8 marzo -
Gli italiani sono piuttosto soddisfatti dell’assistenza ricevuta durante un ricovero in ospedale: i risultati di un’indagine condotta dall'Osservatorio della Cattolica, in collaborazione con l’Istat, evidenziano il giudizio complessivamente positivo sull’assistenza ricevuta in ospedale durante il ricovero. L’indagine, relativa al biennio 2007-2009, è stata eseguita su un campione di circa 24 mila famiglie (per un totale di circa 54 mila individui) distribuite in circa 850 Comuni italiani di diversa ampiezza demografica. “L’indagine – ha spiegato Antonio Giulio de Belvis, Ricercatore dell'Istituto di Igiene UCSC e Segretario Scientifico dell'Osservatorio Nazionale sulla Salute delle Regioni Italiane - ha preso in esame il grado di apprezzamento dei cittadini per l’assistenza ospedaliera, espresso da coloro che nei 3 mesi precedenti l’intervista sono stati ricoverati in ospedale, valutando tre aspetti legati alla soddisfazione per il ricovero ospedaliero: l’assistenza medica, l’assistenza infermieristica e il vitto dell’ospedale, utilizzando una scala che va da molto soddisfatto a abbastanza soddisfatto, poco soddisfatto, per niente soddisfatto e non soddisfatto”.
“C’è una quota molto contenuta di giudizi negativi (cittadini poco o per niente soddisfatti) sull’assistenza durante il ricovero, riferibile all’assistenza medica e infermieristica, mentre un po’ più insoddisfacente è stata giudicata la qualità del vitto”, ha spiegato de Belvis. A livello nazionale ben il 36,1% delle persone reduci da un ricovero si dichiara molto soddisfatto dell’assistenza medica ricevuta e il 52,8% abbastanza soddisfatto, i cittadini dichiaratisi “molto insoddisfatti” non raggiungono il 4% e quelli dichiaratisi “poco soddisfatti” sono il 7,8%. Emerge un gradiente Nord-Sud che penalizza le regioni del Mezzogiorno i cui livelli di soddisfazione sono sempre più bassi della media nazionale.
“In sintesi, il quadro che appare dal Rapporto di quest’anno mostra vari segnali di miglioramento sul versante di alcuni fattori di rischio”, conclude il Direttore di Osservasalute Walter Ricciardi, “ma non tali da invertire il trend generale di un Paese decisamente avviato verso un futuro difficile, soprattutto in alcune regioni, per la combinazione dell’invecchiamento della popolazione, dell’aumento dei fattori di rischio, soprattutto comportamentali nei giovani, e di strutture amministrative regionali in affanno nel garantire servizi, soprattutto preventivi e di diagnostica precoce in grado di ridurre il carico di malattia. Particolare preoccupazione destano alcune regioni ancora prive di organi, strutture ed attività di programmazione che, da un lato consentano di analizzare correttamente i bisogni e la domanda di servizi da parte della popolazione di riferimento e, dall’altra, predispongano le risorse umane, finanziarie, logistiche e tecnologiche per far fronte a queste esigenze”.
Non mancano, tuttavia, le criticità.
CATTIVA GESTIONE DELLE FRATTURE NEGLI ANZIANI IN ITALIA - Nell'VIII edizione del Rapporto Osservasalute è stata rilevata per la prima volta la percentuale di interventi per frattura di femore eseguiti entro le 48 ore nei pazienti con più di 65 anni. In Italia appena il 32,5% di questi interventi rispetta questo criterio di appropriatezza, un risultato piuttosto basso rispetto alle performance registrate in altri Paesi occidentali e alle raccomandazioni presenti in letteratura. Nel periodo 2001-2008 l’indicatore ha fatto registrare solo un lievissimo incremento (dal 31,2% al 32,5%). La frattura del collo del femore è un evento frequente tra la popolazione anziana ed è spesso causa di mortalità e di peggioramento della qualità di vita. Diversi studi hanno dimostrato che a lunghe attese per l’intervento corrispondono un aumento del rischio di mortalità e di disabilità del paziente, un aumento delle complicanze legate all’intervento e una minore efficacia della fase riabilitativa. Di conseguenza, molte delle Linee Guida più recenti raccomandano che il paziente con frattura del collo del femore venga operato entro 48 o addirittura 24 ore dall’ingresso in ospedale (1, 2). Uno studio condotto in Italia e pubblicato nel 2010 mette in evidenza come la mortalità a 30 giorni, per i pazienti con età >65 anni operati per frattura di femore, sia 2 volte superiore nei pazienti operati dopo la seconda giornata di degenza rispetto ai pazienti operati entro 2 giorni (3).
EMERGENZA INFERMIERI - Sebbene a livello nazionale vi sia stato un forte aumento tra il 2005 e il 2007 del numero di unità sia in valore assoluto (+4,6%) che in rapporto alla popolazione per 1.000 abitanti (+3,2%), da tempo ormai si parla di emergenza infermieristica determinata dalla carenza di infermieri; gli ospedali e i servizi territoriali sono in crisi. A tale proposito, si sottolinea come, se tra il 2005 e il 2006 vi è stato un aumento del personale infermieristico dipendente del SSN, tra il 2006 e il 2007 sia il numero di unità in valore assoluto e sia per 1.000 abitanti sono diminuiti.
TASSI DI OSPEDALIZZAZIONE – Negli ospedali italiani i ricoveri continuano a diminuire e parallelamente si riducono le giornate di degenza.
Dal 2001 al 2008 il tasso grezzo di ospedalizzazione complessivo del livello nazionale si è ridotto di circa 22 punti percentuali (da 214,6 a 192,8 per 1.000 abitanti). La riduzione registrata in tale periodo è da ricondurre alla sola componente dei ricoveri ordinari passata da 161,4‰ a 133,3‰, essendo, invece, leggermente aumentata nel periodo, sebbene con andamento discontinuo, la quota di ricoveri in regime diurno (da 53,2‰ a 59,0‰). A tale riguardo si sottolinea che, nel 2008, tutte le regioni presentano ancora un tasso di dimissione (TD) per i ricoveri diurni superiore al riferimento normativo di 36 ricoveri per 1.000 abitanti (20% di DH rispetto ad un TD generale fissato pari a 180‰). Allo stesso tempo tutte le regioni meridionali, in particolare quelle sottoposte ai Piani di rientro, mostrano ancora tassi di ospedalizzazione per acuti molto superiori alla media nazionale, spesso maggiori anche rispetto al valore medio nazionale del 2001. Per la maggior parte di queste regioni si evidenzia, comunque, un sensibile trend in miglioramento, segno dell’efficacia delle azioni avviate per sostenere il processo di deospedalizzazione delle attività potenzialmente inappropriate per il livello ospedaliero.
Nel 2008 il tasso standardizzato di ospedalizzazione complessivo a livello nazionale è 187,3‰, di cui 129,1‰ in modalità ordinaria e 58,2‰ in modalità di ricovero diurno. Il tasso di ospedalizzazione complessivo varia, a livello regionale, dal valore massimo presente in Campania (231,8‰) al valore minimo del Friuli Venezia Giulia (148,5‰).
Anche nell’ultimo anno analizzato dal Rapporto si evidenzia una costante riduzione dei tassi di ospedalizzazione. Per il tasso complessivo la riduzione è del 3,0% nel 2008 rispetto al 2007 e dell’8,0% rispetto al 2006. Per la modalità di ricovero in regime ordinario la riduzione è del 2,9% rispetto al 2007 e del 6,9% rispetto al 2006; per il ricovero diurno la riduzione è del 3,3% rispetto al 2007 e del 10,3% rispetto al 2006.
Il tasso relativo al regime di RO varia dal 100,3‰ della Toscana al 160,1‰ della Puglia.
Tutte le regioni presentano un tasso di ospedalizzazione per il DH superiore al riferimento normativo del 36‰. I ricoveri in DH corrispondono al 31,1% del totale. Per quanto riguarda il tasso di ospedalizzazione in regime diurno le regioni con valori estremi sono la Liguria (88,8‰) e il Friuli Venezia Giulia (37,3‰).
SPESA SANITARIA PUBBLICA – Si confermano le tendenze già registrate nelle precedenti edizioni del Rapporto: la spesa sanitaria pubblica corrente in rapporto al PIL a livello nazionale denuncia una crescita, dal 2001 al 2007, dal 5,95% al 6,59%.
A livello regionale l’indicatore, nel 2007, mostra delle significative differenze, oscillando da un minimo di 4,90% della Lombardia ad un massimo di 10,76% della Calabria, registrando, così, un divario che raggiunge quasi i 6 punti percentuali.
Si osserva un gradiente Nord-Sud, con il Nord che registra una percentuale della spesa sanitaria pubblica corrente media rispetto al PIL pari al 5,45%, il Centro pari al 6,25% e il Mezzogiorno (Sud e Isole) pari al 9,57%.
SPESA SANITARIA PRO CAPITE - Il Rapporto mostra a livello nazionale un aumento della spesa pro capite fra il 2008 e il 2009, da 1.782 euro a 1.816 euro (+1.91%); la spesa è cresciuta del 27,8% dal 2003. Nel 2009 è osservabile che, generalmente, le regioni meridionali, con l’eccezione del Molise, mettono a disposizione un ammontare di risorse monetarie inferiore rispetto alle regioni del Nord (fatte salve Lombardia e Veneto) e anche alla media nazionale.
Nel 2009 la spesa per cittadino presenta un valore medio nazionale di 1.816 euro e oscilla da un minimo, registrato in Sicilia, di 1.671 euro ad un massimo di 2.170 euro nella PA di Bolzano.
Rispetto al 2008, tutte le regioni, con la sola eccezione della PA di Bolzano (-2,78%) e del Lazio (-0,35%), hanno aumentato il livello di spesa, con valori che segnano una linea crescente che parte da un minimo di 0,28% dell’Abruzzo, ad un massimo di 5,3% della PA di Trento.
DISAVANZI - Anche nel 2009 il Servizio Sanitario Nazionale si conferma complessivamente in disavanzo: 3,260 miliardi di euro, pari a 54 euro pro capite. È da notare, peraltro, come questo sia il disavanzo più basso dal 2004, evidenziando un trend in costante, seppur lenta, diminuzione.
Permangono, le forti differenze regionali, con un gradiente sempre più ampio tra Nord e Centro-Sud, dove si concentra quasi tutto il deficit. In particolare, sono 8 le regioni che si confermano in equilibrio a partire dal 2007: Piemonte e Emilia-Romagna (che, però, hanno operato “interventi di copertura a carico dei rispettivi bilanci regionali); PA di Bolzano e Friuli Venezia Giulia (cui lo statuto speciale garantisce, però, un particolare sistema di finanziamento); Lombardia, Toscana, Umbria e Marche. Registra un disavanzo pari a 21 euro pro capite il Veneto, malgrado anche in questo caso si sia fatto ricorso a risorse aggiuntive a carico del bilancio regionale.
Quanto alle regioni sottoposte ai piani di rientro, l’assoggettamento dovrà proseguire anche nel 2010 perché, il triennio inizialmente previsto, si è dimostrato insufficiente al riequilibrio della gestione. Nel 2009, soltanto Sicilia (46 euro) e Abruzzo (37 euro) si sono posizionate al di sotto del disavanzo medio pro capite nazionale, mentre Lazio e Molise si confermano le regioni più deficitarie sia per il 2009 (rispettivamente 244 euro e 225 euro pro capite) sia nel dato cumulato 2001- 2009 (rispettivamente 2.285 euro e 1.803 euro).
Infine, un evidente deterioramento della situazione economico-finanziaria si registra in Calabria, dal 2009 soggetta al piano di rientro: il suo disavanzo passa da 33 euro pro capite nel 2008 a 111 euro nel 2009, anche per il venir meno della rilevante copertura da parte del bilancio regionale.