

È bene riandare con la mente agli anni in cui era sostanzialmente lo Stato a ripianare i debiti delle Regioni fino ad arrivare al momento in cui venne deciso che ciascuna di esse dovesse a ciò provvedere, mediante l’aumento delle imposte ai propri cittadini residenti.

Tanto ha determinato – potremmo dire, quasi d’emblèe – una sorta di abbandono filiale di ben 20 organi locali che hanno dovuto gestire al meglio ed in solitudine il risultato di un riparto del fabbisogno sanitario regionale operato in sede politica centrale, intuitivamente condizionata ed influenzata dal livello politico, per citare il presidente di GIMBE, “secondo quella che era un'abitudine alla buona politica che ha fatto la buona sanità o la mala politica che ha fatto la mala sanità”.

Ciò – complici le novelle normative che hanno introdotto adempimenti specifici nel campo gestionale – ha portato le Regioni a doversi confrontare anche con i c.d. piani di rientro, finalizzati sì, al riequilibrio dei conti, ma sicuramente inidonei a far riorganizzare i propri servizi perché parallelamente si è dovuto prendere atto del definanziamento pubblico che ha determinato, quale inevitabile conseguenza, una soccombenza delle Regioni impegnate nel ripiano e con minori risorse da destinare alla Sanità.

È di recentissima pubblicazione (13 dicembre) la sentenza della Corte costituzionale in tema di prestazioni sanitarie, limiti di spesa a carico del bilancio regionale e costo del personale nelle società a partecipazione pubblica che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcune disposizioni della legge regionale Sicilia.

Tra le motivazioni campeggia proprio l’aumento dei costi delle prestazioni, in violazione dei limiti del Piano di rientro del disavanzo sanitario che non consentono di far erogare livelli di assistenza ulteriori rispetto a quelli previsti dalla normativa statale con il conseguente rilevo che gli interventi individuati dal piano sono vincolanti per la Regione che è obbligata a rimuovere i provvedimenti, anche legislativi, e a non adottarne di nuovi che siano di ostacolo alla piena attuazione del piano medesimo.

Vincoli di tal genere hanno fatto emergere prepotentemente il problema delle disuguaglianze che, a torto sono state relegate al rapporto tra Nord e Sud del Paese, ma ben più numerosi sono i settori nei quali si annida, come, ad esempio, tra aree urbane e quelle rurali o tra uomini e donne.

A questo punto, dopo un così lungo periodo di osservazione e, soprattutto di utilizzo del servizio sanitario, se non da addetti ai lavori quantomeno quali utenti, possiamo ragionevolmente ritenere che quanto proposto dall’autonomia differenziata ha in sé il germe della disuguaglianza che non può che aumentare il divario tra i vari settori e, sicuramente tra Regioni del nord e quelle del sud.

Sempre per citare il Presidente di Gimbe “la Sanità pubblica di fatto è un pilastro della nostra democrazia, è uno strumento di coesione sociale, ma è anche una leva di sviluppo socioeconomico. Tanti Paesi prima di noi hanno capito che il livello di benessere e di salute della popolazione condiziona anche il PIL, per cui la spesa sanitaria è anche un investimento economico”.

Ciò considerato, allora, più che un’assoluta cancellazione totale che ha in sé il rischio anche di cassare ciò che di valido siamo stati capaci di trarre, sarebbe da suggerire al legislatore una maggiore presenza dello Stato, con le caratteristiche indicate dalla Corte costituzionale, ma anche delle Regioni, al tavolo della Conferenza che, a tal fine, deve subire un rafforzamento per cercare di recuperare terreno rispetto a quando si presentava come un organo più coeso di quanto non dia ora l’idea, proprio al fine di presentare al legislatore stesso un provvedimento univoco sulla base del quale lavorare a difesa di tutte le realtà territoriali e dei vari settori interessati onde assicurare il rispetto di quei principi costituzionali che, proprio con riferimento alla Sanità, ancora si declinano all’insegna della cura delle esigenze di unitarietà del Paese.

Fernanda Fraioli
Presidente di Sezione della Corte dei Conti
Procuratore regionale per il Piemonte

16 dicembre 2024
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