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QS Edizioni - domenica 22 dicembre 2024

Studi e Analisi

Il dramma della sanità: tra bilanci in rosso, liste d’attesa infinite e cure al palo. Il caso Lazio

di Ettore Jorio
immagine 30 ottobre - L’esempio della crisi del Ssn nel concreto, è riscontrabile altresì nella vicenda Regione Lazio, immeritatamente premiata con l’uscita dal commissariamento, grazie agli ok ministeriali e dei Tavoli romani, dei quali consensi è difficile concepire la ragione tecnica. Ciò in quanto è una Regione che si trova ancora oggi alla rovina.

I più poveri pagano enormemente una tutela della salute oltraggiata. Offesa dalle liste d’attesa, che soddisfano le istanze con ritardi vergognosi, anche di un anno e oltre; da diagnosi divenute nefaste perché rese con una intempestività omicidiaria; dal non avere in molti neppure un medico di famiglia; da un posto letto che non si trova, se non con vergognose intercessioni dei commessi della politica ed eccetera eccetera.

Una situazione che è constatabile ovunque, con eccessi nel Mezzogiorno. In quella parte del Paese ove si riscontra un sistema non affatto garante dei livelli essenziali di assistenza sociosanitaria all’utenza più debole, spesso costretta a passare dal banco dei pegni per conseguirla cash, a pagamento. Una modalità, questa, che costringe il 40% delle persone a rinunciare alle diagnosi e alle cure, mettendosi soventemente in viaggio verso “la fine” per impossibilità assistenziale. E dire che, nonostante ciò che progredisce geometricamente, si proclama spesso l’esistenza di una assistenza sociosanitaria universale malgrado un atteggiamento del sistema che dimostra di essere così palesemente “immorale”.

Il brutto specimen della Regione Lazio

L’esempio ove trarre queste conclusioni nel concreto, è riscontrabile altresì nella vicenda Regione Lazio, immeritatamente premiata con l’uscita dal commissariamento, grazie agli ok ministeriali e dei Tavoli romani, dei quali consensi è difficile concepire la ragione tecnica. Ciò in quanto è una Regione che si trova ancora oggi alla rovina. Indebitata sino al collo e senza via d’uscita. Così come lo era già nel 2007 – parimenti, per esempio, alla Campania che allora registrava circa otto miliardi di buco e la Calabria che ne aveva quasi due al 31 dicembre 2008 - con un presidente di Regione di lì a poco messo in discussione e con un debito consolidato di quasi dodici miliardi di euro.

Ebbene, quel Lazio - lo stesso, come detto, inconcepibilmente de-commissariato senza meriti (DPCM del 5 marzo e del 6 aprile 2020) dal governo Conte II - sembra pertanto essere messo molto peggio di prima. Ridotto male da gestioni insane, da conti irragionevoli con ricorso a registrazioni contabili quasi da prestidigitazione, dalla volontà di non risolvere secundum legem, ovverosia attraverso i necessari interventi di risanamento perché non affatto premianti sul piano del consenso politico.

Una situazione penosa, che invero c’era da tempo, ereditata dall’attuale Presidente dai suoi predecessori. Il tutto caduto addosso alla legislatura da poco capitanata da Francesco Rocca, cui viene rimesso il compito irrinunciabile di adottare una soluzione praticabile funzionale a risolvere il dramma dei numeri e delle precarie condizioni erogative dei Lea. Essendo oramai prossima la chiusura del 2023, pare però che il corrente esercizio non si discosti affatto da quello precedente e, quindi, sarà anch’esso esposto alle medesime eccezioni, attesa l’assenza ad oggi di una tempestiva correzione dei disastri rilevati dalla Corte dei conti laziale a tutto il 2022.

Alla ricerca del contenuto della attesa sentenza di non parifica e alla sua funzione didattica

La prova di tutto questo la si rintraccerà verosimilmente nelle affermazioni della Corte dei conti in sede giurisdizionale, più esattamente nella sentenza con la quale, quasi certamente, non si non parificherà il rendiconto 2022 della Regione Lazio. Il tutto dedotto dalla relazione introduttiva del presidente Benedetti e dalla requisitoria del procuratore Silvestri tenute all’udienza di parifica del 29 settembre, dal dispositivo emesso dalla Corte depositato il giorno successivo e dalle tre note regionali rese pubbliche dal 29 settembre al 24 ottobre u.s.

Se questo è l’indirizzo assunto di recente dal Magistrato contabile, nei confronti dei rendiconti regionali non propriamente corrispondenti alla realtà e alle norme, dimostrativi di gestioni “allegre”, cambierà tutto in meglio, quantomeno sul piano della speranza altrimenti perduta. Non si può, infatti, dopo l’esordio critico nei conti rendicontati nell’esercizio 2022 dalla Regione della Capitale, consentire che le altre Regioni continuino ad essere trattate con assurda benevolenza, per come avvenuto finanche in presenza di rendiconti mai consolidati con la gestione della salute.

L’anzidetta sentenza, che tutti aspettiamo con ansia, sarà certamente interessantissima a leggersi e ad approfondire. Ciò che è certo è che l’atteso dictum fungerà da monito per tutte le altre Regioni ad evitare irregolarità simili, spesso gravemente incidenti negativamente sulla erogazione dei Lea ai cittadini, e a rimediarvi prontamente.

Le dichiarazioni pubbliche che si registrano in giro su tema, considerate le eccezioni fatte dal Magistrato della parificazione dell’esercizio 2022 che rintracciano vecchie origini, a difesa dei trascorsi rendiconti «tutti parificati» e passati immuni al minuzioso setaccio dai ministeri affiancanti, la dicono lunga sulla cultura del bilancio e sulla efficienza del sistema dei controlli in generale. Dei due uno, o che il Giudice di parifica di oggi (2022) non fosse sobrio all’atto delle contestazioni, di provenienza “antica”, mosse alla Regione oppure gli altri controllori in senso lato sono stati quantomeno (molto) disattenti per decenni.

Con questo dilemma in canna - che sarà risolto dalla indubbia qualità del prodotto del Collegio di parifica giudicante che si avrà premura di analizzare non appena reso pubblico - sarà tuttavia certamente interdetto alle Regioni non meritevoli di racimolare il solito ok di parificazione al rendiconto, ancorché condizionato. Quelle occasioni ricorrenti nelle quali si è tollerato troppo e tanto, aiutando così il debito pubblico a svilupparsi incoscientemente ingigantendo, nella contemporaneità, le ricchezze del privato accreditato.

I brutti pensieri e i problemi da risolvere

Quanto alla Regione Lazio, sarà davvero dura mettere mano al suo deficit patrimoniale considerate le sue stesse dichiarazioni, arrivato a valori da far tremare i polsi e destinato a peggiorare con le naturali rettifiche funzionali a riportare a verità i bilanci, con naturali ricadute sul conto economico di competenza. L’ente dovrà infatti rilevare le palesi insussistenze dell’attivo ovvero incrementare il passivo a seguito di nuove scoperte di partite debitorie, contenzioso in primis in costante e incontrollato incremento, atteso l’alto numero di incarichi affidati al libero foro.

I rilievi fatti dal Giudice dei conti sono gravissimi, dimostrano la chiara volontà della Regione di manipolare i conti, con l’intento di fare estetismo contabile, di consentire pagamenti di extra-budget lunari e non dovuti. In quanto tali ci saranno trascorse generose erogazioni da recuperare da chi le ha percepite indebitamente con conseguente responsabilità non solo contabili di chi le ha consentite.

La contestazione istruttoria rappresentata alla Regione Lazio dal Magistrato contabile sul 2022 di circa 1.000 milioni di titoli di credito verso fornitori e strutture private accreditate la dice lunga su come è stato trattato nel passato l’extra-budget e, con esso, il bilancio. In proposito, al fine di “rimediare”, si è arrivati persino a riportare causali letterali improprie nelle registrazioni ovvero a dimostrare una scarsa consapevolezza delle regole di contabilità, invero da rivedere a livello statale.

Ciò in quanto non si comprende, per come desunto dalle note regionali, bene la denominazione affidata alla causale di “note di credito” (si badi bene per oltre 900 milioni di euro), atteso che:

  1. a) nell’ipotesi che gli anzidetti crediti fossero maturati verso v/fornitori e accreditati contrattualizzati e, pertanto, documentati da una nota credito emessa dai medesimi non se ne comprende la mancata effettuazione a tutto il 31 dicembre 2022 (si spera comunque avvenuta nel 2023, altrimenti anch’esso inficiato), da parte delle aziende sanitarie del Ssr, dell’incasso anche con modalità compensativa;
  2. b) nel caso in cui, invece, fossero state le aziende sanitarie ad essersi accorte di aver pagato l’indebito corrispondente agli erogatori privati, il documento idoneo da emettere dalle aziende sanitarie medesime sarebbe stato tutt’al più una nota debito (e non una nota di credito!), anche essa da potere compensare con prestazioni successive. A meno che non ci fosse la remota e di certo inverosimile volontà di supporre di stralciarli successivamente, così come è anche stato rilevato, in altro punto decisivo dal Magistrato relativamente al 2022, con “oltre 787 milioni di euro, di cui 609 milioni di euro antecedenti al 2018”. Il tutto magari senza farli passare, violando anche qui gravemente la regola, dai conti economici aziendali, a titolo di insussistenze dell’attivo (sopravvenienze passive) per non influenzare negativamente il risultato di esercizio, e buttarli dentro il fondo di dotazione.

Cercasi rimedio, difficile ma possibile

Allo stato non si comprende la soluzione individuata sin ad oggi dal presidente Rocca. Il tutto lascia supporre l’approccio ad un rimedio ad effetto placebo. Come se per curare il cancro bastasse l’aspirina. Magari fosse così.

E’ vero, tutto dovrà essere preceduto da una attenta attività ricognitiva che, stante alla dichiarazioni rese nella conferenza stampa, pare non essere stata mai fatta nelle precedenti legislature. Ma sarebbe più logico pensare già sin d’ora, dal momento che dalla “perlustrazione” non potranno che uscire saldi peggiori, a rintracciare una soluzione vera e tangibile. Ciò anche perché le condizioni per pervenire ad un commissariamento ad acta ci stanno tutte.

A ben vedere, il problema che ha il presidente Rocca e i suoi è di portata enorme e complessa. Primo perché sarà difficile ad ammettere la situazione così com’è, perché non affatto produttivo politicamente e per gli organi di vigilanza, Tavoli compresi, tanto da essere passata in sordina anche ai revisori nel loro complesso (aziendali e regionali) e agli advisor che hanno assistito e assistono la Regione in tutto il suo iter commissariale governativo e oltre.

Dunque, occorre andare oltre la sbandierata “operazione verità”, che peraltro rappresenta uno degli ineludibili obblighi della contabilità. Già denominarla tale costituisce un atto di accusa vera e propria a tutta la classe dirigente che ha messo le mani, a diverso titolo, nella contabilità laziale, sia della GSA che di quella del SSR. Si è invero ammesso, riportandolo nelle note regionali, che la Corte dei conti ha certificato una “situazione contabile a dir poco nebulosa” con il rischio di un “duplice danno per le finanze regionali” relativamente alle note di credito, ossia ai documenti di rettifica con cui si contestano le fatture saldate o emesse dal privato e con le conseguenti somme da restituire, in parte o interamente.

La conseguenza verosimile

Un macello, insomma, che lascia aperta l’esigenza di rintracciare le responsabilità, già di conoscenza della Procura regionale della Corte dei conti del Lazio che, in presenza di una così grave notizia non solo danni, ha l’ineludibile obbligo di provvedere, rispettivamente, con apposite citazioni risarcitorie dei danni e di comunicare l’evento alla Procura della Repubblica romana. D'altronde, con l’affermazione resa alla stampa della presenza di un "caos contabile per miliardi nei bilanci della sanità del Lazio al 31 dicembre 2022" tra "fondi di dotazione negativi, debiti non pagati vecchi di 10 anni, crediti non incassati da anni e fondi rischi abnormi non sempre riconducibili a rischi specifici", non rimarrà altro da fare sul piano degli obblighi esistenti.

Ettore Jorio

30 ottobre 2023
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