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QS Edizioni - lunedì 25 novembre 2024

Studi e Analisi

Riforma delle cure primarie. Le intenzioni sono buone, ma… 

di Ivan Cavicchi
immagine 6 agosto - Se ne parla nella spending review e nell’annunciato “decreto sanità” del ministro Balduzzi. La Toscana ci prova con le AFT. Insomma, attorno alle cure primarie c’è un gran fermento ma, fatte salve le buone intenzioni, a mio avviso non ci siamo 
Il testo della spending review, licenziato dal Senato, oltre a imporre i noti tagli lineari contiene un’indicazione per compensare la riduzione del sistema ospedaliero con la riorganizzazione dei servizi distrettuali e delle cure primarie e assicurare l’assistenza territoriale H24. 

Analogo obiettivo sembra avere la bozza che il ministero della Salute sta mettendo a punto con i sindacati e che modifica l’art 8 della 229 dedicato ai medici di medicina generale. Ed ora la Toscana intende istituire le “associazioni funzionali territoriali”(AFT), cioè ambulatori integrati anch’essi H24, che molto somigliano ai gloriosi poliambulatori Inam che avevamo ai tempi delle mutue.

Il significato è chiaro: si tenta di alleggerire i costi complessivi del sistema assecondando una tendenza in atto da anni cioè di compensare meno spedalità con più territorialità. Molti sono gli interrogativi che nascono nel leggere nel dettaglio i testi di questi provvedimenti e che giudicheremo testi alla mano ma quello che appare come una novità è l’obbligo dell’ assistenza H24 e quindi l’obbligo per i medici di aggregarsi. Il significato di questo obbligo è far funzionare a tempo pieno l’assistenza territoriale che c’è.

Giudicando positivamente questa intenzione mi chiedevo fino a che punto si può parlare di cambiamento. Ho sostenuto su questo giornale che il nostro sistema sanitario, crisi a parte, ha urgenza di essere ricontestualizzato nella post modernità e nel post welfarismo, di essere riconcepito in una contro-prospettiva come sistema nei suoi modelli portanti per produrre più salute a minor costo e che i tagli lineari a sistema invariante produrranno inevitabilmente abbandoni, vuoti assistenziali, cioè meno tutela tout court.

Far funzionare a tempo pieno l’assistenza territoriale che c’è, è o no un cambiamento di sistema? La mia risposta è no anche se, come si suol dire, non sarò certo io a sputarci sopra. Qualsiasi riorganizzazione dell’assistenza territoriale non può che fare bene. Ma resto convinto che i tempi della razionalizzazione del ‘99 sono finiti e che oggi non basta più giocare ai quattro cantoni. Mentre i tagli lineari, come un terremoto scuotono la casa nelle sue fondamenta aprendo crepe ovunque, si continua a pensare all’arredamento cioè a dove mettere i mobili.

Che questo pensiero sia inadeguato lo si capisce dal suo linguaggio: si protrae la contrapposizione pluritrentennale tra ospedale e territorio, si usano ancora termini come “assistenza extra-ospedaliera” che in una visione interconnessionale non ha più ragione di sussistere, si continua a concepire l’organizzazione dei presidi territoriali con i soliti parametri n° abitanti/n° medici gli stessi dei posti letto, cioè si continua ad organizzare il distretto come un ospedale, l’integrazione è vista come somma di medici. Per cui non parlerei di cambiamento ma semmai di miglioramento marginalista.
Dato un sistema che non cambia nei suoi modelli fondamentali si pone maggiore enfasi su un sottosistema definito “assistenza territoriale”, posto in competizione finanziaria con un altro sottosistema definito “assistenza ospedaliera”, facendolo funzionare possibilmente di più cioè H24 e obbligando i medici ad aggregarsi perché non riescono ad integrarsi.

Ma rispetto al contesto creato dai tagli lineari ben altre sono a mio avviso le inadeguatezze che rivelano un finto cambiamento: 1) il discorso, pur riguardando i distretti, non è mai fatto nella logica della produzione della salute, cioè a malattie invarianti si tratta di curarle e basta, cioè “cura primaria” non “salute primaria”, eppure oggi per essere sostenibili è fondamentale ridurre le malattie; 2) le logiche così dette distrettuali sono ferme ad un’idea frustra di territorio svuotata di significato; 3) le cure primarie sono fatte coincidere esclusivamente con la figura del medico generico, dimenticando il ruolo strategico degli infermieri senza i quali non si farà mai nessuna seria riforma dell’assistenza territoriale; 4) si dà per scontata l’invarianza della figura e del ruolo storico del medico di medicina generale (l’assessore della Toscana ci rassicura: “il medico di famiglia non sparirà”) ma per una riforma degna di questo nome è proprio il medico generico che deve sparire per essere sostituito con un altro “genere, specie, tipo” di medico; 5) gli obiettivi che si intendono raggiungere, dichiarati in questo caso in una conferenza dall’assessore della Toscana, sono quelli canonici della vecchia razionalizzazione quindi qualità, integrazione, appropriatezza (ormai dopo la spending review per pudore neanche più Balduzzi parla più di appropriatezza), quando il vero obiettivo oggi da raggiungere è più salute con minore costo.

Che dire…le intenzioni sono buone ma siamo ancora nell’ossimoro del “riformismo conservatore”…perdura un pensiero marginalista ma soprattutto un’idea di riorganizzazione di vecchio stampo. Ripeto le sfide dei tempi oggi non sono più affrontabili con gli arnesi spuntati della razionalizzazione. Ci vuole più coraggio riformatore, le idee credetemi non mancano all’assessore Marroni che stimo e apprezzo, dico bravo, sei sulla strada giusta, ma non avere paura di cambiare. E se non hai idee trovale come i bravi velisti che, per non restare fermi, si vanno a cercare il vento dove c’è e scusandomi per l’autocitazione (gli intenti sono ideali non commerciali), si legga “I mondi possibili della programmazione sanitaria. Le logiche del cambiamento”.

Ho sempre seguito con interesse le idee della Toscana alcune, come le “Aree vaste”, hanno avuto successo e sono state adottate da altre regioni, altre come la “Casa della salute” non so che fine abbiano fatto, altre ancora, secondo me di grande valore innovativo come le “Società per la salute”, sono andate storte proprio perché avulse da un vero progetto di cambiamento. A proposito…troverei di grande interesse riconsiderare il ruolo delle Società per la salute nel discorso sulla territorialità. Questo e qualcosa di altro potrebbero gonfiare le vele del cambiamento.

Ivan Cavicchi

 
6 agosto 2012
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