18 maggio -
“Il
Rapporto Favo presentato in occasione della XI Giornata nazionale del malato oncologico, è da un lato una buona notizia perché indica che dal cancro si può guarire, ma dall’altro una fonte di problematicità mettendo in risalto, dati alla mano, tutte le pecche di un’assistenza che nel caso dell’oncologia non dovrebbero esistere, dai tempi biblici per l’introduzione di un nuovo farmaco, alla creazione di Reti di mobile-health di cui esempio per ora solo alcuni esempi virtuosi”.
Così commenta i dati sulla condizione assistenziale del malato oncologico presentati oggi da Favo,
Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione nazionale dei Collegi Ipasvi che rappresenta gli oltre 447mila infermieri che operano in Italia.
“Per noi infermieri – aggiunge - l’argomento è sicuramente prioritario e in questo senso
offriamo la nostra collaborazione per le prossime edizioni: il nostro codice deontologico in vigore, ma anche il nuovo in via di definizione che lo sostituirà parla chiaro quando prescrive come ogni nostro professionista “si attiva per prevenire e contrastare il dolore e alleviare la sofferenza. Si adopera affinché l’assistito riceva tutti i trattamenti necessari”, una regola per chi ogni giorno si coordina per aiutare i malati”.
“E in questo senso e per dare supporto ai nostri assistiti – annuncia Mangiacavalli - la Federazione Ipasvi ha creato una specifica
Consulta delle associazioni dei pazienti, che avrà tra qualche giorno la sua prima riunione.L’intento è di favorire il confronto e la crescita culturale sulle tematiche di interesse per la professione infermieristica sviluppando la collaborazione ed il coordinamento fra le varie realtà di rappresentanza degli assistiti. La Consulta è, quindi, un luogo di confronto e di comunicazione tra la Federazione Ipasvi e le associazioni dei pazienti, in cui sono discussi temi di rilevanza per la professione infermieristica e per i cittadini. La Consulta è un organismo consultivo a cui potranno partecipare le Associazioni dei pazienti, di volontariato e di tutela e di promozione sociale, che operano nel settore sanitario, socio sanitario o in settori attinenti alla promozione della salute”.
Secondo la presidente Ipasvi “non c’è momento più forte nell’assistenza ai malati di quello delle cure oncologiche, spesso palliative, in cui gli infermieri mettono in campo oltre le loro competenze cliniche la capacità di caring, di prendersi cura e non solo del paziente, ma di tutta la sua famiglia che con lui vive questi momenti drammatici, di prendersi cura della persona nella sua globalità (anche sociale) e autonomia. L’attenzione si focalizza sull’individuo piuttosto che sulla malattia, per privilegiare la qualità della vita.
Per questo è essenziale e propedeutico alla professione stessa, che gli infermieri imparino a riconoscere oltre a quelli clinici, anche i bisogni assistenziali ed emotivi dei pazienti e delle loro famiglie, sappiano affrontare il dolore e sappiano gestire il prima, il durante, ma anche il “dopo”, rispetto a problematiche diverse da quelle dell’assistenza in acuzie e in post-acuzie. E per questo è indispensabile, dati anche i risultati sull’informazione che il paziente ha dei suoi diritti e delle sue possibilità di cura, che gli infermieri siano coinvolti in prima persona oltre che nell’assistenza anche nell’informazione e nell’educazione ai malati che soffrono”.
“Noi infermieri – prosegue Mangiacavalli - sappiamo ascoltare i pazienti, li sappiamo capire e li aiutiamo oltre che dal punto di vista clinico anche da quello psicologico che in momenti di grave criticità rappresenta una componete essenziale dell’assistenza. E siamo, vogliamo e chiediamo di essere coinvolti in prima persona nell’assistenza tuto campo dei malati di tumore come espressione del necessario, anzi direi ormai indispensabile, insostituibile e ineludibile lavoro in team, priorità per ogni professionista dedicato ad affrontare accanto ai pazienti il loro dolore, con l’unico obiettivo da raggiungere ben identificato nel benessere del malato che va anche al di là del momento dell’acuzie e dell’emergenza. La cultura del sollievo è non solo una necessità, ma un dovere morale e fare si che essa si propaghi e venga compresa è un compito non solo meritorio dal punto di vista umano, ma professionalmente caratterizzante per chi, come gli infermieri, ha deciso di dedicare la sua vita al prendersi cura”.
“Si tratta - conclude - di essere in prima linea nell’assistenza ai pazienti più fragili, quelli che di più richiedono aiuto, che sopportano la maggiore sofferenza, focalizzando di più l’attenzione sull’individuo piuttosto che sulla malattia, per privilegiare la sua qualità della vita. Avendo come presupposto che la sofferenza non è inevitabile, dobbiamo fare sempre di tutto per comprendere come questa possa essere maggiormente tollerabile in termini di qualità di vita anche quando e se non è più completamente risolvibile”.