Studi e Analisi
I Forum di QS. Sanità pubblica addio? Mancin: “Un’esperienza positiva per una nuova integrazione dei medici di famiglia”
di Ornella MancinNel libro del prof. Cavicchi “Sanità pubblica addio” c’è un capitolo che ha suscitato un mio particolare interesse, quello dedicato alla medicina generale, ultimo baluardo di sanità pubblica di prossimità che rischia come tutto il resto di scomparire .
Che ci sia necessità di riformare la medicina di famiglia è indubbio, anche se al momento non sembra esserci una visone chiara di come debba essere la medicina territoriale del futuro.
Negli ultimi anni si è continuato a tagliare posti letto e a chiudere piccoli ospedali. I dati appena pubblicati dall’annuario statistico della sanità 2021 ci dicono che rispetto a 10 anni fa, tra pubblico e privato, sono stati tagliati 5.818 letti tra degenze ordinarie, day hospital e day surgery e che in 10 anni sono stati chiusi 12 piccoli ospedali pari all’11% del totale.
A questo ridimensionamento degli ospedali, che orami sono solo posti per acuti, non ha fatto seguito il rafforzamento del territorio come promesso. Il tutto mentre si assiste a un aumento delle patologie croniche in una popolazione che invecchia sempre di più. Nel territorio i malati cronici faticano a trovare una assistenza adeguata: i tanto declamati ospedali di comunità sono rimasti per lo più sulla carta, mancano lungodegenze e strutture riabilitative in una società dove è sempre più carente la rete famigliare.
L’assistenza al cronico resta per lo più in carico al solo medico di famiglia che è sempre più in sofferenza. I medici di famiglia sono sempre meno, con un calo di quasi 6.000 unità in 10 anni (sono passati dai 46.061 che erano nel 2011 ai 40.250 nel 2021 (-5.811)). Il calo sta diventando sempre più preoccupante in questi ultimi anni, specie al nord dove ci sono intere comunità scoperte, non essendo sufficiente alla copertura neanche l’aumento del massimale a 1800-2000 assistiti a medico.
Un numero sempre più esiguo di medici di famiglia , sfiancati da quasi 3 anni di pandemia e sommersi da una burocrazia che non vede fine, si trovano sulle spalle il peso di una assistenza territoriale che non sono più in grado di garantire in maniera almeno accettabile. Cresce la frustrazione, l’impotenza e il desiderio di abbandono per delle soluzioni che tardano a venire , per una visone di sanità territoriale che appare fumosa, per una incapacità dei sindacati di tutelare la professione al meglio.
Una riforma è urgente se non si vuole perdere “uno dei pilastri “del nostro sistema di cura.
L’unica riforma che attualmente ci viene prospettata è quella legata al PNRR che ha destinato finanziamenti importanti alla costruzione delle case di comunità presentate come la risposta alla crisi della medicina del territorio, anche se in realtà ancora non si sa chi andrà a riempire queste case di comunità, con quali contratti e con quali soldi.
Le case previste poi sono in numero assai limitato rispetto al territorio che dovrebbero servire anche se alcune regioni ne prevedono di aggiuntive. Le Regioni puntavano inizialmente a utilizzare i mmg nelle case della comunità grazie alla trasformazione del rapporto convenzionale in rapporto di dipendenza, ma dal momento che i sindacati si sono schierati in maggioranza contro la dipendenza, il governo ha fatto dietro front e si è così passati proporre un impego orario di 18 ore che ogni medico dovrebbe svolgere nelle case di comunità oltre a quelle che uno dovrebbe continuare a fare nel proprio studio.
E’ evidente che questa “furbata” come la definisce il prof Cavicchi del “medico dimezzato” non può portare molto lontano.
Io sono però convinta che le case della comunità possono diventare strumento di miglioramento della sanità territoriale e che possono essere “abitate” dai medici di famiglia anche mantenendo il rapporto convenzionale.
Anzi possono essere finalmente l’occasione per un lavoro di equipe, per l’acquisizione di personale di segreteria che tanta importanza ha oggi nella gestione del lavoro di mmg, di infermieri che supportino e aiutino i medici nell’assistenza al malato cronico e di collaborazione ospedale territorio con l’inserimento degli specialisti; nonché possono offrire la possibilità di interazione con la rete del sociale e del volontariato.
Mi permetto pertanto di condividere un esempio concreto di come sia possibile declinare l’attuale stato di medici di famiglia convenzionati con la assistenza al territorio attraverso le case di comunità.
Si tratta dell’esperienza decennale di un gruppo di 15 medici di famiglia di due comuni della città metropolitana di Venezia che hanno costituito una cooperativa di medici e creato una medicina di gruppo integrata che nella sede dell’ex ospedale garantisce la presenza di un medico 12 ore al giorno, oltre che la notte per la contemporanea presenza nella stessa sede dei medici di continuità assistenziale.
Il progetto fornisce un modello di “casa della comunità” oltre per la presenza di personale infermieristico e amministrativo anche per l’integrazione con gli specialisti. La struttura come è organizzata è in grado di fornire servizi difficilmente eseguibili dal singolo medico e ha ottenuto negli anni il riconoscimento della popolazione e degli enti locali.
In allegato la descrizione di come è organizzata e di come funziona.
Questo modello organizzativo ha richiesto impegno , fatica e volontà di collaborazione sia da parte dei mmg sia parte della azienda sanitaria. Non escludo che si possa realizzare anche in un regime di dipendenza, anzi forse potrebbe persino essere più semplice, ma il regime di convenzione permette a mio avviso un impegno più stimolante e creativo da parte delle figure professionali coinvolte.
Ornella Mancin
Medico di famiglia
Leggi gli altri interventi al Forum: Cavicchi, L.Fassari, Palumbo, Turi, Quartini, Pizza, Morsiani, Trimarchi, Garattini e Nobili, Anelli, Giustini, Cavalli, Lomuti, Boccaforno, Tosini, Angelozzi, Agnetti, Quici, Agneni, Doni, Sampietro, Garattini e Nobili (2).