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QS Edizioni - lunedì 7 ottobre 2024

Studi e Analisi

Il Piano Strutturale di Bilancio di Medio Termine 2025-2029 e le policy su salute e sanità

di G. Banchieri, A. Vannucci
immagine 7 ottobre - Il Piano mostra un profilo di rischio significativo tenendo conto delle difficoltà che il combinato disposto di un Ssn in ristrettezze e un Governo alle prese con la gestione di un debito pubblico immenso determinano. Con questo panorama è difficile credere che policy di “salute “e magari un’auspicabile strategia “One Health” potranno esprimere tutto il loro potenziale valore. E sarebbe un peccato se così accadesse

Il Piano Strutturale di Bilancio di Medio Termine 2025-2029, che il Governo ha trasmesso alle Camere in vista del successivo inoltro alla Commissione Europea, è il primo Piano elaborato ai sensi della nuova disciplina economica dell’Unione Europea (UE), recentemente entrata in vigore.

Le nuove regole impongono un cambio di paradigma nella politica economica europea e nazionale. La programmazione di bilancio viene orientata a medio termine, superando i vincoli e i parametri del precedente Patto di Stabilità e Crescita (PSC) preesistente. Si dà centralità alle proiezioni di lungo termine della spesa che tengano conto delle tendenze demografiche.

La programmazione della spesa pubblica nei singoli Paesi UE viene integrata con piani di riforme e di investimenti pubblici finalizzati a garantire una maggiore coerenza dell’intero impianto delle politiche economiche nazionali e una sostenibilità della finanza pubblica basata non solo sulla disciplina di bilancio, ma anche sulla crescita sostenibile e le riforme strutturali.

Questo è il risultato di una lunga trattativa che ha portato alla definizione della nuova governance economica europea. La soluzione di compromesso raggiunta a ventisette ha definito un insieme di regole complesse sia a livello comunicativo sia tecnico.

Il Nuovo paradigma UE
Non è stato risolto però il nodo dell’orientamento fiscale di bilancio (fiscal stance) a livello UE e nell’Area Euro.
Gli Stati membri con elevato debito pubblico, come l’Italia, dovrebbero seguire politiche di riduzione dei loro deficit per cui la stance della politica di bilancio potrebbe risultare restrittiva e quindi inadeguata a far fronte alle sfide tecnologiche e ambientali che ci attendono e a cui le altre potenze economiche come USA, Cina, India continuano a rispondere con grande uso di risorse pubbliche.

Pur se obiettivo della nuova policy UE rimane la sostenibilità del debito seguendo la Debt Sustainability Analysis (DSA) stabilita in sede UE, comunque le nuove regole sono sicuramente migliorative rispetto alla precedente impostazione del PSC in termini di tempistica dell’aggiustamento di bilancio, di anti-ciclicità, di orizzonte di programmazione e di integrazione tra le varie componenti della politica economica.

Gli Stati membri con deficit eccessivi o elevato debito pubblico dovranno seguire un percorso di aggiustamento che al termine del Piano, o anche oltre se necessario, li porti su un sentiero di riduzione sostenibile del debito pubblico. La variabile chiave della DSA è il saldo primario strutturale, ovvero il saldo di bilancio della Pubblica Amministrazione (PA) escludendo però i pagamenti per interessi e al netto di effetti ciclici e misure temporanee o una tantum, in rapporto al PIL.

L’obiettivo di saldo primario strutturale dovrà essere raggiunto tramite una regola di spesa netta basata sul fatto che le uscite della PA che il Governo programmerà crescano meno del PIL nominale durante il periodo di aggiustamento. Così facendo il rapporto tra saldo primario e PIL tenderà a migliorare al netto di oscillazioni dovute a fattori esogeni o temporanei ai quali sarebbe inopportuno rispondere con misure di bilancio che rischierebbero di risultare pro-cicliche.

Le clausole di salvaguardia UE e gli obiettivi di consolidamento del bilancio del nostro Paese
Pur con questo quadro mutato, su pressione di vari Paesi UE, sono state aggiunte clausole di salvaguardia che derivano dal vecchio PSC. Resta il vincolo per i Paesi con deficit eccessivi di migliorare il proprio saldo strutturale di almeno 0,5 punti percentuali di PIL all’anno. Questo standard si applica al nostro Paese che ricordiamo essere soggetto a Procedura di Deficit Eccessivo (PDE). Tuttavia, nei primi tre anni di applicazione delle nuove regole la Commissione potrà tenere conto dell’eventuale aumento della spesa per interessi per attenuare tale vincolo.

La riduzione media annua minima del rapporto debito/PIL per Paesi con debito superiore al 90% del PIL, come è l’Italia, sarà di un punto percentuale all’anno.

Il 21 giugno scorso la Commissione Europea ha inviato all’Italia la propria valutazione/simulazione della traiettoria di spesa netta coerente con la nuova governance economica, accompagnata dalle relative proiezioni dei saldi di bilancio. Secondo queste proiezioni UE, ipotizzando un aggiustamento su sette anni, l’aggregato di spesa netta dovrebbe crescere in media dell’1,5 per cento in termini nominali, coerentemente con un miglioramento ex ante del saldo primario strutturale di 0,6 punti percentuali di PIL.

L’obiettivo per l’ultimo anno di aggiustamento, il 2031, è un surplus primario strutturale pari al 3,3 per cento del PIL.
Il Governo italiano ha rivisto al ribasso la stima di quest’anno del deficit in termini di PIL dal 4,3% indicata nel Documento di Economia e Finanza (DEF) di aprile al 3,8% e conferma l’obiettivo di ridurre l’indebitamento a meno del 3 per cento del PIL nel 2026.

Prospettive di Piano e dinamiche macroeconomiche per l’Italia
Il deficit della PA per l’Italia per il 2024 era stato previsto dalla Commissione UE era pari al 4,4% del PIL. La stima è stata poi aggiornata al 3,8% del PIL. Il miglioramento è dovuto sia a un più favorevole andamento delle entrate sia a una dinamica più contenuta della spesa.
Viene confermata la previsione di crescita del PIL per quest’anno (1,0%) alla luce dell’aumento già acquisito sui dati trimestrali nella prima metà del 2024 (pari a 0,6%) e del maggiore numero di giornate lavorative.

La previsione macroeconomica per gli anni 2025-2027 non contiene variazioni di rilievo in confronto al DEF.
Nelle proiezioni del Governo, tuttavia, il saldo primario strutturale è migliore già nel 2024 rispetto alla stima della Commissione (-0,5 % del PIL vs -1,1 %) e raggiunge, come detto, il 2,2 % nel 2029, contro il 2,1 % stimato dalla Commissione.
I corrispondenti saldi nominali (indebitamento netto della PA) dello scenario programmatico migliorano dal -3,8 % del PIL di quest’anno al -3,3 % nel 2025, al -2,8 % nel 2026, al -2,6 % nel 2027 e poi fino al -1,8 % nel 2029. I deficit nominali previsti per gli anni 2024-2026 sono inferiori a quelli dello scenario a legislazione vigente del DEF di aprile.

Le scelte del Governo e la sanità
Il Governo conferma e intende rendere strutturali gli effetti del cuneo fiscale sui redditi da lavoro dipendente fino a 35 mila euro e l’accorpamento delle aliquote IRPEF su tre scaglioni già in vigore quest’anno. Il Governo si impegna a salvaguardare il livello della spesa sanitaria assicurandone una crescita superiore a quella dell’aggregato di spesa netta. Per gli anni successivi al 2026, verranno anche stanziate le risorse necessarie a mantenere gli investimenti pubblici in rapporto al PIL al livello registrato durante il periodo di vigenza del PNRR.

Per gli anni successivi al 2026, verranno anche stanziate le risorse necessarie a mantenere gli investimenti pubblici in rapporto al PIL al livello registrato durante il periodo di vigenza del PNRR.
Tenendo conto della revisione del PIL nominale operata dall’Istat, nonché di nuovi dati di debito di fonte Banca d’Italia, il rapporto debito/PIL a fine 2023 scende al 134,8%, dal 137,3% precedentemente stimato.

Gli introiti da dismissioni, i proventi ETS (Enti Terzo Settore) nella disponibilità del Ministero dell’Economia e delle Finanze e altre sopravvenienze contribuiranno alla riduzione del debito pubblico, non solo quest’anno ma anche nel corso del prossimo triennio.
La discesa del rapporto tra debito pubblico e PIL nei prossimi anni, soprattutto nel periodo 2024-2026, sarà frenata dall’impatto dei superbonus edilizi introdotti a partire dal 2020. Le previsioni del Piano scontano, pertanto, un moderato aumento del rapporto debito/PIL fino al 2026, che negli anni successivi sarà seguito da una discesa in linea con le nuove regole che richiedono una riduzione annuale media di almeno un punto percentuale di PIL.

La sfida più grande per il nostro Paese è rappresentata comunque dall’elevato stock di debito pubblico e dal relativo onere per interessi. Interessi che hanno spiazzato ogni margine per politiche pubbliche di sostegno alla crescita negli ultimi decenni. Gli spazi limitati per gli investimenti pubblici, concessi dal Piano dal 2027, e una politica di bilancio prudente sono i due elementi cruciali individuati per alleggerire in modo strutturale il fardello del debito e della spesa per interessi

Il Piano comprende riforme e investimenti che rispondono ai principali problemi strutturali del Paese e alle priorità dell’Unione europea. Primo obiettivo macro è la piena attuazione degli impegni assunti con il PNRR e l’individuazione di iniziative aggiuntive che il nostro Paese dovrebbe assumere in continuità con il PNRR a fronte dell’estensione del periodo di aggiustamento di bilancio a sette anni.

Il secondo obiettivo, come indicato nel Piano, sono le riforme e le misure di politica economica che verranno adottate in risposta alle Raccomandazioni del Consiglio UE specifiche per ogni singolo Paese, oltre alle iniziative in merito che fanno parte del programma di governo.

Al momento la situazione economica, occupazionale e di finanza pubblica dell’Italia è in miglioramento malgrado la caduta dei livelli produttivi dell’industria, il preoccupante allargamento dei conflitti internazionali e sfide tecnologiche e ambientali di crescente complessità. Difficile dire se la traiettoria futura sarà favorevole o meno, così come se i benefici attesi ricadranno in modo equo su tutti i cittadini.

Il potenziamento del Servizio Sanitario Nazionale
Partendo dagli obiettivi resi possibili dal PNRR, il Governo ritiene utile perseguire il potenziamento di alcune misure per il Sistema Sanitario Nazionale, tra cui l’efficientamento delle reti di medicina generale, delle reti di prossimità, delle strutture per l’assistenza sanitaria territoriale (Case della Comunità, le Centrali Operative Territoriali e Ospedali della Comunità), l’implementazione della sanità digitale, ed in particolare la telemedicina, con estensione anche ai Dipartimenti di Emergenza e Accettazione di I e II livello. Così come si prevede di continuare nel processo di ammodernamento delle grandi apparecchiature sanitarie.

Anche gli investimenti sulla ricerca e per la formazione e lo sviluppo delle competenze tecniche, professionali digitali e manageriali del personale del sistema sanitario dovrebbero avere un ruolo primario.

Inoltre, per permettere un maggiore efficientamento della sanità italiana, il Governo si impegna ad attuare:

  • Il potenziamento degli strumenti di monitoraggio della spesa, attraverso l’implementazione di nuovi indicatori sintetici di efficienza e di adeguatezza dei livelli di servizio;
  • Lo sviluppo e riordino degli strumenti per la sanità integrativa, l’assistenza e la non autosufficienza, come il miglioramento della vigilanza dei fondi sanitari e le misure per l’assistenza a lungo termine, definita su tutta la durata della vita degli iscritti;
  • La programmazione delle assunzioni di personale sanitario, favorendo le specializzazioni nelle quali si registrano carenze;
  • Il potenziamento dell’assistenza territoriale e edilizia sanitaria (ricorrendo anche a strumenti finanziari e al partenariato pubblico-privato).

Nell’ambito del riparto delle risorse per il Servizio Sanitario Nazionale, il Governo si propone di valutare interventi di potenziamento delle aree meno sviluppate, tramite il supporto delle best practice regionali (trasferimento delle conoscenze e delle tecnologie, sviluppo di competenze, apprendimento dai punti di forza di altre parti del SSN che performano meglio per agevolare la riduzione dei bassi standard), al fine di superare i divari territoriali, implementando appieno anche le riforme previste dal PNRR.
Il Governo propone, in continuità con la normativa vigente, di individuare meccanismi per aggiornare i Livelli Essenziali di Assistenza per garantire ai cittadini una offerta di prestazioni sempre più ampia e corrispondente alle reali richieste di salute.

In contemporanea si intenderebbe sostenere l’innovazione e la sostenibilità attraverso processi di disinvestimento da pratiche obsolete o addirittura dannose (cd. de-listing).

Si intenderebbe anche sviluppare ulteriormente progetti innovati per incentivare stili di vita sani, sia mediante programmi di informazione sul territorio nazionale relativi ai rischi legati alla sicurezza alimentare e nutrizionale, che la riorganizzazione dei servizi di dietetica e nutrizione clinica, con sviluppo dei percorsi finalizzati alla prevenzione nutrizionale, allo screening del rischio e valutazione dello stato nutrizionale.

Un secondo ambito, considerato di grande importanza, è disincentivare l’abuso di antibiotici per contrastare l’antibiotico resistenza. Infine, viene indicato come rilevante istituire strumenti di controllo per diminuire l’impatto ambientale che deriva dall’uso di fitosanitari e al contempo assicurare la tutela dei consumatori.

Considerazioni conclusive
È evidente come i margini di manovra a livello economico e finanziario per l’attuale Governo - e ciò varrebbe per qualsiasi governo ci fosse oggi o nei prossimi anni - sono molto ridotti. Il deficit di finanza pubblica è un macigno che condiziona le scelte al di là delle volontà dei policy maker.

Attualmente per la sanità abbiamo una proposta nel Piano Strutturale di Bilancio di Medio Termine 2025-2029 che prevede comunque un contenimento della spesa reale salvo scelte politiche extra budget dichiarato e previsto che ci sembrano improbabili e comunque di entità finanziaria molto contenuta. Un esempio lo stiamo vedendo adesso con la legge per il contenimento delle liste d’attesa.

L’Italia ha un’offerta di lavoro complessiva in progressiva riduzione, a parità di altri fattori, cui si accompagna una ricomposizione per classi d’età che riflette uno sbilanciamento verso le fasce più anziane, con un’età media della forza lavoro di 15-64 anni tra le più alte d’Europa.

Registriamo un invecchiamento generale della popolazione, di cui si trova riscontro nell’aumento dell’età media complessiva, favorita anche dal progresso della speranza di vita alla nascita, comune alla maggior parte dei Paesi avanzati.
In Italia si è registrata, per altro, un’accelerazione dell’aumento dell’età media, pari a 46,4 anni nel 2023, mentre all’inizio del decennio scorso si attestava a 43,4 anni. Inoltre, tra i fattori sottostanti l’invecchiamento si rileva il calo delle nascite, che hanno fatto registrare il minimo storico nel 2023, e che si lega a un tasso di fecondità (TFT) tra i più bassi nei Paesi OCSE.

I diciottenni sono oggi circa 480.000 contro i 900.000 di solo 10 anni fa. Queste classi di età ridotte dovrebbero “ricambiare” il Paese, ma al contempo abbiamo la percentuale più grande di NETT, giovani che non studiano né lavorano, della UE. Non è una prospettiva che ci rassicura

Ci mancano, secondo i dati di Assolombarda al 2023, circa 2.000.000 di lavoratori nei vari settori produttivi e di servizi e solo in sanità si stima un bisogno per il prossimo quinquennio di 200.000 infermieri e 30.000 medici. Speriamo che le iniziative attivate con difficoltà a livello nazionale e regionale diano risultati tangibili.

Il Piano Strutturale di Bilancio di Medio Termine 2025-2029 mostra un profilo di rischio significativo tenendo conto delle difficoltà che il combinato disposto di un Servizio Sanitario Nazionale in ristrettezze e un Governo alle prese con la gestione di un debito pubblico immenso determinano.

Con questo panorama è difficile credere che policy di “salute “e magari un’auspicabile strategia “One Health” potranno esprimere tutto il loro potenziale valore. E sarebbe un peccato se così accadesse perché per l’Italia sarebbero necessari veri ed efficaci investimenti.

Poi ci sono anche le variabili macroeconomiche e geopolitiche sfavorevoli: due guerre ai confini dell’Europa, Ucraina e Palestina, con implicazioni globali e possibili impatti economici e sociali per altro già in atto nei Paesi UE.

Come tutto questo possa conciliarsi con l’applicazione della recente Legge sull’”Autonomia differenziata” senza per ora il finanziamento dei LEPS – e neppure una loro accurata definizione – e senza un rapido ed ampio adeguamento dei LEA è davvero una domanda che ci dobbiamo porre con preoccupazione.

Assistiamo in tutte le Regioni ad un ricorso alle prestazioni erogate da soggetti privati ed una esternalizzazione dei servizi. È in previsione un aumento della spesa per defiscalizzare le quote associative delle Mutue nell’ambito della così detta “sanità integrativa”. Rammentiamoci che un indirizzo di questo tipo, se non avviene in una cornice regolatoria ben congegnata e rigorosamente applicata e con metriche in grado di valutare l’effettiva qualità dei servizi erogati, costituisce un pericolo di spreco ed inappropriatezza che non deve essere considerato con leggerezza.

Non siamo contrari di principio alla cooperazione tra soggetti pubblici e privati, sarebbe anacronistico, ma senza indirizzi programmatori pertinenti e senza flussi informativi specifici sarebbe impossibile capirne lo sviluppo, se non per stime che potrebbero risultare fallaci.

Per la cornice regolatoria c’è da fare subito un lavoro per correggere la sua attuale inconsistenza. Il rapporto pubblico-privato in sanità va regolato con una disciplina che ci faccia evitare sprechi, differenze e diseguaglianze di accessi ai servizi ed equità e universalismo nelle prestazioni, almeno per quanto riguarda il ruolo della sanità privata “accreditata”. Oggi non siamo sicuri che questo avvenga perché non misuriamo.

Ci sarebbe da aprire un cantiere condiviso e solidale per ripensare ruolo e funzioni per la sanità pubblica in Italia. Invece trionfa la ricerca delle utilità marginali per singolo soggetto erogatore o per singola categoria professionale. Manca una visione di insieme del sistema e si governa al ribasso il suo “roll-back” …

Questo nonostante che realtà come gli USA, vedi gli studi e le ricerche di Don Berwick sugli sprechi nella sanità americana e vedi il dibattito elettorale in atto, ci dicano quanto sanità e salute siano problemi sensibili.

Anche noi pensiamo che non c’è progresso senza “felicità”, ma non quella “liquida”, parliamo di quella “solida”. Quella dimensione per cui non si può essere felici se la distribuzione del sapere, del potere, delle opportunità e delle tutele non è equa. Un pensiero semplice, ma apparentemente trascurato.
Non vorremmo che alla fine dovesse valere l’adagio “quando saremo privati dei diritti, saremo privati di tutto”.

Giorgio Banchieri,
Segretario Nazionale ASIQUAS, Docente DiSSE, Università “Sapienza”, Roma;
Andrea Vannucci,
Membro CTS ASIQUAS, Docente DiSM, Università Siena, Membro CD Accademia di Medicina, Genova.

7 ottobre 2024
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