Sono circa 4.500 i migranti con disturbi cognitivi che, nel corso del 2019, si sono rivolti a 343 Centri per i Disturbi Cognitivi e le Demenze (Cdcd) sparsi sul territorio nazionale e circa 2.000 di loro sono stati sottoposti a valutazione neuropsicologica. Inoltre, più di un terzo dei Centri aveva registrato un aumento del numero di migranti nel corso degli ultimi cinque anni.
È quanto emerge da un’indagine realizzata nell’ambito del
progetto ImmiDem, finanziato dal
Ministero della Salute,
coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità, e cui hanno partecipato ricercatori dell’
Ospedale Sacco di Milano e del
Dipartimento di Epidemiologia della Regione Lazio, in collaborazione con i giornalisti scientifici del Pensiero Scientifico Editore e presentata oggi durante un meeting virtuale.
“Le attività di ricerca condotte nell’ambito di ImmiDem – dichiara
Marco Canevelli del Centro Nazionale per la Prevenzione delle Malattie e Promozione della Salute dell’Iss e responsabile del progetto – hanno consentito di documentare come un numero rilevante di migranti con disturbi cognitivi si stia già rivolgendo ai Cdcd presenti nel nostro Paese”.
Tuttavia, i servizi per le demenze sembrano ancora scarsamente preparati ad attuare modelli di cura e assistenza sensibili alle diversità. Solo una minoranza di Centri ha a disposizione materiale informativo sulle demenze tradotto in altre lingue, test cognitivi cross-culturali, o la possibilità di attivare servizi di interpreti e mediatori culturali. “Il progetto ImmiDem – continua il ricercatore - ha identificato delle barriere e delle carenze che dovranno essere oggetto di politiche sanitarie mirate al fine di eliminare le disuguaglianze nell’accesso alle cure, garantire i più elevati standard di assistenza e promuovere il benessere di tutte le persone affette da demenza che vivono in Italia, indipendentemente dal loro Paese di nascita”.
Il progetto ImmiDem è stato disegnato al fine di esplorare, per la prima volta, le dimensioni del fenomeno della demenza nei migranti in Italia, di valutare la preparazione dei servizi sociosanitari a prendersi cura di persone con disturbi cognitivi con una storia di migrazione, nonché di identificare e disseminare buone pratiche.
Negli ultimi anni si è assistito ad un graduale cambiamento nella composizione e fisionomia delle popolazioni di migranti internazionali, spiega l’Iss: “A causa del progressivo invecchiamento della popolazione globale, la percentuale di migranti anziani è in rapido aumento. Questa transizione demografica si accompagna inevitabilmente ad una transizione epidemiologica in quanto è prevedibile che i migranti saranno sempre più esposti al rischio di sviluppare malattie croniche legate all'età, con importanti ripercussioni cliniche e sociali. Politiche e modelli di cura che siano sensibili alla diversità culturale delle nostre società, al fine di ottimizzare le capacità funzionali e garantire il benessere di tutte le persone anziane, non sono solo necessarie ma oltretutto in linea con i principi del “Decennio dell’Invecchiamento in Buona Salute” delle Nazioni Unite (2021-2030).