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QS Edizioni - domenica 24 novembre 2024

Studi e Analisi

La crisi della medicina e l’assenza della bioetica

di Ivan Cavicchi
immagine 27 maggio - Come è possibile che sulla “questione medica” cioè sulla crisi profonda della più importante professione della medicina, la bioetica abbia detto tanto poco? Come è possibile che con una crisi conclamata della medicina  scientifica non ci siano da parte sua  indicazioni di lavoro? Come è possibile che in tutta la pandemia la bioetica  come disciplina  non abbia avuto uno spazio pubblico? Cioè come è possibile in una pandemia  che ha fatto centinaia di migliaia di morti  dare  luogo ad una dicotomia assurda tra bioetica e scienza? Tra bioetica e politica?

Premessa
Come è noto  da anni i miei oggetti di studio sono la sanità e la medicina.

Per ragioni gnoseologiche e euristiche alla bioetica personalmente ho sempre preferito la filosofia, ma intendendo per filosofia una specie di grande  “scatolone”, cioè  un vasto dipartimento, in cui mettere tutto quanto, in un malato, è irriducibile a  sostanza: ontologia, euristica, epistemologia, morale, etica, scienza, logica,  ecc.

Se la medicina  è una scienza impareggiabile allora la sua euristica deve essere altrettanto impareggiabile. E’ solo una questione  di complessità.

Se guardo ai grandi problemi aperti sia in sanità che in medicina e mi giro indietro per vedere il percorso intellettuale fatto mi dichiaro soddisfatto della mia scelta. Oggi senza una euristica impareggiabile non sarei di certo riuscito a scrivere e a proporre tutto quello che ho scritto e proposto.

La bioetica è o no un sapere impareggiabile?

Bioetica e non solo
Se anche io negli anni ‘80,  a parità di obiettivi di conoscenza, avessi seguito, come hanno fatto in tanti, il boom della bioetica, a bioetica ufficialmente conclamata, probabilmente sarei stato costretto a trasformare la bioetica nello “scatolone” di cui parlavo prima senza il quale sono sicuro non  sarei stato in grado di avvicinarmi  alle cose  che mi interessava studiare.

La bioetica nel suo complesso è nel bene e nel male quella che è. Secondo me (opinione del tutto personale) è meno di quello che potrebbe essere e dovrebbe essere,  per cui sia chiaro sul suo valore non solo euristico ma anche normativo e sociale non si discute.

Detto ciò  devo dire onestamente che la bioetica  al confronto con le grandi complessità , con le grandi crisi, con le grandi contraddizioni proprio della medicina e della sanità,   tradisce  suo malgrado importanti limiti  e vistose  incapacità.

Lasciamo da parte come direbbero i matematici gli estremi della funzione cioè la  “bioetica del quotidiano” e la “bioetica di frontiera” sul rapporto tra la vita e la morte, ma a me che mi occupo di crisi della medicina e della sanità  è su queste grandi crisi che mi piacerebbe che la bioetica ci fornisse  un contributo aiutandoci a fare le scelte più adeguate. Cioè  aiutando tutta la baracca a far crescere un pensiero di riforma.

Ma per far in modo che la bioetica  aiuti la baracca considero del tutto ovvio che la bioetica si interessi di questa crisi, che la studi con i suoi strumenti ma soprattutto che tiri fuori delle “sue” proposte per risolverla. Cioè proposte che data la natura della  bioetica solo la bioetica può fare. Non basta che la bioetica sia concorde con la scienza o con il diritto o con la sociologia con la gestione 

Come è possibile che sulla “questione medica” cioè sulla crisi profonda della più importante professione della medicina, la bioetica abbia detto tanto poco? Come è possibile che con una crisi conclamata della medicina  scientifica non ci siano da parte sua  indicazioni di lavoro? Come è possibile che in tutta la pandemia la bioetica  come disciplina  non abbia avuto uno spazio pubblico? Cioè come è possibile in una pandemia  che ha fatto centinaia di migliaia di morti  dare  luogo ad una dicotomia assurda tra bioetica e scienza? Tra bioetica e politica?

Ripeto non sono un bioeticista  anche se spesso mi chiedo chi sono i bioeticisti  e per quale ragione costoro sono definiti tali, so però che c’è  la bioetica, che c’è un Cnb,  con tutti suoi difetti e i suoi pregi e so che  che tanto in sanità che in medicina dovremmo per il bene comune approntare delle riforme cioè pensare a dei cambiamenti, e so  che rispetto a questi cambiamenti  la bioetica ci potrebbe dare,  a certe condizioni, una mano importante. So anche che se la bioetica non da una mano altri dovranno lavorare per lei prendendone il posto.

Bioetica (LB)
Con questa convinzione e dopo aver partecipato ad un interessante webinar nazionale di biotecisti sui problemi della medicina organizzato magistralmente da  Silvana Cagiada (14 maggio) stuzzicato dal dibattito e dalle questioni poste  mi sono letto il libro appena uscito di Luisella Battaglia (d’ora una vanti LB)  “Bioetica”  (Editrice bibliografica2022), cioè il libro di una bioeticista una vera pionera che conosco e seguo  da anni e che considero “a posto” in tutti sensi.

Devo dire che la convinzione dalla quale ero partito dopo la lettura del libro  si è rafforzata. La bioetica come scrive bene LB ha un  proprio spazio originale di riflessione  ma che secondo me  rispetto ai problemi della realtà medica probabilmente necessita  di una teoresi  specifica incisiva oserei dire “caratteristica” ma, chiarisco subito, al solo fine di poterla usare in modo specifico nelle realtà mediche altrettanto specifiche che deve affrontare. Quindi al solo fine  di poterla usare in  modo pragmatico. La bioetica non è declamazione di principi ma semmai è il loro uso pragmatico nelle complessità date.

La bioetica globale
In genere come spiega molto bene LB citando Jahr, Warren Reich, Danner Clouser e i vari maestri della complessità, la tendenza che prevale  è pensare al una bioetica globale, cioè ad una bioetica onnicomprensiva, titolata a intervenire praticamente su tutto, ma mi chiedo da epistemologo quanto globale deve essere la bioetica per mordere in modo efficace nello specifico i problemi del mondo?

La domanda è: data una  globalità quale la sua specificità euristica?

E se per essere globali si scimmiottano altre globalità fino a sovrapporvisi? Per esempio lo scatolone della filosofia  o quello della scienza? E se per essere  globali si diventa solo enciclopedici  cioè inutilmente titolari di competenze formali senza incidere su niente?

In questi casi che ci faccio di una  bioetica solo convenzionale? A me oggi che sono alle prese con la crisi profonda della medicina serve una bioetica  in grado di sostenere in certi campi pre-delimitati le scelte di riforma necessarie che la politica dovrebbe fare  se fosse in grado di fare il suo mestiere.

Riprendendo LB che considera giustamente il rapporto “società tecnologia medicina” come un oggetto privilegiato di studio della bioetica  (anche se aggiungo io non esclusivo), dico  quello che a me servirebbe e cioè una bioetica  non tanto che sa tutto ma una bioetica  delle interconnessioni,  cioè una bioetica che sappia dirmi i problemi che ci sono  non  nella società  nella tecnologia o nella medicina, ma specificamente  nel rapporto difficile tra società tecnologie medicina aiutandomi a trovare soluzioni plausibili.

In sostanza io penso che la bioetica si dovrebbe  caratterizzare non attraverso le sue formali competenze convenzionali ma attraverso le sue sostanziali soluzioni quelle che come bioetica propone nei confronti  dei problemi che ci sono. Sto dicendo che più che il suo sapere enciclopedico dovrebbero essere i modi di risolvere i problemi che dovrebbero caratterizzare il ruolo della bioetica.

I modi della bioetica dovrebbero essere i modi propri della bioetica e si differenziano da altri approcci perché gli altri approcci sono diversi dalla bioetica cioè sono altri modi di conoscere.

Due grandi questioni: escatologia e spazio etico
La discussione  con i bioeticisti  e la lettura  del libro di LB in particolare sul ruolo della bioetica nei confronti della medicina, mi ha fatto pensare. E in particolare su due  questioni che considero nevralgiche.

Queste sono: la funzione escatologica della bioetica e lo spazio etico.

Si chiama escatologia (éskhatos 'ultimo'),  quella particolare filosofia che ha come proprio oggetto di studio il destino ultimo del singolo individuo, dell'intero genere umano e perfino dell'universo.

L’escatologia  in quanto legata alle aspettative ultime dell'uomo ormai  in questa  società  dei diritti, dell’autodeterminazione, dell’individuo,  non riguarda più solo i nostri problemi ultraterreni quindi le nostre personali visioni metafisiche del mondo, ma anche, se non prima di ogni altra cosa, i nostri problemi terreni quelli fisici, corporei, quelli naturali. Il  testamento biologico (dat) è un esempio di escatologia laica. Nell’eventualità  di avere una malattia decidere anticipatamente ciò che sarà necessario fare o non fare rientra nella logica dell’escatologia.

Ma se entriamo in questa  logica allora:

  • la cura della malattia umana altro non sarebbe che l’uso della scienza per governare l’eventualità (il destino biologico);
  • la medicina inevitabilmente diventerebbe a sua volta escatologia cioè una filosofia oltre che  una scienza che cura il “destino ultimo dell’uomo” .

Anche al fine di specificare meglio certe unicità della bioetica io se fossi un cultore della bioetica  una esplorazione dei rapporti tra bioetica  escatologia e medicina, la farei. Se la bioetica riuscisse a proporsi come una riflessione escatologica sulle nostre complessità biologiche e esistenziali avrebbe tutto da guadagnare.

Lo spazio etico
I temi escatologici della bioetica hanno tutti a che fare con il problema della vulnerabilità dell’uomo. Se l’uomo non fosse vulnerabile il problema dell’escatologia non si porrebbe.

La bioetica come spiega bene LB è principalmente attenzione morale nei confronti  dei soggetti vulnerabili. Un malato per definizione è un soggetto vulnerabile.

Ma l’attenzione morale nei confronti di questi soggetti  avviene  attraverso degli spazi  organizzati che si chiamano “servizi” e che in quanto tali pongono una questione nuova  che il CNB  ha definito la questione dello “spazio etico”.

Io penso che l’organizzazione dello spazio etico sia una questione squisitamente bioetica. Di cosa parliamo?
Per riprendere le parole del CNB si tratta di un modello con  “molteplici potenzialità applicative” inteso come “luogo di ascolto, di incontro e di scambio di esperienze di vita personali e professionali in cui dare voce ai singoli cittadini e alle associazioni che li rappresentano.”

Si faccia attenzione ai vari passaggi:

  • attraverso la bioetica l’escatologia  si salda  alla  dialogica
  • la bioetica, nei confronti della cura propone di concepire i servizi sanitari come spazi etici;
  • questo significa che la bioetica per fare gli spazi etici propone alla medicina alle università alle società scientifiche ai sindacati, di ripensare il modo di fare la clinica della medicina positivista.

Questo è un esempio di come la bioetica in piena crisi della medicina scientifica, a certe condizioni, potrebbe contribuire al ripensamento della medicina stessa. Si tratta  sostanzialmente di trasformare l’idea importante di spazio etico in una proposta di riorganizzazione delle prassi professionali e dei servizi.

E’ evidente che l’idea di spazio in questione non è quello euclideo  classico del servizio  dove il malato è “parallelo”  cioè giustapposto al medico,  ma è quello  iperbolico dove sono possibili tante intersezioni diverse   cioè tanti  modi  diversi di esprimere prassi relazionali.

La bioetica potrebbe aiutarci a definire attraverso la spazio etico cosa sia una prassi relazionale.

Ivan Cavicchi

 

27 maggio 2022
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