Studi e Analisi
C’è il rischio di una mutazione antropologica di una parte dei medici?
di Claudio Maria MaffeiI dati pubblicati di recente qui su QS dall’ANAAO sulla fuga dei medici dalle Scuole di Specializzazione sono stati pubblicati quasi contemporaneamente a un ricordo su Salute Internazionale di un libro pubblicato nel 1982 dal titolo “La Buona Medicina” di Massimo Gaglio. I due interventi mi hanno fatto venire in mente a proposito dei medici l’espressione “mutazione antropologica” usata da Pier Paolo Pasolini il 10 giugno 1974 per descrivere “il piegamento della società verso il mondo omologante del consumismo”, come è stato ricostruito qui. Nel caso dei medici la mutazione consisterebbe nel rischio della adesione di una quantità crescente di medici a una medicina orientata al profitto e governata dalle logiche di mercato. Proprio quella medicina che il libro di Massimo Gaglio metteva radicalmente in discussione.
“La Buona Medicina” venne pubblicato nella Collana Medicina e Potere della casa editrice Feltrinelli, collana la cui storia è benissimo raccontata nel sito della Fondazione Giangioacomo Feltrinelli in un intervento dedicato alla figura di Giulio Alfredo Maccacaro che di quella Collana fu il curatore. Il primo libro fu “La medicina del capitale” di Jean-Claude Polack, pubblicato nel 1972 e introdotto da una celebre Lettera al Presidente dell’Ordine dei Medici di Milano e Provincia dello stesso Maccacaro. Chi scrive ha studiato Medicina e si è laureato in quegli anni e il ricordo di una medicina che voleva essere militante rimane vivo, così come vivo rimane il ricordo di una relativamente grande quantità di laureati in Medicina che andava a lavorare nelle realtà e in quelle discipline in cui quel tipo di medicina poteva esprimersi. E quindi ad esempio il grande appeal delle Scuole di Specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva, in Medicina del Lavoro e in Psichiatria e il notevole richiamo esercitato da Regioni come l’Emilia-Romagna.
40 anni dopo la pubblicazione di “La Buona Medicina” e quasi 50 dopo la pubblicazione del primo Volume della Collana Medicina e Potere, assistiamo a fenomeni diametralmente opposti a quelli appena descritti. Si tratta di quelli che meritoriamente e per prima l’ANAAO ha messo in evidenza e cioè la fuga dei medici sia dalle strutture pubbliche che dalle specializzazioni a maggior valenza di sanità pubblica (come quelle dell’area dell’emergenza) da una parte e dall’altra il diffondersi della piaga (perché piaga è) dei medici a gettone, l’appeal esercitato dalle Specializzazioni con maggior mercato libero-professionale (dermatologia, oculistica, chirurgia plastica e cardiologia ad esempio) e il sempre più frequente orientamento a lavorare nelle strutture private o comunque in regime privato.
L’impressione è che ci sia ormai in un numero crescente dei medici anche altro oltre alla disaffezione nei confronti del lavoro pubblico, disaffezione di cui ha parlato in modi molto condivisibili Polillo ieri qui su QS. Qualcosa che rischia di avere a che fare con la forte spinta alla ricerca del profitto in sanità, la cui pericolosità è stata denunciata per gli Stati Uniti da Donald W. Berwick in un suo recente intervento su JAMA del 30 gennaio, intervento dal titolo “Salve Lucrum: The Existential Threat of Greed in US Health Care). L’articolo è già stato citato qui su QS da Ivan Cavicchi in un interessante intervento che non mi permetto di sintetizzare. Il “salve lucrum” (salute guadagno) del titolo sta scritto sul pavimento di una abitazione di Pompei con tessere musive bianche ed è così commentato in un post su Facebook del 21 maggio nella pagina del Parco Archeologico di Pompei: “Dunque, il proprietario dell’abitazione, Vedio Sirico, della famiglia dei Vedi, certamente ricco, e forse commerciante, invece di rivolgere il rituale saluto all’ospite che entrava nella sua domus ecco che saluta… chi? Il guadagno. Volendo certamente indicare che tutto quanto serviva a far entrare soldi nella casa, era il benvenuto. E, lo fa non in maniera ampollosa ma in modo umile e micragnoso, puntando a risparmiare qualche soldarello anche nella scrittura: le tessere musive più grandi costavano sicuramente qualche asse in più…” Commenta nel suo articolo Berwick che quel mosaico starebbe benissimo oggi nell’atrio di molte strutture sanitarie, ma prima di questo commento ricorda un po’ velenosamente che l’atrio della scritta originaria di Pompei è finito sotto sedici piedi (quasi 5 metri) di cenere vulcanica.
Non so come, ma il rischio di quella mutazione antropologica del titolo va in tutti i modi contrastata. Sono già troppi gli atri anche da noi in cui si comincia a intravedere quella scritta che tanto male portò al povero Vedio Sirico.
Claudio Maria Maffei