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QS Edizioni - domenica 30 giugno 2024

Studi e Analisi

Dalle risorse alle condizioni di salute fino alla speranza di vita, il Sud è sempre indietro. Istat: “Marcate differenze territoriali”

immagine 26 giugno - È quanto emerso durante l’audizione dell’Istituto presso la Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale. “I livelli più bassi di finanziamento effettivo si riscontrano nelle regioni del Mezzogiorno, in particolare in Campania e Sicilia” e “la speranza di vita alla nascita è significativamente più elevata nelle Regioni del Nord”. IL DOCUMENTO

“La riforma del Titolo V della Costituzione ha perfezionato il ciclo di riforme finalizzato al decentramento organizzativo e gestionale del settore della sanità, affidando il potere legislativo concorrente a Stato e Regioni in materia di Sanità Pubblica. La riforma, al fine di assicurare l’uniformità dell’assistenza su tutto il territorio nazionale, ha previsto l’obbligo per le Regioni di assicurare i Livelli Essenziali di Assistenza (Lea). Le risorse a disposizione delle Regioni per la gestione e il funzionamento del Servizio sanitario nazionale (Ssn) sono rappresentate dal finanziamento effettivo che, nel 2022, si è attestato a 127,5 miliardi di euro, con un aumento medio dal 2017 dell’1,8%. L’analisi regionale evidenzia discrete differenze in termini di risorse economiche disponibili: Emilia-Romagna e Liguria sono le regioni con il finanziamento pro-capite più elevato, rispettivamente 2.298 e 2.261 euro. In generale i livelli più bassi di finanziamento effettivo si riscontrano nelle regioni del Mezzogiorno, in particolare in Campania e Sicilia, con 1.994 e 2.035 euro pro-capite. Come già argomentato, il confronto tra finanziamento effettivo e bisogno potenziale di assistenza, quest’ultimo indicato dalla quota di persone con multicronicità, evidenzia una discreta variabilità e un’allocazione delle risorse non sempre coerente con lo stato di salute della popolazione residente nelle regioni. L’analisi delle condizioni di salute della popolazione mette in luce marcate differenze territoriali; la speranza di vita alla nascita è significativamente più elevata nelle Regioni del Nord: nel 2023 nel Nord-est, un cittadino vive mediamente per 83,8 anni, mentre nelle Isole la sopravvivenza si ferma a 82 anni. I divari sono evidenti anche analizzando tutto il periodo che va dal 2004 al 2023, durante il quale l’andamento della speranza di vita nei territori non accenna ad attenuarsi”.


È quanto è emerso durante l’audizione di Stefano Menghinello, Direttore della Direzione centrale per l’analisi e la valorizzazione nell’area delle statistiche economiche e per i fabbisogni del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza" dell’Istat davanti alla Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale.

“Con riferimento alle persone con almeno una cronicità – prosegue –, nel 2022 la prevalenza più elevata si registra nelle regioni del Nord-ovest con il 41,2% della popolazione residente; nelle Isole si riscontra invece la prevalenza più alta di multi-cronici, il 23,5% della popolazione. La percentuale di persone affette da malattie croniche che si dichiarano però in buona salute è più elevata nel Nord-ovest con il 47,6%, mentre all’estremo opposto si collocano i cittadini residenti nelle Isole con il 37,2%. I più colpiti da patologie croniche sono i residenti nei piccoli centri, fino a 2 mila abitanti, con una prevalenza del 42,4% contro il 40,4% rilevato sull’intero territorio nazionale. Nei piccoli centri le persone con malattie croniche in buona salute sono il 40,3%, quota significativamente più bassa del valore nazionale che si attesta al 44,7%. I confronti in serie storica della multi-cronicità per ripartizione territoriale confermano le differenze già evidenziate, con le regioni del Sud e le Isole che palesano persistenti svantaggi di salute rispetto al dato medio nazionale”.

“Un importante indicatore di equità del Ssn – continua – è rappresentato dalla percentuale di rinunce alle prestazioni sanitarie. Tale indicatore si riferisce alle persone che, pur avendone bisogno, hanno dovuto rinunciare a un accertamento diagnostico o a una visita specialistica. I dati riferiti al periodo 2017-202336 mettono in luce un leggero miglioramento del sistema, a esclusione del periodo pandemico (2020-2021) durante il quale molte persone hanno evitato le strutture sanitarie per ragioni di sicurezza: la quota di rinunce è infatti passata dall’8,1% del 2017 al 7,6% del 2023. Le maggiori criticità di accesso alle cure si riscontrano per la fascia di popolazione di età compresa tra i 45 e i 74 anni, per la quale si registrano percentuali di rinunce più elevate della media nazionale che oscillano, nel 2023, tra il 9,7% e l’11%. La dinamica temporale è in diminuzione per la popolazione tra i 45 e i 64 anni, mentre tra gli ultrasessantacinquenni la percentuale delle rinunce evidenzia una leggera crescita, che si amplia fino a circa 2 punti percentuali tra gli ultrasettantacinquenni (dall’8% al 9,8%). Nel 2023 le Regioni con la quota più alta di rinunce sono Sardegna e Lazio, rispettivamente 13,7% e 10,5%; la Provincia autonoma di Bolzano e il Friuli-Venezia Giulia le regioni più accessibili, con rinunce poco sopra il 5%. La dinamica temporale evidenzia i progressi maggiori nelle aree del Mezzogiorno, che nel 2017 facevano registrare le quote di rinunce più elevate, in particolare della Calabria e della Campania, con riduzioni di 4,9 e di 4,1 punti percentuali rispettivamente. Al contrario, Piemonte e la Provincia autonoma di Trento figurano tra i territori in cui, tra il 2017 e il 2023, la quota di persone costrette a rinunciare alle cure è salita di 2,1 e 1,9 punti percentuali”.

26 giugno 2024
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