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QS Edizioni - giovedì 18 luglio 2024

Studi e Analisi

Riformare la sanità e fare una diversa programmazione

di Giorgio Banchieri, Laura Franceschetti e Andrea Vannucci
immagine 18 ottobre - Siamo convinti che una riforma del Ssn in Italia non è procrastinabile perché i limiti e le contraddizioni dell’applicazione delle riforme precedenti si sono manifestati in modo evidente. Vogliamo ricordare che le scelte di programmazione non sono mai “neutre”, ma condizionano l’operatività delle scelte istituzionali e aziendali. Per questo serve un approccio comprensivo del lato della “domanda” e di quello dell’”offerta

Un interessante dibattito si è sviluppato recentemente sul tema della riforma o meno del SSN con diversi contributi significativi che vogliamo riprendere come incipit del nostro ragionamento.

Luciano Fassari in un suo articolo su “Quotidiano sanità” dal titolo “La sanità sospesa tra le poche risorse e la paura di cambiare” sostiene che “… dalle riforme mancate, agli scarsi finanziamenti i molteplici nodi irrisolti della nostra sanità stanno venendo al pettine e rischiano di erodere i buoni risultati in termini di cure che ancora oggi possiamo vantare. Ecco perché nel suo 45esimo anno il Ssn avrebbe bisogno di interventi più incisivi e coraggiosi.”

Ed inoltre: “Dicevo della politica e del male che sta facendo e ha fatto alla sanità. Anche su questo campo ci vuole coraggio. Se il Ssn pubblico e universalistico come dichiarato da tutti i partiti in Parlamento è un bene da difendere e tutelare la politica dovrebbe fare un passo indietro. In Italia si vota praticamente sempre e ogni volta ci si trova di fronte a sconvolgimenti tra spoil system, commissariamenti e via dicendo col risultato che in base all’appartenenza partitica ognuno vuole issare una bandierina, scaricare le responsabilità su chi c'era prima, perdendo però di vista l’obiettivo comune. Tutti aspetti che sostanzialmente bloccano nuove idee ed energie: non a caso i lavoratori della sanità hanno una media di età molto alta e chi può non vede l’ora di scappare tra basse retribuzioni e orari massacranti.”

Nerina Dirindin su “Salute Internazionale” in un suo articolo dal titolo “Il lungo assedio al Ssn” sostiene che “…da oltre un quarto di secolo il Servizio sanitario nazionale è sfiancato da una lenta opera di logoramento. I responsabili politici e tecnici della sanità pubblica hanno aderito acriticamente al pensiero neoliberista dominante che riteneva il sistema insostenibile, inefficiente, desueto e hanno preferito contare sempre più sul privato piuttosto che operare per qualificare seriamente il sistema pubblico. È ora di dire basta”.

“Oggi, la situazione è particolarmente preoccupante non solo perché troppe persone faticano ad accedere ai servizi, ma soprattutto perché stanno tornando, a uno a uno, tutti gli argomenti che credevamo fossero stati spazzati via dalla pandemia: la salute non è più una priorità. Di fronte all’inevitabile rigore che comunque sarà reintrodotto, arrestare il declino del SSN sembra quasi impossibile. E una piccola (o grande) spending review sembra già essere stata scritta”.

Inoltre “ In realtà, bisognerebbe dichiarare inaccettabili ulteriori dosi di austerità nel settore sanitario… È pensabile proporre di battersi in Europa per escludere dal calcolo del debito per un congruo numero di anni gli investimenti necessari per ripristinare un’adeguata dotazione di personale sanitario e un’adeguata remunerazione dei professionisti della salute, nei paesi meno strutturati? La formazione e l’inserimento nel sistema sanitario di una adeguata dotazione di capitale umano è, in un settore ad alta intensità di lavoro, altrettanto fondamentale quanto l’acquisizione di apparecchiature tecnologiche o la realizzazione di strutture sanitari. Chi può battersi per questo?”

A sua volta Ivan Cavicchi in un suo articolo titolato “Di troppa propaganda il Ssn muore”, apparso su “Quotidiano sanità” controbatte che “… la NADEF che abbiamo è il risultato non solo di un governo di destra che non sa nulla di sanità ma anche di una sinistra che non fa politica ma solo propaganda.

In una crisi economica come quella che c’è abbiamo avuto il coraggio non solo di chiedere la parificazione della nostra spesa sanitaria alla media europea per un valore di circa 40 mld, ma anche di proporre il 7.5% del pil, e di chiedere tutti questi soldi senza offrire nulla in cambio.

Nessun miglioramento, nessuna riforma, nessuna modifica. Cioè la sinistra alla destra ha chiesto di rifinanziare la “sua” sanità, quindi gli squilibri che ci sono, le diseguaglianze che ci trasciniamo da anni, le gravi inefficienze, ma soprattutto le controriforme fatte”.

“ .. mi piacerebbe portare avanti il processo di riforma iniziato nel ‘78 svilupparlo e completarlo quindi necessariamente vorrei cancellare le contro-riforme neoliberiste fatte negli anni ‘90 perché per me sono state un tragico errore che oggi paghiamo a caro prezzo”.

Per me neoliberismo e welfarismo fanno a cazzotti e alla fine insieme ci creano enormi problemi di sostenibilità, il diritto alla salute non è riducibile al reddito, l’universalismo vero non può essere selettivo e la sanità privata non può sussidiare quella pubblica.

Quindi se potessi cancellerei l’azienda che personalmente considero la fesseria più grande fatta dalla sinistra, cancellerei anche la seconda gamba perché se si finanzia come si deve il servizio pubblico essa non serve, quanto al privato nessuna preclusione ideologica ma a condizione come stabilito dall’art 41 della 833 che chi lo vuole se lo paghi senza nessuna esenzione fiscale e nessun aiuto finanziario. Per me la grande marchetta in particolare oggi è insostenibile”.

Condividiamo molto di quanto scritto ma riteniamo che siano necessarie anche alcune precisazioni.

Il contesto di partenza
Lo scenario attuale da cui partire per una nuova Riforma del SSN, come è noto, è caratterizzato da:

  • invecchiamento della popolazione a fronte di un processo di denatalità che vede per la prima volta, un tasso negativo anche nelle Regioni del Sud;
  • incidenza rilevante delle fragilità, delle cronicità e delle disabilità connesse all’invecchiamento della popolazione;
  • disponibilità di innovazioni tecnologiche e farmaceutiche che potrebbero in parte compensare i punti precedenti, ma che richiedono uno sforzo continuo di aggiornamento professionale, di ri-modellizzazione dei processi assistenziali e di cura e di governance aziendali;
  • permanenza di un’alta variabilità prescrittiva ed insufficiente uso di linee guida diagnostico-terapeutiche con conseguenti inappropriatezze e sprechi;
  • comparsa di nuove patologie a largo impatto, vedi i disturbi dei comportamenti alimentari e quelli dello spettro autistico, entrambi con una prevalenza del 3,5 con trend crescenti in permanenza di pandemia;
  • crisi del modello di globalizzazione per le diseguaglianze di salute, sociali ed economiche che determina spesso, senza meccanismi di compensazione e redistribuzione adeguati, una polarizzazione economico e sociale che mette in crisi il modello delle società democratiche nei Paesi più sviluppati;
  • polarizzazione economico e sociale (Rapporto Oxfam) che vede l’1% della popolazione globale avere e gestire il 99% delle risorse globali;
  • aumento comunque della domanda espressa e dei bisogni di salute.

    Una Riforma richiede un’efficace programmazione

    Siamo convinti che una riforma del SSN in Italia non è procrastinabile perché i limiti e le contraddizioni dell’applicazione delle riforme precedenti si sono manifestati in modo evidente ed in particolare relativamente a:
  • un processo di aziendalizzazione gestito in una logica di gestione del consenso all’interno dei SSR e delle aziende sanitarie e di gestione del ricco indotto dei SSR (strutture accreditate, outsourcing di servizi, farmaci, device, assicurazioni, etc.), meno impattante sulla qualità delle cure e sugli obiettivi di salute delle popolazioni di riferimento;
  • una riforma del Titolo V della Costituzione stabilita e legiferata con precipitazione, alla fine di una legislatura senza soppesare con la dovuta accuratezza né pesi e contrappesi dell’assetto istituzionale che si attivava né meccanismi che la sua gestione innescava;
  • un ripensamento profondo dei meccanismi di gestione e del ruolo della “sanità integrativa” derivata dal “welfare aziendale” della cosiddetta legge “Job Acts” promulgata dal Governo Renzi, che ha sottratto risorse al SSN tramite la defiscalizzazione delle polizze collettive contenute nei CCNL; uno sviluppo della “sanità integrativa” alla fine sostanzialmente pagato dai lavoratori e dallo stato;
  • uno sviluppo, per quanto incompleto e geograficamente variabile, delle politiche integrate di salute, in una logica di “One Health”, basate su un approccio di medicina di popolazione, di prossimità e di comunità, nonché di integrazione tra sanità e sociale;
  • una programmazione sanitaria spezzettata in 21 realtà regionali o provinciali, scarsamente coordinata e per niente uniforme, incapace di garantire accesso alle cure, livelli di accesso ai LEA e ai LIPS reali e comuni nei territori e di mitigare le diseguaglianze di salute. Una situazione che ha delineato quattro macroaree di differenziazione nel’ accesso alle cure e nei livelli di performance, come gli indicatori LEA e PNE dimostrano.

    Vogliamo ricordare che le scelte di programmazione non sono mai “neutre”, ma condizionano l’operatività delle scelte istituzionali e aziendali. Per questo serve un approccio comprensivo del lato della “domanda” e di quello dell’”offerta”. Anche nella logica del PNRR il presupposto è quello di partire da una capacità “pubblica” di possedere una lettura approfondita della “stratificazione dei bisogni delle popolazioni” presenti nei vari e diversi territori del nostro Paese.

    Programmazione lato “domanda”
    Questi modelli di analisi consentono di “confrontare i costi sanitari di gruppi di popolazione”, rappresentando quindi uno strumento a disposizione dell’organizzazione sanitaria, sociosanitaria e sociale per spiegare la quota di variabilità dei costi imputabile a differenze nelle condizioni di salute e per tale motivo vanno adottati senza ritardi.

    Da anni discutiamo sullo sperimentare un modello di analisi che consenta di definire specifiche modalità di presa in carico per “gruppi di assistiti omogenei”, cioè in relazione alla tipologia e all’intensità del bisogno assistenziale, in particolare per chi soffre per più di una malattia cronica.

    Le analisi di popolazione per la “differenziazione” degli interventi richiedono alcune specifiche proprietà metodologiche. È necessario che il “sistema/modello” per la stima dei bisogni assistenziali della popolazione sia:

    • valido”, cioè capace di identificare gruppi omogenei di assistiti;
    • integrante” e quindi orientato all’implementazione di percorsi assistenziali integrati, centrati sul paziente;
    • Adattabile” e perciò facilmente rimodulabile sulla base di nuove esigenze di programmazione sanitaria anche in considerazione delle probabili e frequenti innovazioni di sistema.

    Ricordiamoci che anche la popolazione sana può essere “diversificata”, tenendo conto della presenza di “fattori di rischio” su cui agire con interventi di promozione della salute.

    Programmazione lato “offerta”
    Notoriamente le aziende sanitarie portano in prorogatio i contratti di affidamento a terzi di servizi per la difficoltà dei servizi di economato e provveditorato di svolgere le gare in base a “capitolati tecnici” aggiornati e connessi ad una rilettura dei bisogni delle popolazioni per profili di patologie.

    Quando Raffaele Cantone, Presidente dell'Autorità Nazionale Anticorruzione, emise l’ ordinanza in cui imponeva a tutte le amministrazioni e imprese pubbliche di NON prorogare oltre i contratti verso terzi, solo una parte delle Regioni e delle aziende sanitarie colse l’occasione per rivedere i profili di bisogni delle popolazioni per profili di patologie e, in base allo sviluppo della diagnostica e delle terapie e delle buone pratiche gestionali esistenti, ridefinirono i “capitolati tecnici” posti a base di gara, rendendoli aderenti ad un rilettura dei bisogni delle popolazioni.

    Quando ciò è avvenuto abbiamo assistito allo sviluppo di esperienze di medicina di popolazione e di comunità. Ove invece non è stato fatto alcun aggiornamento siamo rimasti nel “dominio della offerta” con acquisti di servizi spesso desueti e non appropriati. È in questa area gestionale che si annida gran parte della inappropriatezza e degli sprechi. Per non tenere conto anche dell’area core della sanità, cioè quella dell’offerta clinica: i n Italia “Slow Medicine” con 40 società scientifiche di branca ha dimostrato che sono quasi 2.400 le procedure assistenziali non EBM. Un ambito dove poi abbiamo assistito alla comparsa del Decreto “Lorenzin” e poi al contro decreto che lo ha annullato. Un’area di inappropriatezza e di sprechi che non genera alcun valore ma che pesa sui conti. Senza dimenticare, infine, anche i rilevanti costi della “medicina difensiva” e dell’indugio a rivedere la legislazione sulla responsabilità dell’atto medico allineandosi a quanto avviene nella maggioranza degli altri paesi.

    In questo contesto si annidano interessi specifici di tanti “oligopoli” di erogatori terzi, che hanno interesse a condizionare le scelte della sanità pubblica.

    Sistemi di remunerazione e strumenti di monitoraggio
    Riformare e programmare in modo nuovo è possibile e vuol dire anche affrontare il tema dei sistemi di valorizzazione delle prestazioni e, quindi, anche quello dei DRG ormai incredibilmente obsoleti.

    La determinazione dei costi secondo il sistema DRG (dove peraltro anche le classificazioni mutano ed evolvono nel tempo) vengono elaborati annualmente negli USA, mercato “privato – privato”, poi vengono importati in Gran Bretagna e adeguati al sistema welfare inglese, ma a costi medi britannici. Noi poi li importiamo, praticamente così come sono, sempre “in ritardo” rispetto ai loro successivi aggiornamenti. Sono anni che non abbiamo più fatto una valorizzazione dei costi di produzione per DRG. Abbiamo provato a definire i “costi medi” italiani, ma sono rimasti incagliati alla Conferenza Stato-Regioni-PPAA per la non unanimità delle Regioni.

    Inoltre non abbiamo meccanismi condivisi di valorizzazione delle prestazioni dei servizi di medicina intermedia e di prossimità dove dobbiamo abbandonare la logica della spesa e dei rimborsi per prestazioni e passare a quella per percorsi assistenziali. Si sta lavorando faticosamente per creare convergenze su criteri e standard condivisi e troppi aspetti sono eternamente in “sperimentazione”.

    Determinante per queste incertezze il faticoso decennale percorso del Fascicolo Sanitario Elettronico che dovrebbe mostrare una rivoluzionaria implementazione del 2024 grazie agli investimenti PNRR. Sempre che non decideremo di farci del male con applicazioni surreali della normativa sulla tutela dei dati personali.

    Mancano, ma potremmo agevolmente introdurre, adeguati sistemi di monitoraggio della spesa e soprattutto desk direzionali basati su piattaforme digitali 4.0, già disponibili in sanità e in via di sviluppo nelle loro applicazioni. È possibile ormai integrare in tempo reale qualsiasi dato generato nelle attività delle reti aziendali, purché in formato digitale. Sono diffusamente disponibili nuove e perfezionate piattaforme che consentono di sviluppare, in base ad algoritmi di Intelligenza Artificiale, analisi predittive e analisi dei dati. Questi sono gli strumenti che un moderno sistema deve adottare. Se oggi tutti i flussi informativi aziendali possono essere integrati allora è solo un problema di volontà delle politiche regionali ed aziendali e, in ultima analisi, delle qualità e capacità delle persone preposte. Si è parlato spesso di problemi di interoperabilità tra sistemi ma il sospetto è che la vera mancanza di interoperabilità sia quella tra le persone.

    Le Aziende che non sono mai diventate “aziende”
    Da quando abbiamo le AUSL e le Aziende Ospedaliere e le AOPU, nonché gli IRCCS, l’efficientamento del sistema avanza lentamente, specie nelle Regioni del Centro sud ma anche in alcune sacche del Centro Nord. Dove abbiamo registrato maggiore stabilità politica abbiamo avuto maggiore stabilità del management delle aziende. I mandati sono stati quasi sempre quinquennali e spesso abbiamo avuto anche i loro rinnovi in aziende dello stesso SSR o di SR vicini, con scambi di esperienze e di competenze.

    In altre Regioni dove c’è stata alternanza politica, i mandati a dirigere le aziende e gli staff degli assessorati hanno avuto anche mutazioni semestrali. In contesti del genere non si affrontano i problemi strutturali, ma solo quelli contingenti e si “galleggia” ed i risultati sono stati evidenti.

    Tutto ciò poi accadeva mentre politiche di bilancio, spending review e mancati adeguati incrementi del FSN, nonché la pandemia di SARS-COV-2, hanno messo a dura prova il sistema sanitario esaltandone tutti i nodi strutturali non risolti.

    C’è un grande problema di “governance” e di “qualità reale” da risolvere e perseguire con costanza e mancano, tendenzialmente in forma aggravatasi, dotazioni, personale, competenze e digitalizzazione diffusa.

    I modelli desueti dei servizi sia ospedalieri che territoriali “a silos” sono duri a morire. Nascondono tanta inappropriatezza e tanti sprechi … sono “terreni di caccia” per nomine politiche per cui spesso non abbiamo “la persona giusta al posto giusto” … nonostante formali rispetti dei profili richiesti.

    Dopo decenni di aziendalizzazione “a metà” forse sarà il caso di fare un check dell’esperienza, capirne i punti di forza e di debolezza, valutare se proseguire o meno e come o quali altri modelli gestionali proporre, senza tornare, come nel “Gioco dell’oca”, alle USL con il loro tragico bilancio.

    Il peso della politica
    Roberto Polillo e Mara Tognetti nel loro articolo dal titolo “Gli impegni a favore del Ssn e la credibilità della politica”, apparso recentemente su “Quotidiano sanità” sostengono che “… uscire da questa condizione non è cosa facile ma di sicuro una inversione di tendenza può realizzarsi solo elaborando proposte di cambiamento coraggiose, chiare e realizzabili e che soprattutto non cercano il facile consenso … È dunque la mancanza di coraggio e di vision nell'avanzare proposte concrete che rende finora poco credibili le forze politiche che si oppongono all' attuale esecutivo e che poco hanno fatto in precedenza per impedire che si arrivasse a tal punto.

    Un problema enorme che ha una doppia conseguenza: da un lato il SSN pubblico è ormai a un passo dalla sua estinzione; dall' altro i livelli di partecipazione democratica alla vita pubblica si riducono drasticamente. Ma cosa ancora più grave le disuguaglianze in salute crescono.

    È infatti drammaticamente evidente come il primo partito in Italia con in 40 % di consensi sia quello dei delusi che non votano per nessuno. È altrettanto evidente poi come tale partito sia progressivamente cresciuto a ogni nuova tornata elettorale

    Non sta a noi spiegare le ragioni di questo drammatico rifiuto dei cittadini di partecipare alla vita pubblica e non è certo questa la sede ma di certo un ruolo importante gioca in tale fenomeno la scarsa credibilità dei partiti politici. Una scarsa credibilità che nasce dalla distanza tra quanto si promette in campagna elettorale e quanto si realizza quando si governa”.

    Aggiungiamo pure che forse ogni Paese ha la classe dirigente che sa esprimere e che quindi sostanzialmente lo rappresenta e ne rispecchia pregi e difetti. Per attuare una riforma della Sanità nell’Italia di oggi (e di domani) dobbiamo risolvere le manifestazioni di decadenza che il “sistema Paese” sta mostrando per la crisi di tutte le strutture di welfare (scuola, università, servizi sociali, sistemi sanitari regionali, etc.), per la perdita di diritti realmente “agibili”, ricordarci e recuperare ciò che funzionò in precedenti stagioni di partecipazione attiva e di lotte e conquiste di diritti riconosciuti (l’istruzione, il lavoro, la salute, la sicurezza sociale etc).

    Bisogna rilanciare una nuova stagione di impegno civile, sociale e democratico impegnandoci per la costante e continuativa affermazione dei diritti (e dei doveri) previsti nella nostra Carta Costituzionale e renderli fruibili in particolare alle fasce deboli e emarginate della nostra popolazione. Un rinnovato sistema sanitario pubblico ha questo principale scopo e gli strumenti, se accortamente scelti, così come le persone (se ben motivate) per farlo.

    L’empowerment dei pazienti, delle famiglie e delle comunità
    Il PNRR parlava molto di “medicina di popolazione, di comunità, di prossimità” e proponeva di istituire degli spazi di inclusione ed empowerment dei cittadini, singoli e organizzati, con la proposta delle Case di Comunità e con una richiesta di forte coinvolgimento delle comunità locali a livello di prevenzione, cura e riabilitazione nei percorsi assistenziali da progettare e gestire in modo “integrato”.

    Ora con i tagli al PNRR annunciati vediamo un impoverimento delle progettualità relative proprio alle comunità (spazi urbani da riqualificare, transizione energetica, trasporti, servizi, ambiente e spazi verdi, etc.) oltre che ad almeno un terzo delle reti di Case della Comunità e degli Ospedali di Comunità inizialmente previsti, traferiti su altre fonti di finanziamento UE, per ora opinabili.

    In questo contesto e in questa prospettiva sembra difficile poter puntare sugli obiettivi macro del Modulo 6 del PNRR in modo uniforme in tutto il Paese. Eppure coinvolgere le comunità con i loro potenziali nella riprogettazione del SSN e dei SSR è e rimane fondamentale.

    Il SSN ha bisogno del volontariato, del terzo settore, delle famiglie, dei “caregiver”, sono risorse fondamentali e preziose da tutelare e valorizzare.

    Giorgio Banchieri, Segretario Nazionale ASIQUAS, Docente Dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche della Università “Sapienza” di Roma.
    Laura Franceschetti, Professoressa presso DiSSE, Dipartimento di Scienze Sociali ed Economiche della Università “Sapienza” di Roma.
    Andrea Vannucci, Socio ASIQUAS, Professore a contratto DISM Università di Siena, socio Accademia Nazionale di Medicina, Genova.

18 ottobre 2023
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