Sul regolamento per gli standard ospedalieri,
l’Anaao e
l’Ipasvi hanno dichiarato due giudizi contrapposti. In mezzo
la Cgil. Come è possibile? Infermieri e medici abitano pur sempre nella stessa casa, se la casa mostra delle crepe può essere pericoloso divaricare i giudizi. Si dirà che i giudizi dipendono, come dicono i relativisti, dal punto di vista, per cui è possibile che di case ve ne siano due, una che crolla come dice l’Anaao e una che risorge come dice l’Ipasvi.
Però la casa è una e uno è il regolamento. Possibile mai che non esista niente di “oggettivo” oltre le “soggettive” convenienze o non convenienze? Prima verità oggettiva: il regolamento ha un significato fortemente regressivo perché il suo impianto resta quello della 132, una legge del lontano 1968, con la differenza che allora si fece una riforma per sviluppare l’assistenza ospedaliera in Italia, con tanto di programmazione ospedaliera, oggi senza un pensiero riformatore si riduce questa riforma ad una batteria di standard per tagliare l’assistenza ospedaliera nel nostro paese.
I dati che ricordava
Fassari parlano chiaro. Il regolamento riproduce la stessa vecchia tipologia di ospedali di quasi mezzo secolo fa, gli “ospedali di zona”, “provinciali”, “regionali” mutatis mutandis sono ridenominati di “base”, di “primo livello”, e di “secondo livello”; il parametro fondamentale resta, oggi come allora, il “fabbisogno di posto letto” e gli standard indicati, oggi come allora, sono dei quozienti che da 40 anni ruotano intorno al rapporto posti letto/popolazione (tasso di ospedalizzazione, indice di occupazione dei posti letto, durata media della degenza ecc ). Le uniche novità, per altro problematiche, sono i “tassi di ospedalizzazione attesi, le soglie di volumi minimi, il rapporto volumi/esiti, gli standard generali di qualità, le soglie di rischio di esito ecc. Standard che fanno sorgere la curiosità di sapere quante barelle nei corridoi essi ci costeranno, quanta mortalità in più avremo per i malati complessi, che grado di decadimento della qualità delle cure, quante ore dovranno aspettare i malati nei nostri pronto soccorso, e in che misura essi provocheranno su medici e infermieri quelli che i clinici inglesi definiscono gli effetti da “overcrowding” (sovra affollamento) o da “overburdened” (sovraccarico).
Prima di fare questo regolamento non sarebbe stato male chiarire la “funzione di domanda”, per capire se la domanda di assistenza ospedaliera, a causa del taglio dei posti letto andrà in eccesso o no ? Se i malati non calano e l’H24 e l’ospedale di comunità non saranno finanziati che fine fanno i malati? Seconda verità oggettiva: il taglio reiterato dei posti letto, essendo il posto letto da tempo immemore il principale parametro per quantificare gli organigrammi causerà disoccupazione, cioè taglierà posti di lavoro a medici e a infermieri. Anche questo è un problema “oggettivo”. Ma se il regolamento ha questi limiti per quale ragione gli infermieri lo sostiengono? Da quel che leggo l’Ipasvi mi pare convinta prima di tutto che il regolamento sia stato fatto a partire dai bisogni dei cittadini, e che, in cuor suo, confidi su due promesse: l’abbandono della “attuale centratura sul percorso diagnostico-terapeutico e sulla disciplina medica” e l’istituzione “dell’ ospedale di comunità” a gestione infermieristica. Una “quasi riforma” che, leggo, dovrebbe esaltare “il ruolo” dell’infermiere.
Dieci considerazioni “soggettive” a margine di un regolamento “oggettivamente” brutto: 1) ho i miei dubbi che in pieno definanziamento , un pacchetto di standard restrittivi, funzioni come una “quasi riforma” con effetti espansivi verso il diritto alla salute; 2) che si faccia un regolamento puntando sull’esasperazione del conflitto interprofessionale mi preoccupa molto perché immagino che i medici non resteranno a guardare (ricordo la manifestazione del 27 ottobre) ;3) concepire comunque il ruolo di qualcuno a scapito del ruolo di qualcun altro, è possibile come dimostra la battaglia fatta dagli infermieri per la legge 42, ma che questo oggi possa avvenire come nel ‘99 senza un accordo tra professioni non lo auspico come non auspico quei garbugli normativi che tentano di far coesistere una” nuova centralità del medico” con una “nuova ausiliarietà dell’infermiere”, cioè più competenze agli infermieri ma a titolarità medica invariata; 4) con questo regolamento il prezzo che si paga per far “gestire” ipoteticamente qualcosa ad una elite di infermieri amministratori è sproporzionato rispetto al prezzo che paga realmente la massa di infermieri amministrati con questi standard; 5) non si capisce perché “qualcuno” dovrebbe essere capace/ incapace di gestire dei piccoli ospedali e non essere capace /incapace di gestire dei reparti nei grandi ospedali; 6) l’accordo tra professioni sulla governance dei servizi è possibile ma in funzione di nuovi modelli, quelli vecchi sono troppo stretti per definire nuovi ruoli e non è pasticciando con le normative che se ne verrà fuori; 7) se non si va oltre la dicotomia ospedale/territorio sulla quale si basa il regolamento, non si potranno definire nuove governance in funzione di nuove organizzazioni ; 8) i medici e gli infermieri che sino ad ora hanno usato “consociativamente” i loro rapporti con le istituzioni, in genere uno contro l’altro, permettendo, come in questo regolamento e non solo, alle istituzioni di giocare con i loro conflitti, si dovrebbero mettere insieme per proporre ad una comune controparte, un progetto riformatore comune in cui tutte e due ricavino delle soddisfazioni; 9) nel valutare il regolamento sarebbe buona regola distinguere non solo ciò che conviene da ciò che non conviene ma chiarire anche “a chi” conviene e perché; 10) il miglior giudizio sul regolamento non è quello più giusto ma quello che dentro un contesto indecontestualizzabile ne valuta la plausibilità e l’impatto.
Chiudo con una bella notizia: l’ospedale Mauriziano di Torino vuole definire un progetto di riorganizzazione ed ha chiesto all’ordine dei medici e al collegio degli infermieri una supervisione. Mi complimento con chi ha avuto l’idea e auguro ai medici e agli infermieri di Torino buon lavoro.
Ivan Cavicchi