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QS Edizioni - domenica 24 novembre 2024

Studi e Analisi

Non è vero che il DM 70 rischia di consegnare la sanità ospedaliera al privato

di Claudio Maria Maffei
immagine 21 giugno - Se ben usato sarà lo strumento che serve per governare l’integrazione pubblico-privato e per riuscirci andrà risposto da chi di dovere al documento dell’AIOP con un analogo documento tecnico che apra “la riserva”. Sparare a caso sul DM 70 quello sì che consegnerà sempre più sanità al privato

Quasi ogni giorno Quotidiano Sanità riporta interventi dal punto di vista  della sanità pubblica (almeno nelle intenzioni) sul DM 70 che più che criticarlo lo demoliscono. Ultimo arrivato (devo dire con  mia sorpresa) è stato ieri un intervento di Guglielmo Lanza della CGIL che lo ha liquidato così: “Anche la bozza di revisione del DM 70 reitera i presupposti tutti sbagliati del Decreto originario dei 3.7 posti letto per mille abitanti, definito dal criterio tutto economicistico dei costi standard.”

Ancora una volta la complessità dell’impianto del DM 70 è stata liquidata con una frase molto simile a quella utilizzata di recente dal Coordinatore del Forum dei Clinici: “Per questo vanno rivisti completamente i parametri organizzativi dei nosocomi sanciti con il Decreto Ministeriale 70 (DM 70 del 2 aprile 2015), di cui auspichiamo una profonda e radicale revisione”. In comune tra questi due interventi è la sommarietà della stroncatura.

Molto più utile e serio a mio parere è il documento dell’Associazione Italiana della Ospedalità Privata (AIOP) sulla revisione del DM 70 pubblicato anch’esso ieri su Quotidiano Sanità. In questo Documento si entra con molta analiticità   nel merito del DM 70 e della sua ipotesi di revisione (il brogliaccio che Quotidiano Sanità ha riportato e discusso). Il documento entra nel merito di alcuni punti essenziali che meritano di essere presi in considerazione attentamente perché rischiano di favorire ulteriormente la fuga di professionisti e di pazienti dal pubblico verso il privato. In particolare i punti principali toccati sono le soglie di accreditabilità in termini di posti letto, i vincoli in termini di volumi minimi e di esito e la rete dei punti nascita  (quest’ultimo punto qui non viene considerato).

Le osservazioni molto puntuali dell’AIOP richiedono per essere valutate una conoscenza di dettaglio del DM 70 e delle sue ipotesi di modifica e la natura attuale delle Case di Cura Private italiane in termini di dimensioni, attività e organizzazione. Partiamo allora dalla “natura” attuale delle Case di Cura Italiane.

Va premesso che essa non è mai stata oggetto di specifico interesse da parte del Ministero e dell’Agenas, per cui una analisi istituzionale dell’ospedalità privata manca. Mancano anche dati sul confronto tra la produzione ospedaliera pubblica e privata, visto che né i rapporti SDO (segnalo l’incredibile ritardo nella pubblicazione del rapporto coi dati 2020), né il Programma Nazionale Esiti né l’Annuario Statistico del Servizio Sanitario Nazionale (anche questo fermo ai dati 2019) fanno analisi comparative di questo tipo. Informazioni utili vengono invece dall’AIOP stessa che pubblica un suo Rapporto Ospedali&Salute annuale di cui l’ultimo è del 2021 e riporta i dati 2020. Con un po’ di fatica utilizzando soprattutto i dati dei Rapporti dell’AIOP e incrociandoli con quelli dello stesso anno del rapporto SDO ci si può fare una idea più precisa sul mondo delle Case di Cura private Italiane caratterizzato - pur in presenza di una grande variabilità regionale che qui non viene presa in considerazione - da:

  • una assoluta prevalenza della attività programmata rispetto a quella in urgenza, visto che meno del 10% degli accessi in Pronto Soccorso sono gestiti dalle strutture private (vedi una rilevazione ANAAO pubblicata qui su QS poco più di due anni fa);
  • dimensioni ridotte in termini di posti letto (circa 85 posti letto in media tra gli ospedali associati AIOP, fonte Rapporto 2021, dati 2018);
  • netta prevalenza della attività chirurgica concentrata su specifiche tipologie di interventi (ortopedici in primo luogo);
  • da una relativa autonomia nel selezionare le linee produttive più convenienti   dato il loro non coinvolgimento nel sistema dell’emergenza/urgenza;
  • dalla presenza di equipe chirurgiche itineranti che operano in più sedi dentro e fuori Regione utilizzando gli spazi disponibili di budget e incrementando di conseguenza la mobilità interregionale;
  • uno scarso coinvolgimento delle strutture private nella gestione delle criticità emergenti in corso di pandemia data la loro natura di strutture a prevalente vocazione chirurgica e più orientate ad una attività programmata;
  • da inevitabili rischi di inappropriatezza (certo da dimostrare caso per caso) data la natura “monoproduttiva” di alcune strutture.

Una situazione di questo genere certamemente comporta alcuni vantaggi di sistema per i cittadini ad esempio con un forte contributo ad alcune discipline chirurgiche, ma dall’altra impoverisce di professionalità il sistema pubblico visto che le condizioni protette garantite alle Case di Cura Private  costituiscono assieme al miglior trattamento economico una sirena assai convincente.

Questo lungo preambolo serve per inquadrare le proposte dell’AIOP che chiede innanzitutto di abbassare il numero di posti letto per acuti che costituisce la soglia per essere accreditabili e per sottoscrivere  gli accordi contrattuali con le Aziende Sanitarie Locali. Questo numero è attualmente di 60 posti letto per acuti per le Case di Cura multispecialistiche ed è previsto nel nuovo DM 70 in itinere pari a 40 per le monospecialistiche, strutture ancora in attesa di una precisa definizione.

Il documento AIOP si prende tutto il buono del vecchio DM 70 (a partire dalla possibilità di godere dello status di riserva protetta) e vorrebbe rimuovere alcuni dei vincoli che lo stesso prevede sia nella versione originale che in quella in itinere richiedendo in estrema sintesi che:

  • il vincolo dei 60 posti letto per acuti sia ridefinito includendo nei 60 posti letto anche quelli di post-acuzie correlati alla attività per acuti;
  • per le strutture monospecialistiche si dia una definizione “allargata” e che la soglia venga portata a 30 posti letto;
  • i volumi minimi per struttura e operatore vengano calcolati in maniera più “elastica”;
  • per gli indicatori di esito non si dia una valutazione negativa per il solo fatto che la casistica cui si riferiscono sia sottodimensionata.

Al di là dei tecnicismi  la domanda di fondo è: il privato va messo  in condizioni di operare simili a quelle del pubblico o va mantenuto come riserva protetta con regole e vincoli tutti suoi che mantengono gran parte delle strutture fuori della complessità organizzativa e del coinvolgimento nella rete dell’emergenza-urgenza tipiche delle strutture pubbliche? Se la risposta dovesse essere la seconda  la emorragia di professionisti dal sistema  pubblico verso quello privato aumenterà. E i vincoli di budget non basteranno a fermarla perché ci penseranno le Assicurazioni a compensare le riduzioni di budget, se mai ci dovessero essere.

Quindi non è vero che il DM 70 rischia di consegnare la sanità ospedaliera al privato. Se ben usato sarà lo strumento che serve per governare l’integrazione pubblico-privato e per riuscirci andrà risposto da chi di dovere al documento dell’AIOP con un analogo documento tecnico che apra “la riserva”. Sparare a caso sul DM 70 quello sì che consegnerà sempre più sanità al privato.

Claudio Maria Maffei

 

 

 

 

21 giugno 2022
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