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QS Edizioni - venerdì 22 novembre 2024

Studi e Analisi

“Comprensione”, “Condivisone”, “Compartecipazione” dei professionisti della salute per una vera riforma della sanità

di Saverio Proia
immagine 6 marzo - Sogno una grande legge di riforma che inizi con la seguente solennità costituzionale “La Repubblica considera la risorsa umana e professionale centrale e strategica per l’attuazione dei principi dell’articolo 32 della Costituzione e della conseguente legge 833/78 di attuazione; a tal fine ne promuove la valorizzazione e la partecipazione alle scelte di programmazione sanitaria e sociosanitaria a livello nazionale e regionale”. Vediamo come e da dove bisognerebbe partire

Nel pieno della pandemia scrissi un articolo su questo quotidiano in cui affermavo : “È augurabile che finita, speriamo presto e bene, questa guerra contro il coronavirus Governo e Parlamento non si dimentichino dei reduci che ne avranno permesso la vittoria…gli unici guerrieri che la nostra democrazia può riconoscere e lodarne le gesta: gli operatori del Ssn” purtroppo non è andata come speravo, certo qualche progresso è stato fatto ma c’è tanto ancora da realizzare per invertire la tendenza, anzi in parte larga dei professionisti della salute c’è la sensazione che la situazione sia peggiorata da qui la rincorsa al pensionamento, all’andare all’estero a lavorare o a scegliere il lavoro privato abbandonando quello pubblico.

La drammaticità della situazione l’ha ben descritta Cesare Fassari nel suo articolo sul rapporto Ocse in cui tra le emergenze risaltava quella del personale, così come il grande saggio Antonio Panti invoca una grande alleanza tra le rappresentanze ordinistiche, professionali e sindacali per la difesa e il rilancio del SSN.

Una situazione così drammaticamente tragica dovrebbe spingere Governo, Parlamento e Regioni ad affrontarla nel suo complesso programmando e realizzando una profonda, radicale e discontinua riforma del lavoro sanitario e sociosanitario prevedendo, però, la “comprensione”, la “condivisone”, la “compartecipazione” dei professionisti della salute, anche attraverso la mediazione delle loro rappresentanze; per me la formula delle “tre c” può garantire che una riforma del genere sia vissuta come propria da chi poi la debba realizzare e vivere, così, fu, all’inizio, per me la stessa legge 833/78.

Approfittando della disponibilità e della pazienza del direttore di QS, vorrei provare in più articoli a descrivere quali contenuti e quali prospettive possa avere questa “profonda, radicale e discontinua riforma del lavoro sanitario e sociosanitario”.

Sogno una grande legge di riforma che inizi con la seguente solennità costituzionale “La Repubblica considera la risorsa umana e professionale centrale e strategica per l’attuazione dei principi dell’articolo 32 della Costituzione e della conseguente legge 833/78 di attuazione; a tal fine ne promuove la valorizzazione e la partecipazione alle scelte di programmazione sanitaria e sociosanitaria a livello nazionale e regionale”.

La prima parte di questa riforma non può che partire dall’impegno dello Stato a garantire la sicurezza di chi opera per la tutela della salute individuale e collettiva e, siccome “primum vivere” ritengo che, come appare dal recente già citato rapporto Ocse, ci si riporta alla tragicità di una situazione diffusa l’appello e la denuncia di Pierino Di Silverio che fa emergere che la questione delle questioni per affrontare e provare a risolvere la crisi attuale nella quale versa il nostro SSN sia quella di risolvere innanzitutto i problemi legati alla violenza nei confronti dei medici e degli altri operatori sanitari e sociosanitari, fenomeno, purtroppo in crescita…prima eroi e poi vittime: una dissociazione della realtà tanto insopportabile quanto folle.

Le azioni sinora messe in campo sia legislative che di “educazione e orientamento della utenza” nonché di polizia non hanno garantito la fine del fenomeno dell’aggressione e della violenza contro i professionisti e gli operatori della salute, anche se qualche risultato possano averlo avuto.

Riterrei, invece, che con un operazione normativa dal minimo costo e dal massimo rendimento, possa venire un enorme passo in avanti nel contrasto al fenomeno della violenza nei confronti dei professionisti della salute dando ad essi, indipendentemente dal tipo di rapporto di lavoro che svolge, la qualifica di “pubblico ufficiale”.

Ad oggi per la vigente normativa è un pubblico ufficiale è una persona che eserciti una funzione pubblica legislativa, giudiziaria o amministrativa. La figura si distingue da quella di incaricato di pubblico servizio.

Lo stato giuridico è attribuito ad un soggetto che svolga – indipendentemente dal proprio ruolo di dipendente pubblico o di privato cittadino – una funzione amministrativa disciplinata da norme di diritto pubblico e caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della pubblica amministrazione italiana

L'esercizio di fatto delle pubbliche funzioni, e senza che cioè ci sia stata una investitura formale a mezzo del giuramento e questo solo se non previsto espressamente da una norma di legge, è sufficiente a che si riconosca lo status di pubblico ufficiale, quando ci si trovi nelle condizioni stabilite dall'art. 357 codice penale o dagli artt. 2699 e 2700 codice civile (funzioni amministrative), a patto che non si commetta il reato di usurpazione di pubbliche funzioni (Cass. Pen. V sez., 84/163468). Tra le funzioni pubbliche devono essere ricomprese anche quelle di natura consultiva, anche se svolte all'interno di un organo collegiale, sono quindi da considerarsi pubblici ufficiali, coloro che:
· concorrono a formare la volontà di una pubblica amministrazione italiana;

· siano muniti di poteri decisionali, di certificazione, di attestazione, di coazione, e di collaborazione, anche saltuaria.

La giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione ha in più occasioni ribadito che la qualifica vada quindi riconosciuta anche a chi, pur se privato cittadino, possa esercitare poteri autoritativi, deliberativi o certificativi, considerati anche disgiuntamente tra loro, ma occorre sempre verificare se l'attività è disciplinata da norme di diritto pubblico: «la qualifica di pubblico ufficiale, ai sensi dell'art. 357 c.p., deve esser riconosciuta a quei soggetti che, pubblici dipendenti o semplici privati, possono e debbono – quale che sia la loro posizione soggettiva – formare e manifestare, nell'ambito di una potestà regolata dal diritto pubblico, la volontà della p.a., ovvero esercitare, indipendentemente da formali investiture, poteri autoritativi, deliberativi o certificativi, disgiuntamente e non cumulativamente considerati».

A riguardo quindi, un rapporto di subordinazione o di dipendenza con un ente pubblico non è però condizione necessaria per l'attribuzione dello status di pubblico ufficiale. Infatti, è da considerarsi pubblico ufficiale anche chi «concorre in modo sussidiario o accessorio all'attuazione dei fini della pubblica amministrazione, con azioni che non possano essere isolate dal contesto delle funzioni pubbliche».

Non sembrerebbe, pertanto, prevista espressamente dalla normativa l’attribuzione della qualifica di pubblico ufficiale a chi garantisce l’attuazione di un diritto qual è quello della salute, così solennemente affermato dall’articolo 32 della nostra Costituzione repubblicana, a meno che in forma estensiva si interpreti che questo rientri nelle fattispecie sopra descritte…però sarebbe opportuno che sia una norma a prevederlo con certezza di diritto.

La norma che si propone dovrebbe prevedere che all’articolo 357 del Codice penale siano, altresì, previsti quali pubblici ufficiali i soggetti, pubblici o privati, che assicurino la fruizione di un diritto costituzionalmente garantito, quali, ad esempio, gli esercenti le professioni sanitarie e sociosanitarie di cui alla legge 11 gennaio 2018, n. 3, indipendente dal rapporto di lavoro con il quale esercitano la loro professione e dal luogo ove la svolgano.

Il riconoscimento della qualifica di pubblico ufficiale ai professionisti della salute, per esplicare il massimo potenziale di efficacia, dovrebbe essere integrato da un inasprimento della pena per chi aggredisce o vilipende questa fattispecie ma soprattutto dalla conseguente procedibilità d’ufficio per chi commetta i suddetti reati.

La norma proposta non ricrea certamente l’immagine collettiva di “sacralità” del medico come di altro professionista della salute, ormai superata, ma certamente nell’offrire un “giubbotto di protezione giuridico” permette di ricostruire nell’opinione pubblica una diversa concezione più positiva e propositiva e un conseguente rispetto per chi opera per la tutela della salute individuale e collettiva, sapendo anche che la violazione di tale rispetto comporta la procedibilità d’ufficio nell’essere perseguito con la corresponsione di pene pesanti.

Se è vero che per una parte larga dell’ opinione comune che i veri nuovi eroi sono i professionisti della salute che, riescono a garantire uno dei migliori servizi sanitari nazionali con risorse inferiori alla media degli altri Stati e questo riconoscimento della qualifica di pubblico ufficiale non può che essere un atto dovuto che meglio potenzia la normativa già in vigore ad iniziare dalla legge 14 agosto 2020 n.113 “Disposizioni in materia di sicurezza per gli esercenti le professioni sanitarie e socio-sanitarie nell’esercizio delle loro funzioni”, provvedimento legislativo che, purtroppo non ha contemplato questa basilare e strategica norma che riconosca la qualifica di pubblico ufficiale agli esercenti le professioni sanitarie e sociosanitarie, indipendente dal loro rapporto di lavoro, una norma dal minimo sforzo, ma dal massimo rendimento, come ho già scritto, che potrà costituire un efficace deterrente contro la violenza a chi opera per la tutela della salute e che questa proposta di legge si vuol proporre.

Questa la prima parte della grande riforma del lavoro sanitario e sociosanitario che continuerò a proporre in successivi contributi su questo giornale.

Saverio Proia

6 marzo 2023
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