Studi e Analisi
Quale integrazione tra sistemi territoriali?
di Tiziana FrittelliLa Nota di Aggiornamento al Documento di Economia e Finanza pone ancora una volta il problema della sostenibilità dell’intera finanza pubblica e mostra il volto di un Paese in grave difficoltà, che sta sempre più ipotecando il futuro delle giovani generazioni. Le uniche due voci di spesa in pesante tendenziale incremento sono le pensioni e gli interessi sul debito pubblico, ambedue con radici lontane. Il SSN è in mezzo al guado, alle prese con una riforma, agganciata alla realizzazione del PNRR, che avrà difficoltà a decollare, se non si smarcano i punti nodali, senza i quali nessuna vera riorganizzazione potrà realizzarsi: il ruolo delle cure primarie, la loro collocazione, i processi di formazione; la valutazione di un processo di task shifting e la conseguente politica delle risorse umane necessaria per attirare e formare adeguatamente quelle numericamente sufficienti; la corretta programmazione dei luoghi necessari per offrire sufficienti cure intermedie; il tutto sullo sfondo di una transizione digitale che non sarà ne’ semplice né automatica, eppure unico strumento per garantire la casa come luogo di cura e per assistere la popolazione delle aree interne, che riguardano la metà dei comuni italiani.
Tutto questo avviene in un contesto di gravissima denatalità, invecchiamento della popolazione, frenata del Pil, quadro di instabilità mondiale che certo non aiuta alcun Paese europeo. Certamente sappiamo che qualunque abbassamento del Pil incide pesantemente sui determinanti di Salute ed è lecito chiedersi quale SSN vogliamo ed in quale contesto di welfare, in una situazione di finanza pubblica che sta erodendo i trattamenti pensionistici dei nostri figli.
Oggi la sfida è trovare un equilibrio tra sostenibilità del SSN, welfare di comunità adeguato alle esigenze dei più fragili, misure che tendano all’incremento del Pil, primo motore di crescita e, dunque, di sostenibilità del SSN e del welfare.
Per questo motivo oggi più che mai è necessario ripensare alle politiche dell’integrazione socio sanitaria in materia profonda, perché su questo versante il nostro Paese gioca il destino della fascia più debole della popolazione: gli anziani non autosufficienti, destinati ad aumentare nel breve periodo, spesso aggravati da malattie croniche; le fragilità sociali di chi, per motivi economici, rinuncia alle cure; la salute mentale, con uno spettro sempre più inquietante sulla fascia infantile e adolescenziale.
Anche a voler valutare queste situazioni solo sotto l’aspetto economico, trattasi, in tutti i casi, di situazioni che, se non gestite con una strategia nuova, sono ad altissimo assorbimento di risorse. Il DM 77 prevede strumenti nuovi di integrazione: il Punto Unico di Accesso presso le case di comunità, dove avverrà la valutazione multidimensionale congiunta tra aziende sanitarie ed enti locali; le Centrali Operative Territoriali, strumento fondamentale di coordinamento della presa in carico della persona e raccordo tra servizi e professionisti coinvolti nei diversi setting assistenziali, sanitari e sociosanitari, in dialogo con la rete dell’emergenza urgenza; il 116117, per ogni esigenza sanitaria e socio-sanitaria a bassa intensità assistenziale. Tuttavia, se il panorama degli strumenti di integrazione tra il sanitario e il sociale rimane lo stesso, il grande rischio è che i risultati continuino ad essere modesti, con la sanità costretta ad intervenire nelle situazioni di presa in carico sociale carente o inesistente, in un quadro di gravissime disuguaglianze nella distribuzione della spesa sociale tra i comuni, ancora una volta dettata dal pil presente nei diversi territori.
Il momento per riflettere su quale SSN e quale welfare vogliamo è questo e le scelte non possono essere procrastinate e non possono essere fatte con sguardo strabico, pensando che le grandi riforme richieste dall’Europa per l’erogazione del PNRR per la missione 6 (sanità territoriale) e per la missione 5 (disabilità, non autosufficienza e marginalità sociale) siano autonome tra loro. Il dibattito tra Ministeri, Regioni e mondo degli enti locali deve essere affrontato congiuntamente sui tre temi che condizioneranno il grado di civiltà del nostro paese: la riforma dell’assistenza territoriale, la messa a terra della legge sugli anziani, i leps (livelli essenziali di prestazioni sociali) secondo fabbisogni e costi standard, al fine di individuare una nuova governance, sulla base di nuove modalità di finanziamento. Non ci possiamo più permettere di ipotizzare che l’integrazione tra il mondo sanitario e quello sociale si basi su volontaristici rapporti di vicinato o su leggi regionali, senza alcun raccordo alto e necessitato a livello nazionale e, soprattutto, senza una definizione chiara e precisa di quali leps questo Paese vuole garantire, a prescindere dalla spesa storica. Il dibattito sui leps si è riaperto a seguito del dibattito sul regionalismo differenziato.
La base dei LEPs e dei LEA riguarda il loro legame con i ‘diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale’ ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, con la prioritaria definizione dei fabbisogni e, quindi, dei costi standard.
Esiste una profonda asimmetria tra lea e leps: il finanziamento del FSN è riferito ai LEA, che sono declinati con elenchi prestazionali (DPCM del 2017, in vigore dal 1 gennaio 2024) e vengono utilizzati per monitorare e regolare i sistemi sanitari regionali in base agli indicatori del Nuovo Sistema di Garanzia; al contrario, il grosso degli attuali finanziamenti comunali sul sociale non è influenzato, se non indirettamente, da un avvio di definizione dei LEPs attualmente riferiti ai tre fondi nazionali dedicati (piano sociale, di contrasto alla povertà e della non autosufficienza), a cui si aggiunge una limitata e accessoria risorsa perequativa recata dagli obiettivi di servizio.
La Legge 234/2021, comma 159 recita ‘I livelli essenziali delle prestazioni sociali (LEPS) sono costituiti dagli interventi, dai servizi, dalle attività e dalle prestazioni integrate che la Repubblica assicura, sulla base di quanto previsto dall'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione e in coerenza con i principi e i criteri indicati agli articoli 1 e 2 della legge 8 novembre 2000, n. 328, con carattere di universalità su tutto il territorio nazionale per garantire qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione, prevenzione, eliminazione o riduzione delle condizioni di svantaggio e di vulnerabilità.’
Questa definizione ci porta direttamente alla costruzione di sistemi territoriali integrati. Per stare al livello di questi obiettivi occorre generare una visione diversa e più evoluta dei Livelli Essenziali di Assistenza Sociale sul piano culturale, direzionale, professionale e organizzativo, con una visione più integrata e consapevole con i sistemi di altre funzioni fondamentali e con altri Livelli Essenziali, come i LEA sanitari, anch’essi a garanzia di diritti soggettivi.
Federsanità sta lavorando a questo progetto, anche attraverso il confronto con il Comitato scientifico dell’Osservatorio sull’integrazione socio-sanitaria, e sta organizzando un tavolo di discussione in seno al Forum risk di Arezzo, propedeutico a proprie proposte programmatiche.
Tiziana Frittelli
Presidente di Federsanità-Confederazione delle Federsanità Anci regionali