toggle menu
QS Edizioni - venerdì 22 novembre 2024

Studi e Analisi

Il libro di Cavicchi fa i conti con “la crisi della ragione medica”

di Gian Franco Gensini
immagine 16 giugno - Il rapporto tra “pensiero e medicina” è sempre stato difficile. Ivan ci dà l’occasione di fare una riflessione sul “provincialismo” di certe nostre discussioni nazionali. L’impresa di ripensare la nostra medicina scientifica è una strada in salita e quasi sempre assai impegnativa. Ma in tutta franchezza non credo che esistano alternative.

L’ultimo libro di Ivan Cavicchi La scienza impareggiabile” è a mio avviso una vera e propria “opera” di grande importanza e rilevanza. Un’opera che, più di tutte quelle che l’hanno preceduta, interpreta rigorosamente e con precisione la situazione di crisi della nostra medicina scientifica indicandoci soprattutto la strada da percorrere.

Il rapporto tra “pensiero e medicina” è sempre stato difficile. Ivan ci dà l’occasione di fare una riflessione sul “provincialismo” di certe nostre discussioni nazionali.

Un’opera da diffondere e far conoscere a tutti
Secondo me, l’opera di Cavicchi andrebbe fatta conoscere e diffusa ampiamente perché, sui problemi della medicina scientifica e sui problemi della professione medica, non si ritrovano nella pur ragguardevole letteratura in circolazione analisi così lucide, pertinenti, profonde ma soprattutto non esiste un’idea e un progetto di medicina come quello che pragmaticamente Ivan ci propone da anni.

Avere nel nostro Paese un pensiero del genere sulla medicina mi rende come medico e come cittadino orgoglioso, anche perché le tante ricette che fino ad ora ci son venute da oltre oceano e da oltre Manica (si pensi alle medical humanities, all’EBM, choosing  wisely ecc ) e a cui noi abbiamo aderito, non sempre hanno mantenuto le loro promesse, spesso dimostrandosi culturalmente deboli, scarse e lacunose. Ma soprattutto non all’altezza delle sfide di una medicina di complessità rapidamente crescente.

Con Ivan ovviamente si può essere d’accordo o meno, ma quello che egli ci propone, questa volta come sempre, è un pensiero vero e profondo cioè studiato con cura e pronto a essere usato e applicato sul campo.

L’esempio dell’evidenza  
Pochi giorni fa proprio su questo giornale  ho letto un articolo  sulla “presunta” crisi dell’ebm che mi ha ricordato che proprio  due anni fa ebbi l’onore sempre su questo giornale,  di aprire il forum “Le evidenze scientifiche in medicina”. L’occasione ci fu fornita da un libro profetico di Cavicchi che io definii, con ben due interventi su QS, un libro di svolta o come dicono gli inglesi un vero e proprio “breakthrough”.

“Salute internazionale” la nostra qualificata rivista on line diretta dallo stimatissimo Gavino Macciocco, ignorò sia il libro che il forum, ma due anni più tardi tradusse un articolo del BMJ “The illusion of evidence based medicine, che rimbalzò nei nostri computer come se fosse una grande e sorprendente rivelazione e è stato ripreso laudativamente da alcuni commentatori.

Le riflessioni di Cavicchi sul problema delle evidenze furono anticipate in realtà già 20 anni prima in un altro libro che definirei un grande terreno di confronto e di sfida, un vero e proprio rompighiaccio, e che fu la prima tempestiva risposta al rischio, che Cavicchi già al suo nascere definì della “medicina amministrata” quello innescato a partire dalla Legge 229 e che impose ai medici l’obbligo dell’appropriatezza, obbligo che contribuirà non poco a creare la famosa “questione medica”.

La crisi della ragione medica
Con “La scienza impareggiabile” si va decisamente oltre la riflessione sull’evidenza scientifica, finalmente si naviga in mare aperto e si fanno i conti con quella che qualsiasi filosofo definirebbe “la crisi della ragione medica”.

Dopo questo ultimo libro di Cavicchi sfido chiunque anche il più rigido e retrivo  dei conservatori:

  • a negare che esiste ed esisterà sempre una crisi della medicina scientifica,
  • a spiegare la questione medica senza spiegare le sue connessioni con la crisi della medicina,
  • a spiegare questo paradosso del nostro tempo cioè la sfiducia di una intera società nei confronti della scienza più potente che abbiamo,
  • a spiegare che la medicina è solo una scienza,
  • a spiegare che dalla crisi della medicina si può uscire senza un ripensamento. 

Questo ultimo lavoro di Ivan appare come il    prodotto di almeno 30 anni di dura e costante esplorazione e riflessione. 

Con questa opera ci ha indicato chiaramente:

  • in cosa consistono i nostri problemi,
  • dove dovremmo mettere le mani se volessimo risolverli.

Si dispone che…
Altri stimati colleghi hanno scritto sul libro di Cavicchi che non c’è un solo capitolo di esso che non ti affascini e che non ti prenda e che non ti convinca, ma a me per la mia struttura mentale, in particolare ha colpito quella parte più operativa nella quale Cavicchi con il suo raffinato pragmatismo finge di dover scrivere una delibera e di prescrivere alla medicina i cambiamenti necessari cioè quelli che ci servirebbero per uscire positivamente dalla crisi.

Cavicchi usando la formula di rito di una delibera “si dispone che…” si prende la responsabilità di dirci cosa dovremmo cambiare nel paradigma, nella dottrina, nella disciplina e nelle prassi.

Nessuno ha fatto un lavoro simile sul piano internazionale. 

Nessuno ha proposto di dedurre da una scienza impareggiabile uno statuto giuridico del medico altrettanto impareggiabile.

Una riflessione anti provincialista
Per scrivere  questo articolo confesso di essermi letto oltre il libro di Cavicchi anche tutti i commenti autorevoli sulla “Scienza Impareggiabile” pubblicati su questo Giornale. 

Senza far torto a nessuno, anzi facendo mie le recensioni che mi hanno preceduto, devo però dire che la riflessione che più mi ha colpito è stata quella decisamente più anti provinciale. Cioè quella di Giovanni Brandi oncologo di fama e Direttore della Scuola di Specializzazione in Oncologia di Bologna. 

Brandi ci propone, del tutto contro corrente, una tesi interpretativa di grande interesse:

“Se a Claude Bernard dobbiamo l’invenzione  della medicina sperimentale quale modello meccanicistico, analitico , e quindi architrave della nostra attuale  medicina scientifica,  a  Cavicchi indubbiamente  dobbiamo la impalcatura teorica  della medicina quale scienza impareggiabile”.

Tanto Bernard che Cavicchi, ha ragione Brandi, alla fine fanno la stessa operazione di fondo che è quella di dedurre la medicina da presupposti sociali culturali scientifici non casuali, interpretando il proprio tempo e spazio storico.

Bernard due secoli fa deduce la medicina sperimentale usando la cultura del suo tempo quindi il positivismo.  Cavicchi nel terzo millennio fa sostanzialmente la stessa cosa, cioè definisce la scienza impareggiabile ma in senso post positivistico. Mentre il primo deduce la medicina in senso riduzionista (contano i fatti) il secondo deduce la medicina in senso decisamente anti-riduzionista (oltre i fatti esistono eventi e relazioni).

Ma nessuno dei due aveva l’urgenza di una necessità pratica: cioè inventarsi una medicina adeguata al proprio tempo storico. Quindi tutti e due alle prese con una crisi, non da risolvere, ma, da compiere. Le crisi, scrive Cavicchi, con precisione logica e lineare,  per essere risolte devono compiersi, cioè devono rispondere ai cambiamenti antecedenti che le hanno create con altri cambiamenti.

La “scienza impareggiabile” quindi è la risposta “non provinciale” che oggi, Bernard, darebbe alla crisi della medicina se vivesse nel terzo millennio. 

Conclusioni
Che dire? Intanto complimenti, o, meglio, “chapeau” a Cavicchi. Ma soprattutto grazie. L’impresa di ripensare la nostra medicina scientifica è una strada in salita e quasi sempre assai impegnativa. Ma in tutta franchezza non credo che esistano alternative.

Tre cose per me sono sicure:

  • la medicina non può permettersi il lusso di restare ferma a Bernard,
  • per ripensare la medicina ci serve un pensiero intelligente in senso etimologico cioè in grado di scegliere, inter legere, fra le tante opzioni come quello di Cavicchi,
  • di questo pensiero abbiamo grande e urgente bisogno, ma per usarlo e farlo crescere ed evolvere dobbiamo tutti riuscire a essere non solo accoglienti ma interattivi con quanto si muove nel mondo in questa direzione ormai ineluttabile, ma tutta da capire e mappare, più liberi di testa e liberi da derive  provincialistiche  deteriori.

    Gian Franco Gensini
16 giugno 2022
© QS Edizioni - Riproduzione riservata