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QS Edizioni - lunedì 25 novembre 2024

Studi e Analisi

La nostra sanità va riformata, nel profondo. Le proposte dei clinici ospedalieri e universitari

di Francesco Cognetti
immagine 9 marzo - La pandemia Covid è piombata su un sistema sanitario già indebolito sia sul fronte ospedaliero che su quello territoriale. Il personale dipendente del Servizio Sanitario Nazionale è diminuito di 42.380 unità (da 646.236 a 603.856) e il definanziamento della sanità ha raggiunto i 37 miliardi ed il settore ospedaliero è stato quello più colpito dai tagli. Senza una riforma complessiva del sistema il rischio è quello di perdere definitivamente il nostro Servizio sanitario nazionale. Ecco le nostre proposte

Già prima della pandemia gli ospedali erano al limite dei loro mezzi e delle loro forze dopo essere stati fiaccati da anni di politiche miopi ed irresponsabili ma dopo la pandemia essi sono implosi sotto il peso di sempre più pesanti contraddizioni.

  • Non basta aver registrato, insieme al Regno Unito ed alcuni Paesi dell’Europa dell’Est, durante il periodo pandemico la più elevata mortalità da Covid tra i contagiati che dai dati prodotti recentemente dall’OMS permane tuttora quando i contagi sono molto diminuiti, ed anche la più elevata mortalità in eccesso per altre patologie fra tutti i Paesi dell’Europa Occidentale? Ed esistono forti preoccupazioni per l’aumento di mortalità che si realizzerà fra mesi o anni per le patologie oncologiche conseguenti ai ritardi che sono stati registrati nei trattamenti oncologici ed alle cancellazioni di milioni di esami di screening che ancora sono molto forti.
  • Non basta avere il pronto soccorso e la medicina d’urgenza perennemente in tilt per rendersi conto che ormai l’ospedale è diventato suo malgrado una emergenza nella emergenza?

Vale la pena a questo punto ricordare ancora che il progressivo depotenziamento dell’assistenza ospedaliera del nostro Paese, su cui l’attuale Governo certamente non ha nessuna responsabilità, è comunque nei numeri:

  • In soli dieci anni (2010-2019), gli istituti di cura sono diminuiti da 1.165 a 1.054
  • Abbiamo perso 25mila posti letto di degenza ordinaria (da 215 mila a 190 mila).

Nel frattempo il personale dipendente del Servizio Sanitario Nazionale è diminuito di 42.380 unità (da 646.236 a 603.856) e il definanziamento della sanità ha raggiunto i 37 miliardi ed il settore ospedaliero è stato quello più colpito dai tagli.

L’attuale crisi dei Pronto Soccorso non è altro che il risultato di anni di tagli e la punta dell’iceberg di un sistema ospedaliero in estremo affanno.

La situazione reale degli ospedali è di forte regressione con una costante perdita di funzionalità e un accentuarsi dei problemi fiduciari con i malati e loro familiari.

Da parte nostra noi insistiamo con forza nell’interesse primario dei malati sulla necessità di:

  • andare oltre il Dm 70 quindi di definire non più un ospedale minimo ma un ospedale adeguato,
  • di superare i vetusti parametri organizzativi del passato peraltro a proposito di dotazione di posti letto ampiamente al di sotto della media dei paesi europei, siamo al 22° posto,
  • di superare la contrapposizione ideologica ospedale contro territorio, noi siamo per una organizzazione interconnessa e dipartimentale

Chiediamo con urgenza di ripensare i parametri di organizzazione dell’ospedale quindi chiediamo:

  • che il numero di posti letto di degenza ordinaria cresca ben oltre i 350 per 100.000 abitanti odierni fino a raggiungere almeno la media europea di 500
  • che il numero di posti letto di terapia intensiva superi decisamente i 14 posti letto, peraltro rimasti sulla carta e mai raggiunti

Infine non senza una certa apprensione sentiamo il dovere di lanciare un allarme sulle condizioni precarie delle nostre dotazioni organiche:

  • gli operatori sanitari ivi inclusi gli infermieri, sono inadeguati in rapporto alla popolazione del nostro Paese (un terzo meno della Francia e la metà della Germania)
  • i medici specialisti ospedalieri sono circa 130mila, 60mila unità in meno della Germania e 43mila in meno della Francia.
  • In Italia, i medici di medicina generale: sono circa 40.700, ma ogni anno 3000 vanno in pensione e ci sono già ampie aree del Paese che ne sono prive.
  • si assiste a un consistente esodo di medici neolaureati e specializzandi, più di 1.000 medici l’anno negli ultimi 14 anni perché all’estero gli stipendi e le condizioni di lavoro sono nettamente migliori e buona parte delle borse per le scuole di specializzazione, pur significamente aumentate nell’ultimo anno, sono state deserte nelle discipline più impegnative come la Medicina d’ Urgenza, la Rianimazione, l’Anestesiologia etc.
  • peraltro la recente auspicabile iniziativa del Ministro Bernini di una revisione del numero chiuso all’accesso alle facoltà di Medicina dovrebbe coinvolgere tutti i soggetti interessati alla questione e trovare una rapida definizione che porti ad una immediata applicazione.

Per quanto riguarda l’assistenza territoriale quindi il Dm 77 noi dopo averne attentamente studiato l’articolazione, ci siamo sentiti in dovere di informare il Ministro che secondo noi la riforma territoriale che viene proposta:

1) è una discutibile controriforma delle cure primarie, che rappresentano la prima occasione di contatto degli individui e delle famiglie italiane con il Sistema Sanitario ed il primo elemento di un processo continuo di assistenza sanitaria; un settore quindi ben definito di assistenza da preservare e potenziare e non da indebolire. Tale DM 77 così come viene proposto, pertanto rischia di minare il pilastro fondamentale dell’assistenza di base, garantita da sempre nelle basi di una convenzione internazionale.

2) prevede interventi del tutto insufficienti a colmare le disfunzioni gravi dell’assistenza territoriale preoccupandosi più delle strutture che dei professionisti e delle tecnologie.

3)non garantisce la prossimità con la comunità dei bisogni

4) non risolve i problemi che ancora oggi contrappongono in modo sbagliato l’ospedale al territorio

5) favorisce in modo preoccupante la privatizzazione delle cure primarie ed anche dell’assistenza ai malati cronici con un modello corrispondente ad una filosofia anzi addirittura di popolazione (50-100.000 cittadini utenti per ogni singola struttura) che appiattisce la diversità e la complessità della moderna domanda di salute.

Forti perplessità inoltre sussistono:

  • su come si intende far funzionare le così dette case di comunità,
  • su come si intende praticamente appaltare al terzo settore l’assistenza domiciliare.
  • sul definire strutture residenziali “ospedali di comunità” senza che queste strutture abbiano almeno i requisiti fondamentali dell’ospedale, requisiti ricordiamo definiti per legge.

Non si ottiene l’auspicata diminuzione degli accessi a nei Pronto Soccorso solo con il potenziamento del territorio, su cui vanno ridistribuite le istanze cliniche meno acute ed a più bassa priorità.

Resta infatti il problema delle acuzie, comprese quelle ricorrenti nel paziente cronico: questo tipo di assistenza richiede competenze e tecnologie che non rientrano nelle Case di Comunità. Con l’esclusione di una minima parte di casi e per evitare incidenti potenzialmente gravissimi, la sede della valutazione di questi pazienti resta l’Ospedale, in particolare il Pronto Soccorso”.

Ciò che è territoriale deve essere considerato pre e post-ospedaliero ma in una visione integrata delle due realtà.

Ci rendiamo conto che rivedere il DM 70 sugli ospedali, come da nostre proposte, implichi una crescita di spesa per il fondo sanitario. È infatti impossibile ripensare i nosocomi, accrescerne la funzionalità e incrementare il loro grado di adeguatezza con il bisogno di cura della popolazione a invarianza di costo.

D’altra parte anche le risorse destinate alla Sanità dal nuovo DEF per il triennio 2023-2025 cresciute del 3% con la Legge di Bilancio per il 2023 saranno in gran misura impiegate a fronteggiare gli effetti della pandemia ed a compensare gli aumenti del caro energia e dell’inflazione attualmente in corso di enorme crescita. Inoltre dal 2024 è previsto che la percentuale di spesa sanitaria sul PIL ritorni al 6,3% e quindi a livelli addirittura inferiori all’epoca prepandemica rispetto ad una media dell’8,8% dei 37 Paesi membri dell’OCSE tra cui Francia e Germania con circa il 10%.

E’ previsto quindi che cresceranno ulteriormente le contribuzioni alla spesa dei privati cittadini che l’anno scorso hanno raggiunto la cifra record di ben 37 miliardi di Euro. Si tratterà quindi di prendere in seria considerazione, ove possibile, un diverso impiego di parte dei fondi del PNRR che, destinati comunque a non raggiungere i risultati attesi, andrebbero sprecati ovvero di attingere ad altri fondi di finanziamento per la Sanità come prospettato da diverse forze politiche.

Del resto se si entra nella logica del potenziamento degli ospedali, è necessario passare dal risparmio all’investimento.

Nel mentre rivendichiamo con urgenza un significativo rifinanziamento della spesa ospedaliera, nello stesso tempo ci rendiamo disponibili a ricercare con il Ministero un accordo di sostenibilità per eliminare diseconomie, superare disorganizzazioni, ridurre gli sprechi tuttora largamente esistenti a livello locale, in una parola per trovare soluzioni che consentano, a seguito di una crescita della spesa, di garantire un valore aggiunto”. Su questi aspetti abbiamo avuto molteplici incontri e contatti con l’attuale Ministro il Prof. Schillaci, ma purtroppo ancora queste interlocuzioni non si sono trasformate in discussione su azioni concrete come da noi più volte auspicato.

Ma la questione più macroscopica e imbarazzante è che non è bastata una pandemia ad insegnarci a voltare pagina.

Prendiamo atto che esiste già un Dm 77 (riforma del territorio) e che questa riforma è, nei limiti del possibile da emendare ampiamente ma non sappiamo ancora nulla su cosa si intende fare con il Dm 70 e cioè sul riordino degli ospedali.

Da una parte viene proposto immancabilmente il refrain dell’integrazione ospedale e territorio e dall’altra parte si affrontano i problemi di questi due settori come se fossero separati e indipendenti perpetuando una dicotomia assolutamente inopportuna superata e sbagliata.

In buona sostanza si accenna al massimo a soluzioni spot ed a provvedimenti parcellari che affrontino separatamente i diversi temi più cocenti, (liste di attesa, medici gettonisti, violenza nei pronto soccorso etc.), quando invece sarebbe necessario un intervento sistematico per una vera e complessiva riforma della nostra Sanità profondamente malata.

Come ha ribadito Papa Francesco in una recente udienza con i dirigenti di ‘Federsanità’, “occorre confermare l’importanza del sistema di sanità pubblica e per ridurre le disuguaglianze in tema di salute occorre lavorare perché tutti abbiano accesso alle cure, il sistema sanitario pubblico sia sostenuto e promosso, e continui ad essere gratuito. Tagliare le risorse per la sanità rappresenta un vero e proprio oltraggio all’umanità”. Queste le dure e solenni affermazioni del Santo Padre che rappresentano un monito per tutti”.

Anche il Capo dello Stato nel suo discorso di fine Anno ha lanciato un forte ammonimento “ad operare per il rafforzamento del Servizio Sanitario Nazionale, presidio insostituibile di unità del Paese”.

E ciò è proprio quanto chiede il “Forum delle Società Scientifiche dei Clinici Ospedalieri e Universitari Italiani” (FoSSC) da mesi, ribadendo al Ministro Schillaci la necessità di un tavolo comune per affrontare tutti i gravi problemi del Sistema Sanitario del nostro Paese.

E su entrambe queste due autorevolissime prese di posizione pesa come un macigno il disegno di Legge sull’Autonomia Differenziata che se attuato infliggerebbe un vero colpo di grazia al Sistema Sanitario Nazionale, aumentando le attuali diseguaglianze regionali anzi legittimando normativamente il divario tra Nord e Sud e violando il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini nel diritto alla tutela della Salute.

Prof. Francesco Cognetti
Oncologo e Coordinatore del Forum delle Società Scientifiche dei Clinici Ospedalieri ed Universitari Italiani

9 marzo 2023
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