Studi e Analisi
Dalle risorse alle condizioni di salute fino alla speranza di vita, il Sud è sempre indietro. Istat: “Marcate differenze territoriali”
“La riforma del Titolo V della Costituzione ha perfezionato il ciclo di riforme finalizzato al decentramento organizzativo e gestionale del settore della sanità, affidando il potere legislativo concorrente a Stato e Regioni in materia di Sanità Pubblica. La riforma, al fine di assicurare l’uniformità dell’assistenza su tutto il territorio nazionale, ha previsto l’obbligo per le Regioni di assicurare i Livelli Essenziali di Assistenza (Lea). Le risorse a disposizione delle Regioni per la gestione e il funzionamento del Servizio sanitario nazionale (Ssn) sono rappresentate dal finanziamento effettivo che, nel 2022, si è attestato a 127,5 miliardi di euro, con un aumento medio dal 2017 dell’1,8%. L’analisi regionale evidenzia discrete differenze in termini di risorse economiche disponibili: Emilia-Romagna e Liguria sono le regioni con il finanziamento pro-capite più elevato, rispettivamente 2.298 e 2.261 euro. In generale i livelli più bassi di finanziamento effettivo si riscontrano nelle regioni del Mezzogiorno, in particolare in Campania e Sicilia, con 1.994 e 2.035 euro pro-capite. Come già argomentato, il confronto tra finanziamento effettivo e bisogno potenziale di assistenza, quest’ultimo indicato dalla quota di persone con multicronicità, evidenzia una discreta variabilità e un’allocazione delle risorse non sempre coerente con lo stato di salute della popolazione residente nelle regioni. L’analisi delle condizioni di salute della popolazione mette in luce marcate differenze territoriali; la speranza di vita alla nascita è significativamente più elevata nelle Regioni del Nord: nel 2023 nel Nord-est, un cittadino vive mediamente per 83,8 anni, mentre nelle Isole la sopravvivenza si ferma a 82 anni. I divari sono evidenti anche analizzando tutto il periodo che va dal 2004 al 2023, durante il quale l’andamento della speranza di vita nei territori non accenna ad attenuarsi”.
È quanto è emerso durante l’audizione di Stefano Menghinello, Direttore della Direzione centrale per l’analisi e la valorizzazione nell’area delle statistiche economiche e per i fabbisogni del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza" dell’Istat davanti alla Commissione parlamentare per l’attuazione del federalismo fiscale.
“Con riferimento alle persone con almeno una cronicità – prosegue –, nel 2022 la prevalenza più elevata si registra nelle regioni del Nord-ovest con il 41,2% della popolazione residente; nelle Isole si riscontra invece la prevalenza più alta di multi-cronici, il 23,5% della popolazione. La percentuale di persone affette da malattie croniche che si dichiarano però in buona salute è più elevata nel Nord-ovest con il 47,6%, mentre all’estremo opposto si collocano i cittadini residenti nelle Isole con il 37,2%. I più colpiti da patologie croniche sono i residenti nei piccoli centri, fino a 2 mila abitanti, con una prevalenza del 42,4% contro il 40,4% rilevato sull’intero territorio nazionale. Nei piccoli centri le persone con malattie croniche in buona salute sono il 40,3%, quota significativamente più bassa del valore nazionale che si attesta al 44,7%. I confronti in serie storica della multi-cronicità per ripartizione territoriale confermano le differenze già evidenziate, con le regioni del Sud e le Isole che palesano persistenti svantaggi di salute rispetto al dato medio nazionale”.
“Un importante indicatore di equità del Ssn – continua – è rappresentato dalla percentuale di rinunce alle prestazioni sanitarie. Tale indicatore si riferisce alle persone che, pur avendone bisogno, hanno dovuto rinunciare a un accertamento diagnostico o a una visita specialistica. I dati riferiti al periodo 2017-202336 mettono in luce un leggero miglioramento del sistema, a esclusione del periodo pandemico (2020-2021) durante il quale molte persone hanno evitato le strutture sanitarie per ragioni di sicurezza: la quota di rinunce è infatti passata dall’8,1% del 2017 al 7,6% del 2023. Le maggiori criticità di accesso alle cure si riscontrano per la fascia di popolazione di età compresa tra i 45 e i 74 anni, per la quale si registrano percentuali di rinunce più elevate della media nazionale che oscillano, nel 2023, tra il 9,7% e l’11%. La dinamica temporale è in diminuzione per la popolazione tra i 45 e i 64 anni, mentre tra gli ultrasessantacinquenni la percentuale delle rinunce evidenzia una leggera crescita, che si amplia fino a circa 2 punti percentuali tra gli ultrasettantacinquenni (dall’8% al 9,8%). Nel 2023 le Regioni con la quota più alta di rinunce sono Sardegna e Lazio, rispettivamente 13,7% e 10,5%; la Provincia autonoma di Bolzano e il Friuli-Venezia Giulia le regioni più accessibili, con rinunce poco sopra il 5%. La dinamica temporale evidenzia i progressi maggiori nelle aree del Mezzogiorno, che nel 2017 facevano registrare le quote di rinunce più elevate, in particolare della Calabria e della Campania, con riduzioni di 4,9 e di 4,1 punti percentuali rispettivamente. Al contrario, Piemonte e la Provincia autonoma di Trento figurano tra i territori in cui, tra il 2017 e il 2023, la quota di persone costrette a rinunciare alle cure è salita di 2,1 e 1,9 punti percentuali”.