I professori Alesina e Giavazzi nel loro articolo sul
Corriere della Sera del 13 dicembre scorso: “Welfare, tasse e flessibilità, la sinistra abbatta i tabù” mi sono apparsi quantomeno unilaterali nell’analisi di contesto sulla quale formulano le loro osservazioni e proposte.
Secondo il loro punto di vista il futuro è nelle mani dell’abbattimento dei tabù da parte della sinistra sul Welfare, la tassazione e la prospettiva di coprire i più bisognosi. Peccato che nell’analisi non sia altrettanto esplicito cosa dovrebbe abbattere la destra e il neoliberismo, i cui esiti catastrofici, della visione catartica del libero mercato, della finanza senza regole, dal laissez faire in chiave contemporanea, hanno prodotto una crisi economico-finanziaria globale di immani proporzioni.
Gli esiti sono sotto gli occhi di tutti, nel vecchio continente come oltre l’oceano. E’ visibile, reale, il costo economico, sociale, ambientale che pesa come un macigno ed una grande responsabilità delle classi dirigenti, della nostra generazione verso quella dei nostri figli.
Che senso ha, quando si svolge un’analisi, come in questo caso, attribuire le magnifiche sorti future all’abbattimento dei tabù da parte della sinistra, che per quanto importante nel suo ruolo politico, sociale e culturale nel nostro paese, non può, se si ragiona con onestà e rigore intellettuale, essere additata come l’unica responsabile, forza conservatrice dei simulacri che impediscono lo sviluppo e la modernità del nostro paese, nel contesto europeo e mondiale.
In tutti i contesti decisionali, i policy makers, sono alle prese con la rifondazione di un sistema di regole efficaci, capaci di ridefinire i ruoli degli stati nazionali, dei contesti comunitari e di cooperazione, delle regole dei mercati e della finanza, dei contesti socio-economici di protezione sociale degli individui e delle comunità, delle responsabilità individuali e collettive, per far fronte e traguardare un difficile equilibrio da raggiungere perché questo terzo millennio veda una maggiore stabilità ed una prospettiva di sviluppo socio economico più efficace per non lasciare macerie ai nostri figli.
Non voglio con ciò evitare di analizzare le responsabilità, ma se si vuole costruire una strada per uscirne almeno occorre avere una visione giustamente equa e critica delle cose, rifuggendo sia la visione dei primati di un pensiero sull’altro, sia quella delle responsabilità a senso unico, perché così non si va da nessuna parte ed il rischio è sempre quello dell’ideologizzazione della realtà che non fa mai i conti con i processi reali e la vita concreta degli individui e delle società.
La protezione sociale e della salute dei cittadini è patrimonio comune a livello europeo, è il grado di civiltà a cui nessuno stato membro intende rinunciare nonostante che i modelli di attuazione siano basati o sull’universalità, sulle assicurazioni sociali obbligatorie, o su modelli misti, per chè principi fondanti della coesione sociale a base di qualsivoglia processo di sviluppo economico.
La disputa tutta intellettuale e politica di quale sia il modello migliore fa parte della tipicità del caso italiano ma non attecchisce in Europa, dove la discussione è intorno al tema dell’invecchiamento della popolazione, alla grande transizione epidemiologica con il suo carico di cronicità e di cure di lunga durata, alla necessità di far fronte con più congrua protezione sociale al grado di impoverimento delle famiglie e dei singoli individui, più colpiti dagli effetti della crisi.
L’indice di Gini, nell’analisi di questi giorni di Bankitalia sulla povertà e sui consumi della famiglie italiane la dice lunga sul livello di redistribuzione della ricchezza nel nostro paese e sul grado di dipendenza dei più bisognosi e dei livelli di basso o medio reddito della società italiana.
Così come le esperienze di fuoriuscita dai diversi sistemi di Welfare in Europa, si veda il caso della Germania che per legge ha previsto che i percettori di reddito al di sopra dei 70.000 euro, possano uscire dal sistema di protezione sanitaria a patto che contraggano obbligatoriamente un’assicurazione malattia, non ha migliorato i conti della sanità, anzi ha sottratto alle casse tedesche circa 1milione di euro per la piccola quantità di chi ha scelto l’opting out, e perche il sistema assicurativo profit pone limiti di copertura sia in relazione all’età che a gravi patologie preesistenti. Non solo ma tutto ciò ha implicato che il fondo per la LTC, costituitosi nel 1995 ha avuto bisogno di essere implementato dall’1,5% , all’1,9% e fino al 2%nel 2014 per far fronte al bisogno di cure di una popolazione che invecchia.
Lo stesso si può dire per il sistema olandese che accanto a buone performance del servizio sanitario verifica che la concorrenzialità del sistema assicurativo obbligatorio e complementare non si è tradotto in vantaggio per i cittadini, e in periodo di crisi, lo stato ha dovuto aumentare i fondi per proteggere i cittadini a basso e medio reddito e soprattutto gli anziani, che hanno visto messa a rischio la possibilità di potersi comprare un assicurazione complementare per far fronte alle malattie di lunga durata. Lo stesso potrei citare per i sistemi a più forte vocazione universalistica come la Svezia o il Regno Unito che non si sognano lontanamente di escludere i redditi più elevati dal sistema universalistico di protezione ma affrontano le problematiche di sistema con un maggior coinvolgimento della responsabilità individuale e collettiva di compartecipazione al sistema, sia con l’istituto della nuda proprietà per quanto riguarda le cure di lunga durata e i ricoveri nelle residenze protette o attraverso le Mutualità non profit e le charities cui affidano servizi domiciliari o di semiresidenzialità per la non autosufficienza e la riabilitazione. Naturalmente è a tutti noto che parliamo di sistemi a bassa evasione fiscale, con livelli di tassazione superiori al nostro, non in recessione e con debito pubblico molto ma molto più inferiore del nostro, cosi come di livelli di disoccupazione ben al di sotto dell’11% come nel nostro paese.
Il governo Cameron che pure ha previsto un risparmio di circa 20 miliardi di sterline entro il 2014 sul NHS con processi di razionalizzazione del sistema, di concentrazione delle risorse ai consorzi di GP sul territorio, di eliminazione delle burocrazie territoriali dei PCT non ha lontanamente ipotizzato una fuoriuscita dal sistema dei redditi più elevati, che pure in U.K. possiedono il 6,7% del mercato assicurativo sanitario privato, anzi l’apertura delle olimpiadi con la stupefacente regia di Danny Boyle si è caratterizzata con le immagini della Mongolfiera del NHS e del nursing quale orgoglio dei valori di riferimento del popolo inglese.
Poi consideriamo che in Italia solo 1.330.000 famiglie posseggono una polizza assicurativa privata, rappresentata dal 5,5% del mercato assicurativo delle polizze di malattia, secondo i dati di Bankitalia. E che sono solo l’1% dei contribuenti coloro che dichiarano redditi che sfondano la soglia dei 100.000 euro e lo 0,7% del totale dei contribuenti coloro che dichiarano redditi superiori ai 300.000 euro, secondo i dati del dipartimento delle finanze del MEF in base alle dichiarazioni dei redditi dell’anno 2011. Tutto ciò a fronte dell’odierno rapporto per l’anno 2012 della GDF sull’evasione fiscale che mostra un buco di 41 miliardi di euro che costituisce una voragine nei conti dello stato: 7500 evasori totali, 28 miliardi non denunciati, 13 miliardi finiti all’estero, nonché meccanismi sempre più sofisticati per sottrarre alla tassazione il proprio patrimonio.
Si è convinti davvero che buttando fuori dal SSN circa 400.000 persone si avrebbero maggiori risorse per i più bisognosi? Rinunceremmo a circa 770.000 euro, a fronte di un'evasione dalle proporzioni così elevate, imponendo una uscita forzosa dalla protezione della salute, che nel caso di emergenze, incidenti gravi, dovremmo disciplinare di sottoporre alla verifica, per poter intervenire, di una polizza d’assicurazione, capace di coprire le spese. Non è una questione di tabù, ma una questione di civiltà, di etica, di solidarietà di fronte alla malattia, per cui è preferibile che ognuno paghi in proporzione al proprio reddito, anche compartecipando ai costi per la salute e quelli che non pagano, vengano colpiti sempre più intensificando la lotta all’evasione, dai cui introiti potremmo ricavare una quota maggiore da destinare al FSN e alla ricerca scientifica.
Questo non vuol dire lasciare le cose come stanno, occorre rivedere velocemente i sistemi esentivi esistenti, efficientizzare il SSN, lottare contro gli sprechi e le corruttele che nel SSN esistono e sono doppiamente odiosi, portare a sistema il rapporto pubblico privato, con regole trasparenti di accreditamento, verifica della qualità e raggiungimento degli obiettivi salute per la popolazione. Acconciarsi ad uno sguardo lungo e reale sulle cure di lunga durata, chiamando in causa la responsabilità individuale e collettiva per costruire una massa critica di risorse in grado di far fronte alla longevità che avanza con il suo carico di patologie croniche e degenerative Integrare la fiscalità generale con le forme integrative di assistenza negoziali e di territorio, far crescere una economia sociale di mercato in cui tutelare pienamente i più bisognosi, ma nel contempo far crescere la cultura della socialità e dell’universalità dei diritti inalienabili come quello alla salute, sennò che consegniamo ai nostri figli la legge del più forte: chi più ha meglio si cura?
Certo non si può più confondere universalità con gratuità, perche tutti i sistemi avranno bisogno di più risorse, data la longevità che avanza e le innovazioni tecnologiche e biomediche che traguardano nuove frontiere per la cura delle malattie, ma tutto ciò non richiede, la messa in discussione dei diritti, anzi chiede che in nome dei diritti si attui più crescita, più lavoro per i giovani, più lotta all’evasione senza quartiere, perché deve essere ancora possibile pensare, in un paese come il nostro, che per far quadrare i conti non si deve dire ad un reddito alto vai fuori dal sistema, anche se hai bisogno di un trapianto per sopravvivere, il cui costo si aggira intorno ai 200.000 euro per il SSN, e arrangiati con una polizza privata, ma si deve poter garantire che partecipando solidaristicamente e progressivamente tanto il ricco quanto il povero possano sentirsi garantiti nell’accesso alle cure. Gli strumenti ci sono, si possono trovare anche nel difficile medio periodo.
Come tecnici possiamo mettere a disposizione varie strumentazioni a patto che il decisore politico decida qui ed ora, con verità, senza gattopardismi, sapendo che la sanità non è solo costo ma sviluppo e crescita per il paese. Il vero tabù da cui bisogna rifuggire è che le scelte politiche, non ammettono vane promesse. Per riabilitarsi agli occhi dei cittadini devono essere compiute con rigore, equità e verità per governare processi anche difficili di razionalizzazione e cambiamento ma deve essere chiaro l’obiettivo cui si tende per il bene comune dei cittadini e non per interessi di parte. Questo è tanto più vero in sanità, dove gli interessi sono molto forti e ahinoi esiste la ben nota asimmetria informativa. Proviamo tutti a parlare chiaramente a questo straordinario popolo italiano che, nella crisi e con costi pesanti per uscirne, non si sottrae, ma generosamente contribuisce alla gara di solidarietà per far avanzare la ricerca, affinchè le cure per sconfiggere le malattie siano portate al più presto al letto del malato.
Grazia Labate
Ricercatore in economia sanitaria, già sottosegretario alla sanità