Al convegno nazionale di Parma “
Atto e ruolo medico dieci anni dopo. Aspetti professionali, etici e deontologici” organizzato dall’ordine dei medici di Parma in accordo con la Fnomceo, c’erano tutti. Mancavo solo io il teorico della “questione medica” e non perché Piero Muzzetto il presidente di Parma si era dimenticato di invitarmi cioè di convocare anche la “questione medica” ma immagino per una precisa scelta politica che trovo utile comprendere.
Un cambio di strategia
A leggere il position paper, quindi il resoconto degli interventi fatto su questo giornale (
QS 21 novembre 2021) ma soprattutto la proposta politica di fondo che è scaturita dal dibattito, il convegno di Parma segna tre cose importanti:
• il rientro del “cambio di passo” quindi di un cambio strategico della Fnomceo annunciato dal presidente Anelli nel 2018 al momento della sua elezione e approvato innumerevoli volte dal consiglio nazionale,
• la rinuncia nonostante l’enorme lavoro fatto agli “stati generali” intesi come mezzo e occasione per discutere elaborare e definire un nuovo futuro alla professione cioè nel terzo millennio una nuova idea di medico,
• la fine della questione medica come chiave di lettura della crisi della professione.
Il convegno di Parma è un convegno di normalizzazione dove si torna alla interpretazione semplificata:
• il medico non ha nulla da rimproverarsi (ma di quale questione medica si parla?) egli è vittima di continue aggressioni alla sua maestà e poi ci sono le aziende per cui intervenga la politica con una legge a rimettere a posto le cose,
• il medico non deve cambiare in nulla la sua professione ma deve essere riconfermato in un ruolo che è quello tanto storico che indiscutibile,
• per ribadire il suo ruolo serve una legge di tutela dei poteri del medico non gli stati generali.
E le complessità che fine fanno?
Nonostante la realtà della professione, come sanno tutti, sia molto più complessa di queste semplificazioni, e i fenomeni che incombono sui medici siano diversi e innumerevoli, siamo in pratica alla scorciatoia, cioè a scelte politiche che tendono per proprie difficoltà interne (anche di consenso di mediazione tra le diverse componenti dell’ordinistica) ad adeguare i problemi delle professioni alle difficoltà intrinseche dei medici (nulla di male ognuno fa il suo mestiere) rifiutando il contrario perché oggettivamente troppo difficile, troppo impegnativo, troppo riformatore, troppo imbarazzante. Se i medici hanno delle responsabilità meglio negarle.
La questione medica altro non è che una lettura delle tante complessità, in cui si trova in particolare il medico, legate ad un mondo che cambia continuamente. Il convegno di Parma cancella queste complessità. Non vuole avere nulla a che fare con esse. Vuole denunciare il reato di lesa maestà alla professione causato principalmente da alcune professioni concorrenti, punto. E’ finita qua.
Per carità una operazione legittima (desidero dichiarare il mio rispetto soprattutto verso quelle opinioni diverse dalle mie anche perché alla fine pur con tutto il dispiacere che posso provare ognuno è libero di impiccarsi all’albero che crede) ma le complessità vi garantisco che ci sono, restano tutte e non sono inventate e per di più dopo la pandemia e con l’applicazione del PNRR sono destinate a crescere. La loro negazione per la Fnomceo prima di tutto vale come assumersi davanti ad una grave crisi della professione la responsabilità di una diagnosi sbagliata.
Un sentimento di sincera lealtà
Il sentimento che provo e che mi ha spinto a scrivere questo articolo non è risentito, non è di rivalsa, non è di protesta, i miei rapporti di amicizia con tanti presidenti di ordine sono per me un valore da difendere, ma è un sentimento di sincera lealtà nei confronti di una professione che continuo a considerare fondamentale e il cui destino so per certo che segnerà significativamente il destino di milioni e milioni di cittadini.
Il mio sentimento di lealtà vale come il dovere di dire, di avvertire, di segnalare, di mettere in guardia, usando i miei strumenti di analisi, la mia esperienza, le mie conoscenze, le mie intuizioni, per metterle sempre al servizio di una causa comune.
Che fine fa la questione medica?
Io credo che la “questione medica” non si risolverà con l’ennesimo scudo a protezione della professione, credo, per ragioni che ho già dimostrato ampiamente, che a condizioni non impedite, nel breve medio periodo essa si aggraverà rischiando di diventare irreversibile
Cercate di immaginare uno scenario nel quale la sanità per politiche sbagliate o inadeguate o miopi ripiomba in una situazione di insostenibilità finanziara, e nello stesso tempo accresce i suoi cronici problemi di regressività culturale accentuando i problemi di sfiducia con la gente e le spinte verso la privatizzazione e proprio per non farci mancare niente metteteci sopra la task shifting, regioni che si alleano con il peggior corporativismo per avere più poteri proprio sulle professioni, ecc.
Secondo voi in questo scenario la questione medica si attenuerà o si accentuerà?
Immaginiamo che si accentui (non è difficile prevedere che si accentuerà) come faranno gli ordini che per stare comodi nelle loro sicumere, hanno provveduto nel frattempo a eliminare la questione medica e a prendere delle scorciatoie?
Mia nonna diceva sempre “chi ha più intelligenza la usi”. Io non sono più intelligente di Anelli ma ho, rispetto ad Anelli, conoscenze che Anelli oggettivamente non ha e che potrebbero fargli comodo.
E’ per lealtà verso Anelli e quello che rappresenta che sento il dovere di scrivere soprattutto quando penso ai suoi problemi interni, alle sue mediazioni, ai suoi doveri di governo e al suo noto e irriducibile ecumenismo.
È mio dovere dirvi che…
Il convegno di Parma ovviamente tenta di mettere le lancette dell’orologio indietro nel tempo e propone il solito dejà vu perché negando la questione medica non ha altro da proporre e rivolgendosi alla politica chiede di fare una legge sull’atto medico.
Sia chiaro una cosa: abbiamo sempre saputo che alla fine degli stati generali avremmo dovuto tirare fuori una proposta di legge per rilanciare e ridefinire la professione medica, il punto vero, che Parma semplifica fino alla banalizzazione, è cosa mettere dentro la legge. Se dentro ci metti solo l’atto medico la proposta è sostanzialmente più potere a medico invariante, se al contrario ci metti dentro una nuova idea di formazione, un’altra idea di prassi, una nuova idea di autore, una diversa relazione con la società una più chiara idea di autonomia, ecc., la proposta finale è sostanzialmente più potere ma giocata su una diversa idea di medico.
Questa è la differenza politica di fondo:
• l’atto medico presuppone mentre tutto cambia un medico che nonostante tutto resta invariante,
• la questione medica presuppone proprio perché tutto cambia un medico nuovo, più forte, più credibile, più rispettato ma solo perché ha capito con umiltà che oggi bisogna essere più capaci di stare nelle complessità non inventate da Cavicchi ma che esistono nel mondo.
Una idea improbabile
Ma a parte queste considerazioni l’idea di atto medico è del tutto improbabile per tante ragioni di merito e politiche:
• l’atto medico in realtà non esiste, l’unica sua definizione (UEMS 2013) lo configura nell’espressione generica "tutte le attività professionali”. Nelle 100 tesi in ragione della complessità delle prassi mediche ho proposto di sostituire l’atto medico con l’opera medica anche recuperando il senso dell’art Art. 19 di una vecchia edizione di codice deontologico che parla di “opera professionale”;
• l’atto medico è già stato oggetto di una iniziativa legislativa nel 2018 della mia amica deputata Vittoria D’Incecco e che non è andata in porto perché ha incontrato forti opposizioni dei partiti che temevano di perdere consensi elettorali tra gli infermieri.
Cioè la logica dell’atto medico:
• è del tutta identica a quella delle competenze avanzate, usare i rapporti di forza per fare pressione in un conflitto interprofessionale sulla politica per redistribuire vantaggi e svantaggi tra le professioni;
• anch’essa cade in una logica corporativa quando il problema è ridefinire una professione in un sistema di professioni andando oltre il corporativismo e tentare di ricomporre con una proposta co-evolutiva il conflitto che c’è.
L’atto medico non risolve il conflitto ma lo accentua e questo di certo non va a beneficio dei malati.
Conclusione
Ho pensato mio dovere dire lealmente le mie perplessità e esprimere le mie riserve. Il futuro della professione medica è troppo importante per essere abbandonato come progetto. Secondo me sarebbe un errore grave abbandonare l’idea di questione medica e di stati generali. Ripeto, da come sarà il medico del futuro dipenderanno le qualità dei sistemi, delle relazioni, delle prassi, delle cure.
Parma non mi ha invitato ed era suo diritto farlo, non me ne dolgo.
Io continuerò finché avrò fiato e idee a battermi contro le semplificazioni, contro le banalizzazioni, contro le facili scorciatoie, per una idea di medico e di medicina più adeguata al nostro tempo e alle nostre insopprimibili complessità, convinto in questo modo di fare gli interessi tanto dei medici che degli ammalati.
Ivan Cavicchi