Studi e Analisi
Sanità “pubblica” e “privata”: alcune precisazioni necessarie
di Giorgio BanchieriSu Quotidiano Sanità si sta sviluppando un confronto sul tema del rapporto tra sanità “pubblica” e “privata” che richiede delle precisazioni e alcune puntualizzazioni. La Dr.ssa Cittadini nel presentare il 3° Rapporto AIOP ha colto l’occasione per rispondere a quelle che, a suo avviso, sono delle forzature “ideologiche” se non delle vere e proprie fake-news sul tema. Avvio, se posso, un confronto franco e ragionato a questo punto e faccio alcune precisazioni e puntualizzazioni necessarie.
Essere “azienda sanitaria pubblica” vuol dire riuscire a gestire garantendo “trasparenza” e “rendicontazione sociale” delle risorse date, trasferite dal FSN tramite il riparto in Conferenza Stato-Regioni-PPAA e poi da parte delle Regioni di riferimento. Significa avere obiettivi gestionali che le Regioni impongono per ogni singola azienda come priorità. I manager pubblici devono tener conto di una infinità di Leggi, Determine, Linee Guida, Accordi, Convenzioni e CCNL, Piani di Zona e di Salute. Tutto ciò con molti vincoli e obiettivi da rispettare.
Essere “azienda sanitaria privata accreditata” non comporta gli stessi vincoli. Possono gestire le risorse interne in base ad accordi anche aziendali, hanno minori vincoli di trasparenza se non quelli tipici delle società di capitali. Possono combinare i loro fattori produttivi come meglio ritengono all’interno delle specialistiche “accreditate” e del “tetto di spesa” assegnato. Spesso possano avere una gestione mista e gestire i tempi di lavoro del personale e dei servizi come ritengono più convenienti.
Nell’ambito del “tetto di spesa” - se non precisato dalla ASL e/o Regione di riferimento nell’atto di accreditamento - possono incentivare a loro discrezione le branche specialistiche che hanno avuto “accreditate” selezionando quindi la domanda che si può rivolgere a loro.
Il “pubblico” quanto sopra non lo può fare. Deve essere universalista ed equo … quando ci riesce.
Significatività statistica delle survey anche in sanità.
Come è noto a chi lavora con i dati per fare ricerche sul campo “I livelli di “significatività” sono una componente fondamentale dell’inferenza statistica … a differenza di altri valori, questi livelli non sono calcolati da un software, ma devono essere determinati a priori da chi fa le analisi. Per ottenere questo valore non serve quindi nessun calcolo ma solo un po’ di ragionamento. Il livello di significatività è la soglia che determina se un determinato risultato può essere considerato statisticamente significativo. È quindi un numero che viene deciso a priori, in fase di progettazione dello studio, e nei protocolli di ricerca si riporta nella sezione dedicata alla statistica.” [Paola Pozzolo sul sito https://paolapozzolo.it/livello-significativita/]
Quando frequentavo l’Università i miei docenti di allora insistevano molto sulla qualità dei dati e sull’omogeneità dei campioni utilizzati nelle ricerche. In particolare un tema fondamentale era ed è l’omogeneità dei cluster/campioni di analisi.
Per avere significatività statistica i cluster devono essere omogenei, ovvero, possiamo mettere insieme ospedali di rilevanza nazionale, sedi di DEA e con più di 400 PL, oppure possiamo aggregare ospedali di rilevanza regionale, sedi di PS con meno di 400 PL. Mischiare insieme ospedali di dimensioni e specialistiche diversi, nonché altri tipi di strutture di ricovero e cura con afferenze diverse produce una “macedonia”, ma non dati statisticamente significativi.
Il 3° Bilancio Sociale di AIOP ha messo insieme 350 strutture associate che tra loro non sono omogenee. Ma anzi presentano un grande variabilità di afferenze specialistiche e di servizi offerti da ospedali ad alta specialità tipo “Humanitas” di Milano con Case di Cura di rilevanza locale. Non sono un campione omogeneo e quindi non hanno una significatività statistica se non per qualche dato aggregato di valore generale.
Comunque secondo il report presentato il contributo di AIOP al SSN “… assicura più di 1/4 dei ricoveri nazionali, impiegando circa 1/10 della spesa complessiva … il valore aggiunto economico del settore privato si traduce nella capacità di creare ricchezza a vantaggio dei diversi stakeholder e della comunità di riferimento: il 92% di tutto il valore economico generato dalla componente di diritto privato del SSN viene ridistribuito al territorio, sotto forma di indotto per la filiera di produzione (96mila fornitori diretti nelle sole strutture del campione), di coinvolgimento di professionisti (per un totale di oltre 73mila unità), di gettito fiscale e di contributo al Terzo Settore. Nell’8% che viene trattenuto, inoltre, occorre considerare tutti gli investimenti in Ricerca & Sviluppo e in ammodernamento degli ambienti e delle tecnologie …”
A dimostrazione che la sanità “privata accreditata” è tutt’altro che discriminata in Italia.
Le fake-news e AIOP
La Dr.ssa Cittadini nel suo articolo su “Quotidiano sanità” denuncia, a suo avviso, delle fake-news sulla sanità “privata accreditata”. In particolare si pone alcune domande precise: “.. Perché si continua a parlare di sanità privata (la sanità a pagamento) per fare riferimento alle strutture di diritto privato della sanità pubblica (finanziata attraverso la fiscalità generale, con un meccanismo di contribuzione progressiva)?”
La diversa natura giuridica ha implicazioni gestionali importanti … se sei una azienda sanitaria ”privata accreditata” devi perseguire comunque il profitto per remunerare chi ha investito nell’azienda. Il tuo obiettivo strategico sarà avere un MOL, Margine Operativo Lordo, positivo per remunerare gli azionisti. Non ti basta un bilancio a pareggio, anzi, se sei a pareggio non sei remunerativo. In queste considerazioni non c’è nulla di “ideologico”, ma solo vincoli economici e giuridici precisi.
Il “pubblico” deve attenersi ad una logica diversa che dovrebbe privilegiare gli obiettivi di salute delle popolazioni e un tendenziale equilibrio di bilancio. In più dovrebbe garantire rendicontazione e trasparenza ai suoi “mandatari”, ovvero, ai suoi stakeholder interni ed esterni.
“… Perché si continua a dire che le strutture private accreditate selezionano le prestazioni meno complesse più remunerative quando le evidenze dicono il contrario?”
Anche su questo quali sarebbero le “evidenze”? Un dato aggregato di 350 strutture associate AIOP prese insieme in modo indifferenziato? Risulta che le strutture private “accreditate” operano nelle varie Regioni, a prescindere dai diversi modelli di SSR, in base a “tetti di spesa” e a delle “specialità” definite al momento dell’accreditamento da parte della Regione, accreditante in base a loro volta ai bisogni di complementarietà dell’offerta di servizi che il “pubblico” nel momento dell’accreditamento non è in grado di offrire.
Queste “offerte” dovrebbero essere rivalutate nel tempo in base alle dinamiche dei bisogni di salute della popolazione e in base alla capacità o meno del “pubblico” di offrire quei servizi. Quindi avremmo il problema di un aggiornamento dinamico sia del “tetto di spesa” che della qualità dei servizi da ammettere in “accreditamento” nel tempo.
Se poi le Regioni e le ASL non sono in grado di analizzare i bisogni delle popolazioni in divenire e non riescono a ridefinire i capitolati tecnici delle gare e a svolgere adeguate attività ispettive per verificare il permanere della qualità dei servizi nel tempo, gli spazi di discrezionalità gestionale dei privati accreditati si allargano a dismisura e abbiamo il “dominio” della “offerta” contro i bisogni della “domanda” di salute delle popolazioni.
L’incipit del PNRR pone al centro della “visione” di riorganizzazione degli ospedali e della medicina territoriale la analisi della stratificazione dei bisogni e la definizione della piramide del rischio per patologie delle singole popolazioni con conseguente analisi in divenire per sviluppare medicina di popolazione, di prossimità, di iniziativa e di comunità.
Se questo manca, cosa che attualmente è ancora molto diffusa, il “pubblico” subisce il dominio della “offerta” sia sua che dei privati “accreditati”. È una logica a vasi concomitanti inevitabile.
La conseguenza è che si gestiscono i servizi in una logica di “giorno dopo giorno” e di obiettivi prevalentemente economico finanziari e non di salute, salta una logica di programmazione di obiettivi di salute e i Distretti rischiano di non divenire mai più “agenzie di salute” per le loro popolazioni afferenti come indicato nel DM71, poi DM77.
In questo contesto si può concordare con la collega Maria Pia Randazzo di AGENAS quando ritiene che per superare molte delle attuali criticità sia necessario uniformare e completare i flussi di dati necessari per leggere le attività svolte nelle Regioni e nelle aziende sanitarie. Questo nonostante le rilevantissime cifre spese a tal fine fino ad oggi a partire dal “Progetto Mattoni”. Flussi che devono essere uniformi e obbligatori per tutti gli erogatori sia “pubblici” che “privati accreditati”. Su questo ci sono resistenze infinite …
“… Perché si persevera con un approccio ideologico e con la sterile e dannosa contrapposizione pubblico-privato accreditato quando le criticità - iniquità di accesso alle cure per liste d’attesa non governate, rinuncia alle cure, ricorso alla sanità a pagamento, mobilità passiva non fisiologica, inefficienze e sprechi - dovrebbero indurre a potenziare la sinergia tra le due componenti del sistema? …”
Il problema fondamentale è recuperare la capacità di “governance” dei SSR da parte delle singole Regioni. Il “privato accreditato” dovrebbe integrare e completare l’offerta che il pubblico non è in grado di erogare direttamente. Una delle criticità maggiori è la gestione delle “liste di attesa” che, sempre seguendo le proposte della collega Randazzo, è possibile ridurre facendo tre scelte concrete:
- Far passare per i CUP Regionali tutte le richieste dei cittadini costringendo tutti gli erogatori “pubblici” e “privati accreditati” a condividere tutte le loro agende;
- Gestire in automatico con corsie preferenziali la “presa in carico” dei pazienti cronici;
- Verificare la “appropriatezza delle prestazioni” spesso ridondanti e espressione di logiche di “medicina difensiva”.
- Questi sono primi e non secondari “banchi di prova” di un rapporto collaborativo e integrato tra strutture sanitarie “pubbliche” e “private accreditate” ….
Per ora questa disponibilità non si vede …
Considerazioni conclusive.
Veniamo da anni di tagli lineari al FSN prima per i vincoli di bilancio UE, poi per lo sviluppo della sanità integrativa nell’ambito del “welfare aziendale” come da Legge “Job Acts” del Governo Renzi nel 2016. Da allora ad oggi sono stati di fatto “trasferiti” 37,5 miliardi di euro dal FSN alla defiscalizzazione di polizze assicurative e mutualistiche. Poi per i Piani di Rientro abbiamo avuto tagli e ristrutturazioni che hanno coinvolte diverse Regioni in particolare nel Centro Sud del Paese. Infine sono 20 anni che abbiamo il “tetto di spesa” per il tour over del personale che ha comportato una riduzione di risorse umane e conseguentemente di Posti Letto in tutto il Paese. Tutto questo non ha nemmeno sfiorato le strutture sanitarie “private accreditate” ….
Polillo e Tognetti hanno scritto su Quotidiano Sanità il 12 settembre scorso un articolo dal titolo “La collaborazione pubblico privato non è la privatizzazione del Ssn”… ragionare sulla relazione pubblico/ privato nel SSN significa ripensare il SSN, la sua operatività, la sua sostenibilità, il ruolo dei diversi attori che entrano nel campo della salute, con le potenzialità, i limiti e gli interessi di ogni attore, senza nasconderci che cosa è realmente successo in questi 45 anni di SSN e cosa più importante cercando di definire, se possibile, quali debbono essere le strategie future per continuare a garantire un Servizio Sanitario Pubblico, senza nascondere nulla sotto il tappeto.Un pubblico ed un privato competitivo e collaborante che condivide una progettualità valutabile, verificabile, rimodulabile sulla base dei risultati operativi e dei bisogni di salute, da dati di fonte ufficiale alla mano, è una delle strade che consentiranno di continuare a garantire il diritto alla salute dei cittadini, tutti i cittadini a partire dagli ultimi”.
Condivido il loro pensiero e aggiungo:
- Chi se non il “pubblico” - avendo i dati sui bisogni delle popolazioni e potendo integrare i dati al fine di fare stratificazioni in divenire e piramidi del rischio per patologie - può svolgere un lavoro di integrazione di tutte le presenze nelle filiere assistenziali, riallineando degli interessi “privati” su obiettivi di salute generali?
- Chi se non il “pubblico” ha i dati e la visione di insieme per svolgere analisi dinamiche in divenire di “domanda” e “offerta” di salute e può proporre obiettivi da condividere per popolazioni date in modo da “accreditare” le offerte che servono, che sono appropriate e che possono essere integrate?
- Chi se non il “pubblico” può elaborare e proporre policy di “medicina di popolazione”, di “medicina di comunità”, di “medicina di prossimità” e di “continuità assistenziale”?
Il “privato accreditato” è sicuramente una presenza importante e utile se è integrato con il “pubblico” e se condivide con esso strumenti e modelli di governance dei servizi appropriati ed equi e universalistici. Altro problema è il “privato convenzionato” con mutue e assicurazioni …
Si vuole andare ad un diverso modello di welfare nel nostro Paese? Parliamone, ma attenzione siamo già un modello “misto” … abbiamo l’esperienza delle mutue alle spalle tutt’altro che positiva …
Nei Paesi ove è presente un modello “Bismark” (controllo “pubblico” e gestione “privata”) il pubblico governa gli erogatori, li monitora e li sanziona e garantisce equità e universalismo, vedi la Germania.
In conclusione futuri sviluppi, ineluttabili, non devono prevedere necessariamente una diminuzione di ruolo per il SSN, ma invece nuove visioni, nuove competenze, nuove responsabilità e pari, anzi accresciuto, ruolo nella tutela della salute dei cittadini.
Giorgio Banchieri
Segretario Nazionale ASIQUAS, Dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche della Università “Sapienza” di Roma, Docente LUISS Business School Roma