“Il PNRR è il vero strategico per il futuro del SSN, nel senso di una grande opportunità, ma anche di una opportunità di elevato rischio: una grande fattore perché è la prima, e forse unica, occasione per rilanciare gli del SSN che , per lungo tempo, sono stati “ridotti al lumicino”; ma anche un rischio, perché il buon esito degli investimenti dipende dall'avere elaborato una (corretta) visione sul futuro del SSN, sia in termini degli ammodernamenti/riforme di sistema necessari, sia in termini di obiettivi ultimi degli investimenti”. È questo l'allarme lanciato dal 17° rapporto Crea Sanità presentato oggi e che analizza l'impatto che ha avuto la pandemia sul Ssn e le aspettative che suscita il Pnrr che rischiano di essere disattese.
“Poca o nessuna attenzione è stata deputata a raccogliere i “desiderata” dei cittadini – si legge nel report - , nella pretesa, non scontata, che il SSN sia proprio in grado di coglierli e rappresentarli: in altri termini, si persegue il cambiamento, adottando una visione o comunque tecnocratica del SSN”.
“Il principale limite del PNRR – rileva il Crea - ci sembra “esterno”, ovvero quello di non avere sviluppato una visione capace di legare l'adeguamento dell'offerta alle esigenze della domanda, ovvero alle priorità espresse dalla popolazione, e alla natura disruptive delle innovazioni tecnologiche. Le priorità della partecipazione si dimostrano (o si confermano) essere tutte legate alle modalità di organizzazione/erogazione dei servizi e non sembra alla loro qualità: osservazione che ci possa qualità nella riforma del SSN. Come precedentemente argomentato, è necessario operare una “vera” transizione digitale del sistema sanitario per razionalizzare e cambiare i processi, in modo da dare risposta ai “colli di bottiglia” organizzativi.
La sintesi
Finanziamento Sn: Nonostante gli aumentato ancora alto il gap con l'Ue
Nell'ultimo anno (2020/2019), malgrado l'accelerazione del finanziamento europeo, la crescita italiana è rimasto ancora inferiore di 1,5 punti percentuali rispetto alla media europea . Se è decisamente apprezzabile lo sforzo, la spesa pubblica italiana rimane, di conseguenza, nettamente al di sotto della spesa media dell'Europa (a 14) con un gap di circa il 40% (ancora, seppure lieve, crescita rispetto all'anno precedente).
L'impatto del Covid sulle strutture e la mancanza di personale
Le politiche di spesa dalle esigenze di razionalizzazione della spesa, con la conseguente chiusura di strutture e posti letto, oltre che di blocco delle assunzioni, vanno anche alla luce dell'evento pandemico. L'analisi quantitativa ci dice che:
- siamo il Paese EU che fa minore ricorso all'ospedalizzazione (in rapporto alla popolazione)
- il minor ricorso al ricovero è stato accompagnato da una progressiva chiusura di posti letto, anche se con una significativa variabilità regionale
- i tassi di occupazione dei letti restano però in media su livelli che non sembrerebbero indicare un particolare rischio di stress sul lato dell'offerta… se non fosse che la distribuzione non è affatto omogenea: se i letti di terapie intensive, prima della pandemia, risultavano occupati sotto il 50%, risultava invece elevatissima l'occupazione dei posti delle pneumologie e nei reparti di malattie infettive, oltre che nelle medicine interne, ovvero nei reparti nominati in causa dal COVID
- in alcune discipline, più che i letti sono carenti gli organici… ma è del tutto evidente la mancanza di infermieri, anche confrontandosi con la media dei principali europei, quella di personale medico va riferita a particolari specializzazioni, in primis gli anestesisti e rianimatori.
Seppure con tutti caveat del caso, piuttosto che una generalizzata offerta di offerta, se non in specifiche aree e specializzazioni, sembra che si deve rimettere mano alla programmazione dell'offerta. Il rischio del permanere di ondate successive di concentrazione di ricoveri, indica che la soluzione ai di saturazione problemi registrati durante la pandemia sia da ricercarsi problemi nelle nuove forme di flessibilità organizzativa e redistribuzione dei posti letto, piuttosto che in diffusi incrementi dell'offerta attuale. Un'attenta pianificazione del sistema dal punto di vista degli ingressi di personale, anche alla luce delle previsioni sulle uscite future e sul ruolo che la tecnologia potrà giocare nell'imminente futuro, non è differibile. Purtroppo, la scarsa “flessibilità” del nostro sistema sanitario è evidente anche nella sua governance; basti analizzare l'esito dei meccanismi di stanziamento delle risorse destinate a fronteggiare il COVID (che, in prospettiva, va segnalato non essere particolarmente difformi da quelli con cui saranno allocate le risorse del PNRR), che ha portato ad una erogazione delle risorse in larga misura slegata dal dato di bisogno, almeno come riassunto dal numero di contagi.
La pandemia e le cure mancate. Il caso della spesa farmaceutica
Senza pretesa di esaustività, la pandemia, in primo luogo, ci lascia in “eredità” una contrazione delle prestazioni di specialistica ambulatoriale del -56% (circa 33 mln. di ricette) nel periodo marzo-maggio 2020 vs lo stesso periodo del 2019. I dati disponibili relativi al periodo gennaio-maggio 2021 sembrano portare le prestazioni ad un sostanziale riallineamento al 2019, con una ripresa del numero di ricette per prestazioni di specialistica, rispetto al 2020, mediamente pari al + 33%.
Purtroppo, dalle informazioni attuali, il recupero che si stava mettendo in atto ha subito di nuovo una battuta di arresto causato dalla quarta ondata; il dato, inoltre, ancora nasconde quello della contrazione dell’attività chirurgica, che con buona certezza è quella in cui sarà maggiormente difficile il recupero, a causa del collo di bottiglia rappresentato dalla carenza di personale e sale operatorie.
Anche sul versante della spesa farmaceutica, che nel 2020 sfiora i € 30 mld., rimanendo pressoché stabile rispetto all’anno precedente, si evidenzia una battuta di arresto.
Appare “tranquillizzante” che in campi quale quello oncologico, malgrado le difficoltà causate dalla pandemia di COVID, non si rilevano cambiamenti nel consumo tali da indicare una discontinuità dell’assistenza sanitaria per i pazienti: tali farmaci continuano a costituire la prima classe farmaceutica per spesa pubblica nel 2020, assorbendo il 18,9% della spesa totale.
Malgrado ciò, sul versante della governance del settore, dobbiamo osservare che il payback, che di fatto deriva tutto dallo sforamento della spesa diretta, appare “fuori controllo”: ha ormai superato i € 2 mld., ovvero l’1,7%% della spesa del SSN e il 10,1% di quella farmaceutica pubblica.
Tra l’altro, qualora il FSN non fosse stato incrementato delle risorse messe a disposizione per fronteggiare la pandemia di COVID, la spesa farmaceutica avrebbe inciso sul Fondo Sanitario Nazionale per il 16,6%, con uno sforamento che si incrementerebbe di ulteriori 0,6 punti percentuali.
Solo poche Regioni riuscirebbero a rispettare il tetto, e solo ipotizzando una compensazione dello sforamento della spesa diretta con i “risparmi” messi in atto sulla “convenzionata”.
Anche qualora tutte le Regioni si allineassero alla media delle 3 a minor spesa diretta, il tetto verrebbe comunque sforato di circa € 700 mln.
La non capienza del tetto è stata finalmente recepita a livello centrale. L’ultima legge finanziaria ha infatti incrementato il tetto della spesa farmaceutica al 15% nel 2022, 15,15% nel 2021 e 15,30% nel 2024 destinando agli acquisti diretti l’8,0% nel 2022, l’8,15% nel 2023 e l’8,30% nel 2024. Il tetto per gli acquisti diretti era già stato incrementato, per il 2021, al 7,65%.
Simulando l’applicazione dei nuovi tetti di spesa ai dati 2020, emergerebbe uno sforamento complessivo a livello nazionale di circa € 838 mln. derivanti comunque da uno sforamento della spesa ospedaliera di € 1,2 mld. e di un avanzo della spesa convenzionata di € 430,4 mln..
Tale stima appare conservativa in quanto è presumibile un incremento della spesa farmaceutica legato al recupero dei consumi post pandemia, oltre che alla reintroduzione dei farmaci innovativi a scadenza nel fondo ordinario, e dall’accesso al mercato di nuove molecole.
Il Covid ha aumentato le disuguaglianze
Il monitoraggio indica una crescente incapacità del sistema di welfare italiano di mettere in atto politiche equitative efficaci. Registriamo come le famiglie “meno abbienti” soffrano di un impatto crescente dei consumi sanitari sui loro bilanci.
Complessivamente, cure odontoiatriche e servizi diagnostici, si confermano le principali cause di “iniquità”. Seppure con lievi segnali di miglioramento, l’impoverimento continua a colpire oltre 410.000 famiglie, la catastroficità (spese rilevanti rispetto ai budget familiari) oltre 630.000 ed il disagio economico per cause sanitarie oltre un milione; le Regioni del Sud continuano ad essere le più colpite.
La pandemia in atto sicuramente ha impattato sui più fragili: per il prossimo anno ci si aspetta quindi un ulteriore peggioramento degli indicatori di equità, soprattutto di quello del disagio economico, a causa del fenomeno delle rinunce e/o di un possibile maggior ricorso da parte dei “meno abbienti” a strutture specialistiche private, dovuto alla sospensione delle attività non urgenti nelle strutture pubbliche.
Le insoddisfazioni dei cittadini
I problemi del SSN sono di natura organizzativa: in primis le liste di attesa (citata dal 38,9% dei rispondenti), ea seguire la difficoltà nel riuscire a prendere gli appuntamenti (35,6%). Con minore frequenza, sono richiamate le attese (inutili) negli studi medici/ambulatori (22,7%) ed il fatto di essere “rimbalzati” tra i vari uffici (20,0%).
Per la popolazione italiana il problema del SSN non è la qualità delle cure, che anzi sono un punto di forza dell'offerta pubblica, ma le liste di attesa e la farraginosità della gestione “amministrativa” (intesa come gestione delle liste di attesa, delle prenotazioni, ecc.).
La domanda proveniente dalla popolazione non è omogenea; essa esprime esigenze e aspettative abbastanza diverse, segmentandosi in primo luogo fra persone con titolo di studio alto e medio-basso, con le prime che evidentemente riescono ad “aggirare” meglio i problemi “amministrativi”.
La fascia di popolazione con titolo di studio medio-basso si affida di più al MMG, di cui è soddisfatta, mentre i più istruiti (e di solito questo vuol dire anche i più abbienti) seguire percorsi che si intuisce siano in alternativi (cala la soddisfazione per i MMG e prevale quella generale per l'assistenza clinica, che si suppone quindi specialistica).
Il problema della disponibilità dei dati su internet (si pensi al Fascicolo Sanitario Elettronico), non sembra essere un “problema della gente” , ma solo delle fasce più istruite.
In alcune zone emerge un problema significativo di comfort alberghiero (Sud); in altre (Nord) sembra un problema superato, ed emerge l'esigenza di una gestione dell'assistenza rispettosa più dell'utenza, che eviti attese inutili e sia capace di concentrare l'erogazione delle diverse prestazioni.
I rischi di una scarsa 'vision' del Pnrr
Certamente alcune domande, quale quella del FSE o dell'adeguamento sismico delle strutture ospedaliere, pur essenziali, sono aliene dalla percezione popolare. L'esigenza di un rinnovo del parco tecnologico non sembra essere percepita come una priorità dalla popolazione e, comunque, il valore delle tecnologie sembra solo della parte di popolazione più istruita e che vive nei centri di dimensione maggiore. Per quanto riguarda le Case di Comunità, poi, il rischio è che, a fronte della più volte citata segmentazione della domanda, il modello possa effettivamente rispondere alle esigenze di maggiore vicinanza senti però solo in alcune zone, quali quelle meridionali, e dalle fasce di popolazione meno abbienti, di solito residenti nei centri periferici.
In altri termini, il rischio è che un posizionamento delle Case di Comunità basato sui bacini di utenza serviti, non copra le zone dove il bisogno è più sentito, concentrando le strutture in zone urbane, dove non sembrano esserci problemi di accesso. Il modello, basato su standard di offerta, potrebbe dover essere, quindi, adattato alle diverse “domande” che la popolazione esprime. Si conferma, anche nella survey, che il Sud parte da una situazione di svantaggio strutturale: la domanda è se basterà il vantaggio riconosciuto (a priori) al Meridione nel sistema di riparto dei fondi del PNRR, per ridurre in modo significativo le “distanze” ; anche in considerazione del fatto che, fra le priorità, non sembra espressamente citata quella degli investimenti per il comfort alberghiero in ospedale.
Ci sembra che PNRR non fornisca, allo stato attuale, indicazioni su come gli interventi previsti potrebbero aumentare a migliorare quegli aspetti organizzativi che sono la mancanza degli uffici principali del SSN secondo la percezione della popolazione: liste di attesa, prenotazioni, coordinamento, etc. In conclusione, il momento è cruciale per il Paese e, quindi, è doveroso raccomandare un impegno collettivo per non sprecare l'occasione delle risorse arrivate con il Next Generation EU.
Il principale limite del PNRR, però, ci sembra “esterno”, ovvero quello di non avere sviluppato una visione capace di legare l'adeguamento dell'offerta alle esigenze di una domanda ampiamente segmentata, ovvero alle priorità espresse dalla popolazione, e alla natura disruptive delle innovazioni tecnologiche. Le priorità della partecipazione si dimostrano (o si confermano) essere tutte legate alle modalità di organizzazione/erogazione dei servizi e non sembra alla loro qualità: osservazione che ci possa qualità nella riforma del SSN. Come precedentemente argomentato, è necessario operare una “vera” transizione digitale del sistema sanitario per razionalizzare e cambiare i processi, in modo da dare risposta ai “colli di bottiglia” organizzativi.