In Italia, nonostante attualmente ci siano 41 Banche del Latte Umano Donato (BLUD), il fabbisogno di LUD per i neonati più vulnerabili non è soddisfatto, perché le BLUD sono distribuite in modo disomogeneo e non organizzate in rete. E' quanto emerge dal
rapporto ‘Disponibilità del latte umano donato’ pubblicato sul sito del ministero della Salute.
Il Gruppo di Lavoro sul latte umano donato (LUD), composto da rappresentanti dell’Associazione Italiana Banche del Latte Umano Donato (AIBLUD), del Tavolo tecnico operativo interdisciplinare per la promozione dell’allattamento al seno (TAS) e della Società Italiana di Neonatologia (SIN), dopo un’aggiornata revisione della letteratura, ha prodotto il nuovo documento. In esso si evidenzia come, nell’ambito dell’assistenza ai neonati ad alto rischio, e in particolare ai pretermine, in assenza del latte della propria madre, il ricorso al LUD sia molto più vantaggioso rispetto all’uso del latte
formulato per pretermine. Questa superiorità riguarda sia l’outcome clinico sia il documentato risparmio in termini di costi sanitari.
Le BLUD negli ultimi anni si sono diffuse rapidamente in tutto il mondo; il loro numero è aumentato anche in Italia, dove attualmente sono presenti
41 strutture. Le BLUD però soddisfano il fabbisogno solo del 26% dei VLBWI italiani, ossia di quella categoria di neonati a cui il LUD dovrebbe essere
fornito prioritariamente; ciò avviene perché, con l’eccezione della Regione Toscana, risultano distribuite in modo disomogeneo e non organizzate in
rete e perché esiste una scarsa cultura della promozione della donazione e dell’uso del LUD presso i centri neonatali. Il LUD dovrebbe essere quindi valorizzato predisponendo strategie a livello nazionale, in modo da assicurare la disponibilità di LUD a tutti i neonati più vulnerabili e, quando possibile, anche ad altre categorie di pazienti per i quali ci sia un’indicazione medica.