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QS Edizioni - sabato 17 agosto 2024

Studi e Analisi

Simulare vaccinazioni è un reato penale ma anche un danno patrimoniale e da disservizio da risarcire

di Fernanda Fraioli
immagine 17 maggio - Simulare l’effettuazione di vaccini comporta una responsabilità di tipo penale con correlativa pena detentiva. Ma lo stesso comportamento determina anche un danno erariale, nella duplice forma di patrimoniale e da disservizio

L’aver simulato l’effettuazione di vaccini, che comporti una responsabilità di tipo penale con correlativa pena detentiva, è facilmente intuibile.

D’altronde, l’art. 328 c.p. è chiaro in tale senso quando nel prevedere e disciplinare il reato recita: “Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni”.

Ma che lo stesso comportamento determini un danno erariale, nella duplice forma di patrimoniale e da disservizio, forse sfugge ai più.

Eppure, a cadere sotto la lente anche del giudice contabile, proprio una tale condotta – peraltro, reiteratamente posta in essere dalla medesima assistente sanitaria che l’ha duplicata in ben due strutture – causativa di un danno erariale, che sulla base dei riscontri forniti dall’amministrazione danneggiata è stato quantificato complessivamente in € 79.395,42 (oltre rivalutazione ed interessi) e valutato come formato da una posta di tipo patrimoniale nella misura di € 43.226,22 commisurato al costo che l’Azienda sanitaria ha dovuto sostenere per la ripetizione dei 1.158 vaccini della campagna di richiamo profilattico; e l’altra da disservizio di € 36.169,20 rappresentato dal costo complessivamente sostenuto dalla medesima Azienda per ripristinare il corretto funzionamento dell’apparato pubblico sociosanitario compromesso dalla condotta illecita dell’infermiera.

Con particolare riferimento a questa seconda voce di danno, la somma nella quale è consistita la condanna si è articolato nelle seguenti voci:

  • costo per lesione del rapporto sinallagmatico di €. 3.795,12 quantificato in via prudenziale in misura corrispondente a due mensilità della retribuzione annuale lorda percepita dalla medesima nel corso dell’anno 2016. Nel determinare il valore anzidetto, sono state individuate 46 giornate di sedute vaccinali durante le quali l’infermiera risulta non aver effettuato le prestazioni professionali cui era tenuta.
  • costo del personale impiegato per l’organizzazione della campagna vaccinale di richiamo €. 25.911,33;
  • costo per invio lettere di invito ai prelievi e per la comunicazione degli esiti connessi con lo svolgimento della campagna vaccinale di richiamo €. 1.141,25;
  • costo sostenuto per l’esecuzione delle indagini sierologiche €. 2.898,00.
  • costo per prelievi eseguiti dagli operatori della Cooperativa sociale per complessivi €. 1.203,50;
  • costo per uso sala convegni per incontro informativo con la popolazione di €. 1.220,00.

In precedente occasione, sempre per la mancata vaccinazione di minori in altra struttura sanitaria di Regione limitrofa, il medesimo soggetto ha riportato la condanna al versamento di una sanzione pari ad € 550.00,00, oltre a quella penale ad anni 8 e mesi 6 di reclusione.

Gli approfondimenti istruttori effettuati dagli inquirenti hanno accertato che un’elevatissima percentuale di bambini “vaccinati” dall’infermiera in entrambe le strutture, in realtà non avevano sviluppato l’anticorpo del morbillo, attesa la dimostrazione che, nella maggior parte dei casi affidatile, abbia volontariamente omesso di somministrare i vaccini destinati ai piccoli pazienti venuti in contatto con lei, simulando inoculazioni di siero in realtà mai effettuate.

Si è arrivati a tale accertamento mediante l’incrocio dei dati ricavati dal sistema di rilevazione delle presenze del personale in uso all’Azienda ULSS con quelli del registro informatico regionale di gestione delle vaccinazioni il quale, confrontato con le schede vaccinali che riportano tanto la sottoscrizione dell’operatore sanitario che effettua l’anamnesi, quanto il nome di quello che esegue la vaccinazione giorno per giorno, ha condotto all’identificazione certa del soggetto incaricato di ciascuna vaccinazione nel periodo considerato.

La relazione peritale disposta dal giudice penale, legittimamente mutuata dal giudice contabile, ha concluso rilevando come chiaramente si evincesse che i soggetti sottoposti a vaccinazione dall’infermiera in oggetto presentavano una percentuale di immunizzazione nettamente inferiore a quella presentata dai soggetti vaccinati da altri operatori e a quella ampiamente indicata in letteratura.

Hanno, altresì, rilevato che non essendoci stati fattori individuali che da soli potessero giustificare la considerevole discrepanza percentuale rilevata, tale dato era fortemente indicativo di una mancata somministrazione del vaccino da parte dell’infermiera ai soggetti elencati negli allegati riportanti i campioni ematici relativi alle operazioni vaccinali eseguite dalla medesima.

La valutazione complessiva delle prove dedotte e allegate in giudizio ha portato il giudice contabile alla conclusione che l’infermiera, nella gran parte dei casi, ha omesso di somministrare i vaccini, in violazione dei suoi doveri di servizio essendo inquadrata nella categoria D come collaboratore professionale sanitario, suffragata dell’osservazione espressa dai tecnici circa “il dato di sieroconversione rinvenibile nella letteratura scientifica che è pari a circa il 95% (sostanzialmente confermato dalle risultanze degli esami effettuati sui campioni ematici riferiti a operazioni vaccinali effettuate da operatori diversi dall’infermiera in oggetto), mentre i “fattori individuali”, i “fattori genetici intrinseci dei soggetti” in cui non si rileva risposta anticorpale possono spiegare il tasso di mancata sieroconversione, pari a circa il 5%, ma non la quasi totale mancata sieroconversione riscontrata nei campioni ematici riferiti a operazioni vaccinali effettuate dalla stessa”.

Fin qui la condotta contestata, non bastevole però di per sé, in quanto perché si possa imputare una responsabilità amministrativa ad un soggetto, necessitano ancora tanto il nesso di causalità che l’elemento psicologico.

Due termini tecnici che stanno a significare, l’uno, la sussistenza di una conseguenzialità logica e fattuale tra condotte illecite e danno, l’altro la volontà di venir meno ai propri obblighi di servizio con dolo o colpa grave.

Nello specifico, si tratta di condotte omissive dell’obbligo di servizio proprio del soggetto, di eseguire una prestazione sanitaria – propriamente la mancata somministrazione di vaccini – che ha comportato un danno patrimoniale diretto, rappresentato dal costo che l’Azienda sanitaria ha dovuto sostenere per la ripetizione dei vaccini della campagna di richiamo profilattico, che avrebbe evitato se la convenuta avesse fatto il suo dovere in modo esatto e puntuale; ed un danno patrimoniale da disservizio, consistente nel costo sostenuto dall’Azienda sanitaria per ripristinare il corretto funzionamento dell’apparato pubblico sociosanitario compromesso dalla condotta illecita dell’infermiera.

Il tutto caratterizzato dall’elemento psicologico che ha contrassegnato questa condotta antigiuridica, riconosciuto dai giudici contabile come dolo.

Più precisamente dolo intenzionale, perché il soggetto ha coscientemente agito secondo l’intenzione di omettere le somministrazioni vaccinali e di far apparire come eseguite le inoculazioni in realtà non avvenute, a corredo delle quali, nell’esercizio dell’attività di vaccinazione cui era addetta, compilava e sottoscriveva i libretti delle vaccinazioni, che venivano consegnati agli utenti subito dopo la finta iniezione, attestando falsamente negli stessi di averle effettuate ma, in realtà mai eseguite, dimostrando la fermezza del proposito perpetuata nel tempo.

La qualificazione e la preparazione professionale specifica che sono state provate durante gli approfondimenti istruttori – essendosi accertato che l’infermiera in oggetto possedeva titoli di studio appropriati e che aveva superato un idoneo concorso pubblico con ottimi risultati – sono state considerate quali prove che le condotte omissive contestate venivano poste in essere con coscienza e volontà anche in relazione agli effetti consequenziali della mancata vaccinazione.

L’elemento del dolo – caratterizzato, quindi, da consapevolezza e volontà di omettere le corrette pratiche vaccinali occultandone i risultati agli utenti e all’amministrazione di appartenenza, con una serie di condotte illecite sistematicamente reiterate nel tempo – è stato il fil rouge che ha legato questa fattispecie con quella identica esaminata dai giudici contabili di altra Regione nella quale il medesimo soggetto ha riportato, per gli stessi fatti posti in essere con le stesse modalità, una condanna al pagamento di una sanzione pari ad € 550.00,00, oltre alla condanna penale.

Fernanda Fraioli
Consigliere della Corte dei conti

17 maggio 2023
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