Studi e Analisi
I Forum di QS. Sanità pubblica addio? Quartini: “Il punto interrogativo ci salverà”
di Andrea Quartini“Sanità pubblica addio?” io voglio ringraziare Ivan Cavicchi proprio a partire dal punto interrogativo. Perché ricordo un passaggio di Così Parlò Bellavista di De Crescenzo, in cui si scriveva che “il punto interrogativo è il simbolo del bene, così come l’esclamativo è il simbolo del male. Quando sulla strada vi imbattete nei punti interrogativi, nei sacerdoti del dubbio positivo, allora andate sicuro che sono tutte brave persone, quasi sempre tolleranti, disponibili e democratiche. Quando invece incontrate i punti esclamativi, i paladini delle grandi certezze, i puri della fede incrollabile, allora mettetevi paura perché la fede molto spesso si trasforma in violenza”.
Chi ha manipolato la sanità dall’alto, fino ad oggi, ha usato il punto esclamativo. Che oscura, toglie luce. E invece è proprio la prossimità della “catastrofe…l’effetto finale della storia che a suon di errori sbagli equivoci per forza deve innescare una soluzione rovinosa” che tratteggia Cavicchi, che possiamo renderci conto delle operazioni di manipolazione che, con troppa sicurezza e ostentazione, chi ha gestito la sanità ha effettuato. Quella troppa sicurezza che – unita all’incapacità - impedisce di capire quando è il caso di rallentare, di placare i propri interessi.
Cavicchi è riuscito a descrivere in maniera puntuale la parabola storica che ha dovuto subire la sanità pubblica; un sistema che, nonostante tutto, è riuscito e riesce, con una determinazione ammirevole, a resistere a chi cerca di utilizzare tutte le risorse a disposizione per causarne l’autodistruzione. Da anni; con i governi di centrodestra poi con i governi di centrosinistra, infine con quello attuale, con sempre maggiore forza. Governi della sanità che hanno avuto, a livello nazionale e regionale, in comune, lo sforzo volto allo smantellamento progressivo di una risorsa e di un sistema nato come innovativo, per tornare alla sanità privata, quella basata sul censo. Senza però volere, questi amministratori, rinunciare alle tasse di tutti i cittadini, anche dei meno abbienti.
Il diritto alla salute (unico definito “fondamentale” dell’individuo e interesse della collettività) che la Repubblica, ancor prima che garantendo “cure gratuite per gli indigenti” (ed era l’alba del 1948!) pensa a “tutelare” (art. 32 comma 1) era la base di un pensiero estremamente avanzato, che avrebbe poi portato alla nascita, anni dopo, del sistema sanitario nazionale.
Tutelare la salute (ancora prima di garantire le cure) intesa come attuazione di una delle dimensioni fondamentali che danno senso alla vita delle persone, e della collettività che le circonda.
E, partendo dai pochi mezzi economici allora disponibili, dalle tecnologie che il nostro sistema aveva, a partire dagli studi universitari, dalla ricerca, il sistema sanitario si era progressivamente sviluppato, garantendo interventi veloci per chi ne avesse bisogno (i pronto soccorso, che oggi diamo per scontati sulle 24 ore), perché prima si interviene, minori sono le conseguenze. Furono sviluppati i soccorsi automobilistici: le ambulanze; si pensò alle cure specialistiche per affrontare in modo mirato ogni patologia, si pensò a sistemi ambulatoriali e territoriali (dai medici di famiglia, alle guardie mediche per affrontare le emergenze minori, ai vari studi specialistici negli ospedali, con tanto di strutture per analisi e esami). Tutto ciò che si poteva fare per seguire al meglio ognuno, per non perdere di vista le persone, i loro bisogni, ed i tempi.
Un sistema vicino al cittadino, diffuso, efficiente. Vera è la “legge di Murphy” applicata qua da Cavicchi, e bene che appaia chiaro a tutti: ad un certo punto qualcuno ha messo occhi e mani sulla sanità. Forse solo in un’ottica errata di risparmio, economica, forse anche con volontà predatorie, ha cercato di strangolare l’afflusso di risorse, senza pensare che quello che importava era l’output, il risultato. Si parlava e si parla, dagli anni 90, di riformare; ma il sistema è stato deformato, non riformato, rendendo il diritto e la tutela davvero “petizioni di principio”: paradossalmente “la salute che la cura sembrano dipendere dal grado di cambiamento che li rende entrambi possibili”.
Riformare, come ottimizzare o razionalizza sono divenuti nel tempo “truffe semantiche” volte a dichiarare superfluo il necessario, togliere quello che serviva, secondo principi superati anche nell’economia fordista, sperando così di limitare la domanda. Tagliare gli ospedali, iniziando dai presidi territoriali, tagliare le specialità, i reparti, sostituendoli con “funzioni”, attraverso sistemi obsoleti ad “intensità di cura”. Sistemi che non funzionano, abbandonati anche laddove furono introdotti; perché la domanda si accumula, la gente non si ammala per divertimento. Una strategia costosa: le patologie non vengono più monitorate, peggiorano, aumentano, e paradossalmente portano ad un fallimento più veloce della “ditta” sanitaria.
Si pensi al taglio dei posti letto, simbolo dell’intuizione autolesionista degli amministratori della sanità: e così “si rinuncia ad attuare la 833 e si mette in pista un contro-progetto, la famosa “riforma della riforma”, ispirato dalle ideologie neoliberiste e aziendaliste del mercato”. Soffocata la sanità pubblica (che però inspiegabilmente continua a voler esistere, per la testardaggine e la dedizione dei sanitari, fattori che gli amministratori e certi dirigenti anche medici in odore di politica non avevano considerato), ecco che si stralcia il sistema sanitario in due parti. Ai privati si donano le “good company”, quelle che rendono: le chirurgie d’elezione, i posti letto, dove piazzare i malati che non trovano accoglienza nelle strutture pubbliche. Strutture pubbliche alle quali, senza risorse, si affibbiano, come si è ben visto durante la pandemia, i casi da pronto soccorso, le rianimazioni, i malati contagiosi, di covid, che costano e non rendono, evitati accuratamente dalle strutture private.
Tutto per dimostrare che la “privatizzazione del sistema pubblico”, quella che Cavicchi chiama, giustamente, la “grande marchetta”, funziona. Una strategia perversa; basta infliggere piccole ma subdole e continue coltellate al sistema pubblico, per mostrare come sia meglio superarlo; ecco che per risolvere il problema delle liste di attesa, non soltanto si ricorre a trucchetti quali la chiusura delle agende di prenotazione, in violazione della legge, ma si ricorre al privato. Ambulatori puliti e nuovi contro le strutture cadenti del pubblico.
Chissà: anche se non stiamo cercando colpevoli ma soluzioni, viene spontaneo pensare che forse il sogno proibito di certi amministratori è quello di una sanità solo privata, in parte pagata dalle assicurazioni integrative di chi può permettersene una, in parte rimborsata a tariffe generose dalla fiscalità generale dei cittadini che pagheranno per non avere.
E allora si spiegherebbero tanti piccoli passaggi, operati in silenzio. Si capirebbe la promessa di una sanità territoriale in cambio del restringimento degli ospedali; ebbene, gli ospedali sono stati ristretti ma la sanità territoriale, non è mai decollata.
Così si spiegherebbe il ritardo di una vera e completa informatizzazione, sia del fascicolo sanitario con tutti i dati referti immagini e video, che del percorso diagnostico terapeutico e sociale; perché poter seguire i malati passo passo, negli esami e visite compiute, e nei tempi di queste, avrebbe non solo migliorato la vita dei cittadini e quella dei sanitari (che certamente non hanno nulla da nascondere, dovendo operare a risorse sempre più scarse), ma anche evidenziato dove si trovavano i problemi, e come risolverli. Rivelando che forse la pubblicizzazione del sistema era ed è una della soluzioni da attivare.
Così si comprende la chiusura di tanti reparti, di molte guardie mediche, l’assenza di indicatori di risultato concreti. Perché gli indicatori avrebbero mostrato come il “nuovo mondo” della sanità costa più di prima e rende meno in termini di assistenza.
La sanità pubblica sta agonizzando, va verso la catastrofe, ma nonostante le previsioni di chi le ha tolto l’ossigeno, sopravvive con un punto interrogativo che Cavicchi ci lancia, e che adesso è ben visibile a tutti. Ed ha ragione Cavicchi, possiamo farci ad alta voce la domanda: “che si fa?” Perché c’è molto da fare, alla luce del sole.
Andrea Quartini
Membro Commissione Affari Sociali della Camera (M5S)
Leggi gli altri interventi al Forum: Cavicchi, L.Fassari, Palumbo, Turi.