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QS Edizioni - sabato 21 dicembre 2024

Studi e Analisi

Il populismo in sanità e la ricetta che non va seguita

di Claudio Maria Maffei
immagine 28 agosto - Una ricetta però che si sta sperimentando soprattutto nelle Marche, la Regione che il Presidente Meloni considera il suo laboratorio da quando nel settembre del 2020 il centrodestra ha preso il governo di questa Regione storica “roccaforte” della sinistra. Una ricetta pericolosa perché mascherata da un costante richiamo ad una sanità più pubblica

C’è una grande e giustificata attenzione ai nefasti effetti sul nostro Servizio Sanitario Nazionale del neoliberismo in sanità, quella “ricetta” che Noam Chomsky ha così descritto (citazione ripresa da Gavino Maciocco): “Questa è la tecnica standard per la privatizzazione: tagli i fondi, assicurati che le cose non funzionino, fai arrabbiare la gente, e lo consegnerai al capitale privato”. A questa ricetta si sta affiancando anche un’altra ricetta, quella populista. Una ricetta che si sta sperimentando soprattutto nelle Marche, la Regione che il Presidente Meloni considera il suo laboratorio da quando nel settembre del 2020 il centrodestra ha preso il governo di questa Regione storica “roccaforte” della sinistra. Una ricetta pericolosa perché mascherata da un costante richiamo ad una sanità più pubblica.

Le caratteristiche del populismo in sanità

Per descrivere gli ingredienti di questa ricetta parto dai 5 elementi che secondo Piergiorgio Corbetta caratterizzano i movimenti populisti:

  1. l’appello diretto al «popolo» (puro) contrapposto all’«istituzione» (corrotta) e la conseguente visione di un governo «del popolo, da parte del popolo e per il popolo» senza mediazioni istituzionali;
  2. l’individuazione di un «nemico del popolo»;
  3. l’esistenza di un leader carismatico fondatore del movimento e guida indiscussa;
  4. uno stile di comunicazione aggressivo, caricaturale ed eccessivo, espressione della contrapposizione manichea fra «noi e loro»;
  5. la semplificazione ingenua della complessità della politica.

Ovviamente questa rappresentazione del populismo (nata per analizzare il fenomeno del Movimento 5 Stelle) va adattato alla specificità della sanità, ma certamente funziona (specie nei punti 4 e 5) per interpretare quello che è successo nelle elezioni regionali delle Marche e che adesso si sta riflettendo sul governo della sanità da parte della Giunta di centrodestra che le ha vinte.

Le elezioni regionali del 2020 nelle Marche: come il centrodestra si è giocato le sue carte per la sanità

Vediamo di partire dallo scenario che ha portato il centrosinistra a perdere le elezioni del 2020. In termini “oggettivi” la sanità marchigiana governata ininterrottamente dal 1995 dal centrosinistra si presentava con le carte “quasi” in regola. Infatti, a solo titolo di esempio:

  • la Regione Marche con i dati del 2018 è stata considerata la terza miglior Regione italiana benchmark come rapporto tra risultati economici e sanitari;
  • le Marche in base agli indicatori ministeriali della Griglia LEA è risultata nel 2019 la Regione con la quinta migliore performance in sanità e quindi con un buon livello quantitativo e qualitativo dei servizi sanitari erogati;
  • in base ai dati del Rapporto BES (Benessere equo e sostenibile) dell’ISTAT le Marche continuano a figurare ai primi posti per gli indicatori di salute come la vita media (tra le più alte sia tra i maschi che tra le femmine), la mortalità infantile (tra le più basse) e la mortalità evitabile (pure tra le più basse);
  • il privato pesa molto meno che nella media nazionale (13% contro il 17,4% secondo il Rapporto OASI 2022 della Università Bocconi);
  • ai tempi della spending review la Giunta aveva avuto il coraggio di fare scelte difficili e necessarie come la riconversione dei piccoli ospedali e la chiusura dei punti nascita sotto i 500 parti;
  • con il Piano Socio-Sanitario 2020-2022 era stato avviato il percorso per un adeguamento al DM 70 grazie alla integrazione strutturale di alcuni ospedali vicini ognuno con un Dipartimento di Emergenza e Accettazione (DEA) di I livello.

Certamente le questioni irrisolte erano tante, come ad esempio la scarsa attenzione per i servizi territoriali, in particolare quelli delle aree interne, ma il quadro complessivo era fatto più di luci che di ombre. Per capire come il centrodestra abbia fatto a vincere in una situazione come questa nonostante la sua evidente inadeguatezza rispetto al difficile governo della sanità dobbiamo ricordarci gli elementi che caratterizzano l’approccio populista: la sua capacità di andare incontro in termini di comunicazione alle aspettative dei cittadini, la sua abilità nel trovare nemici facili e “cattivi”, la sua tendenza alla descrizione caricaturale delle posizioni avverse e la sua negazione della complessità.

Il punto di partenza della campagna elettorale sulla sanità del centrodestra populista nelle Marche è stata la consapevolezza che per la maggioranza dei cittadini (certamente questo vale per le Marche) i servizi fondamentali sono quelli ospedalieri. Il centrodestra si è dunque posto in esplicito contrasto con qualunque forma di razionalizzazione della rete ospedaliera e ha promesso una rete ospedaliera più diffusa. Questa la espressione contenuta nel suo programma a questo riguardo: “Maggiore equilibrio della rete ospedaliera, evitando concentrazioni e con una diffusione nel territorio, per soddisfare il bisogno di salute di tutti i cittadini in tutte le comunità in modo paritario, anche in termini di spesa pro-capite”.

Su questa base il centrodestra ha scelto come “nemici” la scelta del centrosinistra di accorpare strutturalmente alcuni ospedali e i presunti danni fatti dalla Azienda Sanitaria Unica Regionale (ASUR) voluta nel 2003 dal centrosinistra. Ciò che accomunava queste due scelte del centrosinistra era il fatto che “allontanavano la sanità dal cittadino”. La descrizione di questi due nemici è stata fatta in sede di programma elettorale senza alcuna analisi tecnica ed in termini semplicistici e macchiettistici. Gli ospedali integrati sono diventati gli “ospedali unici provinciali” (che nessuno aveva mai nominato) e l’ASUR è stata fatta passare per una formula istituzionale che teneva lontane le comunità dai centri decisionali. Le difficoltà in cui versava il Paese, e quindi la Regione, per i problemi di sempre della sanità, in primis le liste di attesa, la crescita di popolarità del non ancora Presidente Giorgia Meloni e la scarsa popolarità del Presidente della Giunta di centrosinistra Luca Ceriscioli (sulle cui motivazioni qui non si entra in merito) hanno contribuito a far crescere i consensi attorno a questo programma per il resto pieno di promesse, ma generico e confuso. Non casualmente hanno fatto alle Regionali il pieno di voti due Sindaci di piccoli comuni con piccoli ospedali, Sindaci che poi una volta entrati in Giunta come Assessori alla Salute uno (Lega) e ai Lavori Pubblici l’altro (Fratelli d’Italia) hanno provveduto a “beneficiare” le loro comunità potenziando oltre ogni limite di ragionevolezza i rispettivi piccoli ospedali.

La presunta solitudine del cittadino abbandonato da 25 anni di governo del centrosinistra lo si ritrova in testa al capitolo sulla sanità del Programma di Governo 2020-2025 della Giunta che aveva questo titolo: “Sanità e sociale di qualità per tutti: nessuno resti solo”.

Il populismo al governo della sanità delle Marche

Purtroppo la ricetta populista è ottima per vincere le elezioni, ma molto meno buona quando si tratta di governare. Per cui il superamento dell’ASUR è diventato una riforma papocchio che ha portato ad aumentare di 4 le Aziende Sanitarie della Regione con un corrispondente incremento dei costi e una conseguente paralisi amministrativa e il superamento dei cosiddetti ospedali unici è diventato prima un piano di edilizia ospedaliera totalmente contro la norma (il DM 70) e poi un piano Socio Sanitario altrettanto al di fuori della norma (Piano Socio Sanitario scritto senza trattini perché cosa sia il socio-sanitario non lo hanno nemmeno letto) in cui tutto si promette sul territorio e in cui in una rete ospedaliera già largamente difforme rispetto alle indicazioni del DM 70 si aggiunge un ospedale di area disagiata a 30 minuti (anzichè 60) dal Pronto Soccorso più vicino e si inventano i Pronto Soccorso negli Ospedali di Comunità. Queste scelte si stanno traducendo in un ennesimo danno per la sanità delle Marche, già in crisi per i fattori di carattere nazionale come il sottofinanziamento e i tetti di spesa del personale. La ipertrofia della rete ospedaliera delle Marche, non tanto in termini di posti letto, quanto in numero di strutture, spesso molto vicine tra loro e piene di “doppioni” in termini di reparti e servizi compreso il DEA, si traduce infatti in una ridotta attività programmata, in un sottoutilizzo delle potenzialità tecnologiche e strutturali, in una diseconomia di scala in molte attività come quelle di carattere intensivo, in una scarsa attrattività per i professionisti e in una riduzione delle risorse destinabili ai servizi territoriali.

L’esperienza ormai triennale delle Marche consente di aggiungere anche altri elementi potenzialmente caratterizzanti l’approccio populistico in sanità quali la tendenza a:

  • promettere per riuscire governare e a governare continuando a fare promesse (ad esempio il Piano Sanitario che non prevede altro che sviluppo e investimenti);
  • considerare le normative un suggerimento e non un vincolo (ad esempio il Dm 70 e il DM 77 trattati come non esistessero);
  • ripetere come un mantra le cose dette in campagna elettorale (ad esempio “no alla politica degli ospedali unici provinciali”);
  • confidare nella filiera istituzionale (ad esempio affermando che tanto a Roma “sono dei nostri”);
  • disinteressarsi completamente della dimensione tecnica delle questioni privilegiando esclusivamente quella propagandistica (ne costituisce un fulgido esempio la scelta dello screening di massa coi tamponi rapidi fatta dalla Giunta nemmeno due mesi dopo il suo insediamento);
  • alterare tranquillamente la ricostruzione degli eventi (ad esempio intestarsi la realizzazione dei posti letto di terapia intensiva coi fondi della L. 34/2020 che invece sono stati lasciati dalla precedente Giunta) e la interpretazione dei dati (ad esempio intestarsi la terza posizione tra le Regioni benchmark quando la stessa è stata ottenuta in base ai dati del 2018);
  • dare in teoria poco spazio al privato (anche quando serve) e molto spazio in pratica.

Il punto del rapporto pubblico/privato merita qualche considerazione aggiuntiva. In teoria la nuova Giunta ha “trascurato” il privato accreditato non attribuendogli incrementi di budget. In pratica si è limitata a non fare nuovi accordi una volta scaduti nel 2021 quelli fatti dalla precedente Giunta creando un notevole disagio sia alle strutture accreditate, ma anche ai cittadini cui il sistema ospedaliero pubblico dà sempre meno risposte. Adesso c’è uno stallo perché non si sa nemmeno chi farà i nuovi accordi triennali e prevale la ipotesi che li faranno le 5 nuove Aziende Sanitarie Territoriali assolutamente non attrezzate per farli (il Programma della Giunta prevedeva che li facesse l’ASUR trasformata in una sorta di Azienda zero come quella della Regione Veneto, scelta poi non confermata).

Perché e come contrastare la gestione populista della sanità

Conviene ricordare a questo punto che il problema non è il governo della sanità da parte del centrodestra in quanto tale, ma la natura populista della politica sanitaria di “certo” centrodestra e gli effetti di questa politica sulla salute dei cittadini. Alcuni aspetti dell’approccio populistico che ho descritto qui si ritrovano in tutti gli schieramenti politici quando si parla di sanità. In particolare, la tendenza a privilegiare l’ospedale rispetto ai servizi territoriali è comune. Nell’approccio populista che le Marche stanno sperimentando questa tendenza è “sfacciata” e non solo abbassa la qualità dei servizi, ma rischia di innescare una sorta di rincorsa in cui alla ricetta populista del centrodestra si rischia di rispondere con un approccio ancor più populista. Questo effetto è tanto più deleterio su un sistema sanitario regionale quanto questo è strutturalmente più debole sia in termini di servizi che di apparato tecnico-manageriale.

Tutte queste considerazioni sulla sanità populista suggeriscono la necessità di dedicargli lo stesso interesse che si dedica alla sanità neoliberista e rimandano ad approfondimenti e strategie di contrasto da trovare con urgenza per evitare che anche altrove succeda quello che sta succedendo nella sanità delle Marche: mentre cerchi di difendere la sanità pubblica dalla aggressività del privato la sua gestione di stampo populista letteralmente gliela consegna in mano. Infatti, il populismo in salsa marchigiana sembra quasi voler negare spazio al privato accreditato, ma di fatto aumenta nei cittadini la necessità di ricorrere a pagamento al privato “privato” compreso quello delle strutture pubbliche. Tra le misure di contrasto al populismo mi limito qui a sottolineare:

  • la necessità di (ri)lanciare il ruolo del Ministero e dei suoi organi tecnici di supporto nel monitoraggio delle sanità regionali, monitoraggio asfissiante sul versante dei vincoli economici e accomodante sugli aspetti programmatori e gestionali;
  • l’importanza della diffusione di una public health literacy che familiarizzi i cittadini ai temi delle politiche sanitarie per renderli più consapevoli sulle scelte che meglio rispondono ai loro bisogni compreso quella su chi votare;
  • un recupero generalizzato di una cultura di sanità pubblica a partire dalle Università che sembrano quasi totalmente assenti nel dibattito sulla sanità pur avendo il compito di formare gli operatori e le classi dirigenti;
  • l’importanza di far andare a scuola “di sanità” i politici prima che diventino Sindaci (non per niente qui su QS avevo consigliato alla Schlein di riaprire le Frattocchie).

Detto tutto questo, va ribadita l’esigenza prioritaria di una sanità più finanziata, è ovvio.

Claudio Maria Maffei

28 agosto 2023
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