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QS Edizioni - venerdì 22 novembre 2024

Studi e Analisi

Forum Risk Management. Malattie infettive: "Più informazione e un unico sistema di sorveglianza per fare emergere il sommerso"

di E.M., M.C.
immagine 24 novembre - Alla kermesse aretina un momento di approfondimento su prevenzione, screening e linkage to care in virologia per analizzare lo stato dell’arte dei percorsi di screening e presa in carico dei pazienti con epatiti virali o infezione da Hiv e condividere modelli organizzativi territoriali

C’è un file rouge che lega le malattie infettive quali Hiv, Epatite C ed epatite Delta correlata a infezione da epatite B: quello del sommerso. Un fenomeno ancora rilevante nel nostro Paese dovuto a mancate diagnosi causate da una comunicazione insufficiente, ma anche da sotto notifiche legate a servizi di sorveglianza non ancora pienamente omogenei ed efficienti sul territorio.

È quanto emerso nel corso dell’evento intitolato “L’emersione del sommerso delle malattie infettive in Italia: modelli organizzativi a confronto” promosso da Gilead Sciences nell’ambito del 17° Forum Risk Management dal titolo “La sanità di oggi e domani. Equità di accesso prossimità sostenibilità dei servizi sanitari e sociali”, in corso ad Arezzo fino al 25 novembre. Un evento voluto per tornare a parlare di Hiv e dell'importanza dei programmi di screening per l’emersione del sommerso e la presa in carico delle persone con Hiv, a pochi giorni dalla celebrazione della giornata mondiale che ricorre ogni anno il 1° dicembre.

Il sommerso si profila come una vera e propria emergenza per il nostro Paese. Le cause? “Una sotto diagnosi e una sotto notifica che varia a seconda delle differenti malattie infettive”, ha spiegato Gianni Rezza, Direttore Generale Dipartimento Prevenzione ministero della Salute. “Un sommerso più evidente per quanto riguarda alcune malattie ad andamento cronico, meno per quelle acute, e soprattutto un sommerso inferiore laddove abbiamo servizi di sorveglianza efficienti. Rimane comunque una quota di casi non intercettati, come avviene per l’Hiv, malattia per la quale a causa della pandemia prima e ora per l’utilizzo del self test il sommerso è più evidente”.

Diverso discorso per l’Hcv che avanza in maniera asintomatica rendendo più complessa la sua rilevazione. “Sono stati stanziati, per il 2020-2021, 70 milioni di euro per screening gratuiti nella popolazione nata tra il ’68 e l’89; in particolare per quella ad alto rischio – ha aggiunto – abbiamo screenato circa 140 mila persone sulla popolazione generale, circa 20mila persone afferenti ai SerD e quasi 12 mila detenuti. Numeri insoddisfacenti e per questo la sperimentazione è stata protratta fino al 31 dicembre 2023. Contiamo quindi, in questa fase post pandemica, di poter allargare la platea anche grazie alle opportunità del Pnrr che ci consentirà di migliorare in termini di efficienza la riorganizzazione del territorio. Certo, dobbiamo fare uno sforzo in più per rilanciare il sistema informativo di rilevamento nelle Regioni”.

Del fatto che uno degli atout per far emergere il sommerso siano i programmi di screening ne è convinto Francesco Saverio Mennini dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata e Presidente Sihta. “I programmi di screening richiedono sicuramente investimenti economici immediati. Investimenti che nel medio lungo termine si sono dimostrati vantaggiosi non solo in termini di salute, ma anche in termini di costo efficacia e cost saving. Investire in programmi di prevenzione e screening a livello nazionale consente, infatti, di trattare e prendere in carico precocemente i pazienti con una riduzione sia dei costi diretti che quelli indiretti”.

Certo, sottolinea Mennini, il modello organizzativo e gestionale diventa poi una variabile essenziale affinché esplichino in pieno la loro efficienza ed efficacia: “Se sul territorio non vengono attivati screening in maniera ottimale si rischia di sprecare risorse e mettere a rischio la salute”. Come fare? Informando le regioni sulle evidenze emerse da studi ad hoc. “Dallo studio che abbiamo condotto con l’Iss è stato dimostrato come con uno screening accelerato e risorse aggiuntive è possibile stimare una riduzione dei costo a 10 anni di circa 65 mln di euro rispetto ad uno screening rallentato. Da un punto di vista clinico ed epidemiologico con programmi di screening accelerati condotti a livello nazionale si potrebbero ridurre di circa 5.500 casi di cirrosi scompensata e di ben 12mila morti per Hcv correlata”.

Se sul fronte dell’Hcv molto è stato fatto, nonostante le criticità non manchino, è invece allarme Hiv. “Ad oggi ci sono 140mila persone con infezione da Hiv, un numero destinato però ad aumentare, perché il problema non è stato sconfitto”, ha avvertito Barbara Suligoi, Direttore del Centro Operativo Aids del Dipartimento di Malattie Infettive dell’Iss. In particolare le fasce di popolazione maggiormente esposte al rischio sono quelle più giovani. Per questo Suligoi auspica Centri per le infezioni sessualmente trasmesse omodneamente distribuiti sul territorio, dove i ragazzi possano accedere gratuitamente, senza ticket, e senza avere paura, per ricevere anche un’informazione capillare e coordinata.

Per far emergere il sommerso e accelerare l’accesso alle terapie calmierando il virus e i danni sul sistema immunitario serve un cambio di passo sul fronte dei sistemi di sorveglianza. “In Italia abbiamo fatto molto – ha spiegato – ma non possiamo ritenerci soddisfatti in quanto abbiamo ancora un 10% di sommerso. In numeri, sono circa 14-15mila le persone sieropositive ma non sanno di esserlo e due persone su tre scoprono di essere positive quando hanno già sintomi conclamati, quindi persone con un’infezione anche da 10 anni. Questo significa che la comunicazione non è arrivata nel giusto modo e bisogna agire in maniera più incisiva”.

Ma l’Italia oltre al difetto comunicativo sconta anche un’altra criticità: “Abbiamo registri di sorveglianza differenziati per il monitoraggio delle infezione Hiv e l diagnosi di Aids. È invece indispensabile che vengano unificati per avere un sistema integrato informatizzato e con dati inseriti in tempo reale. Abbiamo ancora notifiche che arrivano in cartaceo e questo non va bene”.

L’Hiv va affrontato anche in una nuova ottica, ha sostenuto Lucia Ferrera della SDA Bocconi, ossia quella della cronicità: “L’Hiv va ormai considerata come una patologia ad alta cronicità in quanto siamo in presenza di pazienti che invecchiano e con pluripatologie – ha sottolineato –. Va quindi ripensato il modello di presa in carico di questi pazienti che devono necessariamente entrare nel governo della filiera, con un passaggio del testimone senza soluzione di continuità dall’ospedale, ai servizi su territorio, al Mmg fino ai SerD. Va però identificato chi debba avere la regia dei vari target per creare sinergie sul territorio e fare emergere il sommerso dei pazienti con infezioni correlate”.
Le sfide per Ferrara sono quindi: "L’individuazione delle corti di popolazione più a rischio come quella tra i 25 e 29 anni e il miglioramento delle offerte per effettuare i test. Va differenziata poi la popolazione in base ai diversi bisogni e ai comportamenti a rischio, per fare prevenzione. Bisogna poi creare alleanze tra i diversi attori che prendono in carico i pazienti. Capire come usare in maniera ottimale la telemedicina e la teleassistenza, come utilizzare le Case della Salute sul territorio e ottimizzare gli interventi della community".

Per Eugenio Di Brino, ricercatore Altems e Coordinatore del Patient Advocacy Lab, la sfida che i sistemi sanitari devono affrontare oggi è come garantire innovazione e sostenibilità. Le domande da porsi sono come andare a sostenere l’innovazione, chi deve effettuare le scelte e che ruolo devono avere i pazienti e i cittadini: “Siamo passati da un modello basato solamente sull’analisi dell’efficacia dell’innovazione, che ha portato a dinamiche di contenimento della spesa, ad un modello che deve ampliare i criteri di valutazione del valore di una tecnologia grazie all’Hta”.

E proprio l’Health technology assessment rappresenta una occasione concreta per le associazioni di pazienti di partecipare alla valutazione del valore di una tecnologia. Il valore aggiunto che possono portare i pazienti riguarda la propria esperienza personale proprio perché “il paziente ha delle informazioni che nessun altro ha” e questo aiuta a misurare il beneficio che una determinata tecnologia può portare alla qualità di vita. Un principio che vale per qualunque patologia a tutti i livelli e quindi anche per l’Hiv. “Come Altems abbiamo attivato un progetto che si chiama Digitas per ottimizzare la presa in carico dei pazienti con Hiv facendolo con la comunità di pratica. Il progetto si è sviluppato secondo lo studio del contesto per arrivare a una riprogettazione del percorso del paziente – ha precisato Di Brino – a seguito di questa progettazione, 26 Associazioni pazienti legate al mondo dell’Hiv hanno condiviso un documento collaborativo di criteri irrinunciabili che tengono conto delle criticità del rapporto medico-paziente nel lungo periodo”. L’argomento è più che mai attuale perché mai come in questo momento il rapporto tra specialista e paziente sta cambiando grazie all’assistenza da remoto.

A puntare i riflettori sull’Hdv sono state Loreta Kondili, ricercatore clinico dell’Istituto Superiore di Sanità, e Maurizia Rossana Brunetto, dell'Università di Pisa. "L'epatite Delta è un'epatite virale che insorge in un soggetto che ha un'infezione da virus dell'epatite B", ha spiegato Brunetto. In altre parole, "il virus dell'epatite B è indispensabile al virus dell'epatite Delta per garantire un'infezione florida, quindi, o i virus si contraggono contemporaneamente o l'infezione da virus Delta si sovrappone all'infezione da virus dell'epatite B. In genere l'epatite Delta è un'epatite rapidamente evolutiva più aggressiva dell'epatite cronica da virus vivo da virus C, quindi è una malattia di fegato severa che può portare alla cirrosi in tempi rapidi e quindi ci troviamo a dover gestire soggetti con quadri di malattia di fegato molto evoluta".

Loreta Kondili ha tracciato lo stato dell’arte della malattia emerso dallo studio Piter avviato nel 2019 e promosso da esperti clinici proprio per approfondire il fenomeno. “Dal 2019 – ha spiegato – sono stati arruolati in 46 Centri specialisti per le malattie del fegato, 4.729 pazienti con una infezione da HbsAg positiva, di cui il 21% (981) non italiani nativi la prevalenza dell’infezione Delta è del 9% più alta tra gli stranieri rispetto agli italiani. Il 22% della popolazione HbsAg positiva non è mai stato testata per l’epatite Delta anche nei centri specialistici. Il 66% delle persone con anticorpi per l’infezione Delta hanno un’infezione attiva, e il 50% della popolazione non nativa con la Delta non mai stato testato per la presenza di una infezione attiva HdvRna. Soprattutto nonostante i non nativi con infezione siano più giovani rispetto agli italiani (età mediana di 43 anni rispetto ai 57 anni degli italiani) il 57% di loro è in già in cirrosi epatica”.

Le esperienze regionali. Per catturare il sommerso nelle Regioni sono stati avviati programmi ad hoc. In Lombardia, ha spiegato Danilo Cereda è stata attivata per l’Hcv, in tutte le asl pubbliche, un’offerta opportunistica alle persone durante i prelievi venosi e durante il ricovero. “Abbiamo formato gli operatori – ha detto – che immettono in un unico software centrale i risultati ottenuti consentendo quindi di intercettare i pazienti ed avviarli verso il percorso di cura. Questo ha consentito una maggiore capillarità nell’effettuazione dei test di primo livello. Siamo partiti a giugno, sono stati 100mila i test di primo livello effettati con un’adesione interno al 15% e 1% di positività rilevata. Nel 2023 ci aspettiamo di allargare la platea delle persone intercettate con costi ridotti in quanto il personale utilizzato è già occupato”.

In Sicilia sono in essere tre progetti distinti: uno focalizzato sullo screening nella fascia di popolazione che riguarda le persone nate tra il 1969 e il 1989, uno nelle carceri e uno nei SerD. Come ricordato da Vito Di Marco, Professore Rete Epatologica Siciliana, i progetti riguardano 32 centri in tutta la Sicilia, 52 SerD e 23 carceri presenti sul territorio. Per quanto riguarda il primo progetto "partirà a gennaio 2023", ha spiegato Di Marco, con le farmacie come punto di riferimento per la campagna di comunicazione e il coinvolgimento dei medici di medicina generale. L’obiettivo è quello di riuscire a informare “tramite una lettera, un milione e duecentomila persone” cioè l’intero campione. “Lo screening per epatite C e il test per l’Hcv saranno disponibili in tutti i laboratori della Sicilia in modo del tutto gratuito e senza prescrizione – ha aggiunto -. Comunicazione, informazione e coinvolgimento dei professionisti sono dunque i presupposti alla base di questo progetto”. Per quanto riguarda il focus sulle carceri, “i detenuti sono sottoposti a test salivare, i positivi all’epatite vengono sottoposti a finger-stick test e poi, nel caso, vengono avviati a terapia direttamente nel carcere con l’infermiere di riferimento”, ha precisato ancora Di Marco confermando che entro fine anno lo screening sarà concluso.

In regione Piemonte l’intenzione è di partire da una popolazione target di 19mila persone, ha detto Daniele Pini, SerD Beinasco SC – SerD Area Metropolitana Sud Asl To 3. “Lo screening che andiamo a fare però è quello della positività del genoma. Il progetto è partito a maggio, in modo non uniforme, purtroppo, in tutte le Asl, e, ad oggi, abbiamo coperto il 15-20% di persone. Naturalmente – ha aggiunto l’esperto – abbiamo escluso tutti i pazienti che avevano già positività per il genoma”. Pini ha poi espresso ammirazione per il modello di integrazione messo in atto in regione Sicilia. “Purtroppo in Piemonte non c’è una vera rete regionale per il trattamento dell'Hcv ed il nostro progetto vorrebbe proprio evolversi verso questa direzione”. Creare un link tra i centri prescrittori e SerD sarebbe il vero passo in avanti. L’auspicio di Pini è quindi quello di far diventare questo “problema una priorità e non l’ennesima cosa da fare”.

In Puglia ha spiegato Sergio Lo Caputo del Simit Puglia e Basilicata per sensibilizzare i giovani sull’Hiv e facilitare l’accesso ai test rapidi sono stati utilizzati messaggi ad hoc utilizzando anche influencer e prodotti video pillole di un minuto che hanno avuto come protagonisti proprio i ragazzi per dare una serie di messaggi semplici e chiari.

A tirare le conclusioni Walter Ricciardi della World Federation of Public Health Associations:Questo è il secolo delle malattie infettive e dobbiamo affrontarlo con la consapevolezza e con una politica europea saggia – ha detto – la sfida a queste patologie potrà quindi essere più efficace per il futuro se i tasselli vengono messi a posto e soprattutto se la visione politica e quella clinica vengono mediati da una capacità gestionale”.

Ester Maragò, Marzia Caposio

24 novembre 2022
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